Arriva in libreria «Un mestiere del diavolo», una conversazione dell’ex presidente dello Ior con Paolo Gambi: «La gnosi ha trionfato dovunque»
«Cosa è oggi la corruzione?», chiede a un certo punto Paolo Gambi all’economista Ettore Gotti Tedeschi. L’ex presidente dello Ior risponde: «È non voler vedere la dilagante “corruptio optimi pessima”e giustificarla. Altro che la corruzione nella politica e negli affari». Nel libro-intervista «Un mestiere del diavolo» (edito da Giubilei Regnani, 260 pagine, 15 euro) si intrecciano riferimenti alle vicende finanziarie più scottanti e approfondimenti teologici, storici e culturali. Una conversazione che pone quesiti di fondo a una figura di spicco del mondo bancario e finanziario internazionale, come l’esistenza del diavolo. «Se non credessi all’esistenza del demonio, non potrei riconoscermi cattolico – argomenta Gotti Tedeschi – Tutta la Sacra Scrittura, dalla Genesi all’Apocalisse, parla di Satana. Praticamente Satana è quasi sempre presente nell’insegnamento di Gesù, nella sua storia su questa terra». Gotti Tedeschi dal settembre 2009 a maggio 2012 ha presieduto in Vaticano l’Istituto Opere di Religione. È stato consigliere economico del ministro del Tesoro (2008-2011) e docente di etica economica e finanza all’Università Cattolica di Milano. Chiesa, morale, economia sono i tre temi intorno a cui si sviluppa il dialogo tra gli autori. A partire dallo scontro fra cattolicesimo e modernità.
Lei nel libro glissa abbastanza sulla nota vicenda che l’ha coinvolta, dicendo che le «è stato impedito» di contribuire a «moralizzare» le finanze vaticane. Da chi?
«Non ho deciso di “glissare”, questo libro non è stato concepito per parlare di questa vicenda. In realtà non sono ancora maturi i tempi per affrontare questo tema di moralizzazione delle “finanze vaticane” che è strettamente collegato ad altre vicende molto più importanti. Questo spiega perché questo argomento neppure lo affronto. Peraltro il “chi” lo ha impedito, lo ha lasciato intendere, nella sua sentenza, la Procura della Repubblica di Roma».
Come vede quella vicenda oggi, a quasi quattro anni di distanza?
«Io credo che una persona di criterio debba cercare di avere una unità di vita, conciliando le opere con la sua fede, senza vergognarsene. In più credo che una vita debba, e possa, avere significato e valore solo se riesce a perseguire il senso che le si dà o si vuole darle. In questi due sensi (rigidamente da me interpretati), nel mio incarico ricevuto da Papa Benedetto XVI, ho fallito. A quattro anni di distanza, forse ho perfezionato la comprensione di perché ho fallito, ma resta il risultato finale. Anche se qualcuno mi ha cercato di consolare dicendomi che aver successo, a volte, significa fallire…».
Come giudica il cammino che è stato intrapreso negli ultimi anni a questo riguardo?