1. I santi sono esseri umani
Spero che non rimaniate delusi, ma San Giovanni Paolo II, San Massimiliano Kolbe, Padre Pio e compagnia hanno avuto momenti umani come quelli dei nostri profeti. Sono stati fragili, hanno pianto, hanno chiesto perdono, hanno offeso e hanno lottato come ciascuno di noi. La loro intercessione è potente e sono un grande modello per noi perché sanno molto bene cosa significhi essere uomini, peccatori, assillati dalla tentazione e dal demonio. Conoscono anche la bellezza delle battaglie vinte, hanno sentito la rugiada della grazia effondersi sulla loro vita e hanno messo del proprio per cooperare con l’ausilio costante di Dio. Si sono meravigliati di Dio mille volte proprio perché erano uomini, perché hanno visto che l’amore del Signore eccede sempre le nostre aspettative e fa con noi cose che non avremmo mai sperato. Se idealizziamo i santi li disumanizziamo, e se li disumanizziamo rubiamo loro la bellezza della santità.
2. La santità è iniziativa di Dio
Adoro le storie che abbiamo ripercorso perché emerge in modo chiaro come Dio sia il primo motore della santità. Mosè, Giona, Geremia, Davide ed Elia arrivano a un momento della propria vita in cui non ce la fanno più, in cui hanno bisogno di mettersi nelle mani di Dio per poter andare avanti con la missione che il Signore ha affidato a ciascuno. Nella storia dell’umanità è accaduto lo stesso con ogni santo. Tutti hanno cooperato con Dio, ma nessuno si è “fatto santo” da sé. L’amore che Dio ci invita a vivere è possibile, è ovvio, ma solo se sappiamo accogliere la sua grazia e riconoscere che è Lui ad avere l’iniziativa. Se vogliamo essere santi – e tutti noi cristiani dovremmo esserlo –, dobbiamo stare sempre molto attenti a non dimenticare che nella nostra ascesa al cielo è Dio che ha messo la scala. Noi mettiamo la voglia di salire, e a volte perfino in questo riceviamo una spinta da Dio, com’è accaduto ai nostri profeti.
3. La santità inizia quando…
Non so se vi siete resi conto che nelle nostre cinque storie, in qualche momento, i nostri profeti hanno voluto morire. Questo dettaglio, che potrebbe essere interpretato come un drammatismo esagerato, in realtà è una pista molto significativa che prenderò simbolicamente per spiegare un elemento chiave della vita cristiana che inizia ad avvicinarsi alla santità. Lo prenderò in modo simbolico perché ovviamente non credo che i santi abbiano voluto morire in qualche momento della loro vita. Non si tratta di questo, ma di un momento in cui l’uomo riconosce la povertà della propria condizione, l’inutilità dei suoi sforzi, la volubilità delle sue promesse ecc., e sente che con i propri mezzi non è capace di raggiungere l’amore al quale Gesù lo ha chiamato dalla croce. È questo momento di crisi il terreno fertile in cui Dio getta il seme della santità. È in questa morte simbolica a noi stessi che siamo – finalmente! – capaci di iniziare la vera ascesa verso il cielo.
Se sono sicuro di qualcosa nella mia breve esperienza di vita cristiana è che Dio cerca questo momento nella nostra vita. Per ciascuno arriva in modo diverso. Alcuni beati lo raggiungono con grande naturalezza, altri soffrono moltissimo. Non so quale sia il cammino che avete percorso fino a questo momento, ma sono convinto che ogni santo, come i nostri profeti, sia arrivato a quel giorno in cui ha capito che per amare come Cristo bisogna amare con il cuore di Cristo. E che questo non è un bel simbolo. No! È Cristo stesso che deve darci davvero il suo cuore, è a Lui che dobbiamo chiedere una nuova vita, e noi dobbiamo accettare l’avventura preziosa e misteriosa che Egli ci ami nonostante la nostra miseria.
Credo che la santità assomigli a questo. Perdonatemi se sono stato prolisso.
[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]