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Una storia “fuori dai canoni” per interrogare una fede appagata

Marinella Bandini - Aleteia - pubblicato il 02/02/16

A cosa serve il Battesimo se tutti siamo figli di Dio? Un tentativo di provocazione

Maria Giulia non usa giri di parole: “Ammesso e non concesso che Dio esiste e che siamo figli Suoi perché ci battezziamo, vuol dire che chi non si battezza non è figlio di Dio? Se tutti gli uomini sono figli di Dio, non ho bisogno di battezzarmi”. Di regolare, secondo i canoni cattolici, in questa storia c’è ben poco. Tutt’al più qualche sopravvissuta tradizione di famiglia, quella di Raffaele. I loro due gemelli, oggi dodicenni, sono nati dopo un percorso di procreazione assistita. Beh, sì, a un certo punto si sono sposati, in Comune. I figli c’erano già, a quel punto hanno aspettato che crescessero un po’ perché potessero vivere questo momento e ricordarlo: “Loro sono fierissimi. È successo più volte che quando lo raccontavano agli amichetti, questi protestassero poi con i propri genitori perché non li avevano aspettati”. Poi ci sono i dettagli, quelli che danno carne al “succo” della storia. Come le quattro gravidanze extrauterine concluse con aborti spontanei. “Desideravo avere figli, gli ho rotto scatole e alla fine si è convinto. La priorità assoluta per me era diventare madre”. Maria Giulia, tra l’altro, è embriologa.

La premessa è che “non avere grandi necessità” in ordine alle cose della religione “significa non avere neanche grandi preclusioni”. A un certo punto hanno anche provato a far battezzare i figli, perché la famiglia di Raffaele ci teneva – “a me non cambia niente, quindi neanche mi oppongo” è la posizione della moglie -, ma una battuta del sacerdote presa male ha fatto sfumare l’occasione. “Ho detto al prete che ero atea e non andavo in chiesa. Lui ha fatto una battuta: le colpe dei genitori non ricadono sui figli” e Maria Giulia ha chiuso la porta. “L’ho trovata fuori luogo, poco accogliente verso chi già in partenza dice di essere lontana. Non credo sia una colpa non essere vicina alla Chiesa. Riconosco che era fatta per sdrammatizzare, ma mi ha urtato. Già non avevo voglia di avvicinarmi, e non mi ha aiutato a farlo”. Lei è così: “Sono battezzata, ho fatto la prima comunione, che più o meno è stata anche l’ultima. Crescendo mi sono distaccata, mi professo atea. Non ho mai avuto il pensiero di battezzare i miei figli”. Se potesse lei si “sbattezzerebbe”, per coerenza. “Credo che sia una grande libertà che lascio loro di poter approcciare qualsiasi religione in ogni momento. Ma se me lo chiedessero non mi opporrei”.

A volte la ragazza prende iniziativa. Raffaele riflette: “Noi siamo stati battezzati senza aver dovuto scegliere, è una scelta la cui responsabilità è di un adulto. Lei dice: forse vorrò battezzarmi, ma non so se lo faccio perché lo voglio veramente. È una riflessione enorme per un bambino. Non ho mai pensato che fosse nel Battesimo il discrimine della religiosità o dell’impegno su certi valori, per questo non c’era necessità di battezzarla, ma capisco il dubbio. La sfida è più difficile e credo che sia compito nostro cercare di accompagnarla” dice Raffaele. Se si sente inadeguato? No, anzi, “amerei essere messo in difficoltà da queste cose”. Chissà se averla battezzata da piccola gli avrebbe reso la vita più semplice: “Una volta è tornata da scuola in lacrime perché le compagne gli avevano detto che non avrebbe potuto sposarsi in chiesa. Era inconsolabile, abbiamo cercato di spiegargli che era un problema superabile”.

Maria Giulia è tranchant, la fede “non è qualcosa che si può decidere a tavolino”. Da non credente dice: “Invidio fortissimamente chi crede veramente: chi crede che ci sia la vita eterna, che ci sia il paradiso, chi crede che un giorno rivedrai i tuoi cari. Se qualcuno mi mettesse nero su bianco che un giorno rivedrò mio padre sarei la persona più felice del mondo. Ma mi devi dare dimostrazione, non ci riesco… chi veramente crede penso sia una persona ricchissima, vivrei tutta bella contenta. Ma non si può decidere a tavolino”. Anche Raffaele ha un suo credo: “Ho fiducia nella comunità umana, nell’essere uomo e questo non ha bollini di identità. C’è la voglia di essere aperti a tutto. Questo è quello che cerco di trasmettere ai miei figli, non raccontando loro che non è importante non essere battezzato, ma raccontando loro che è importante essere parte di una comunità grande, difficile, bella, solidale, pericolosa, problematica, entusiasmante”.

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