Guelfo Zamboni è un esempio di amore e dedizione totale per il prossimo. Evitò a 281 ebrei greci la deportazioneUna storia di coraggio e dedizione per il prossimo. Anche a costo di rischiare la propria carriera e la propria vita. In “Hanna non chiude mai gli occhi” (edizioni San Paolo), l’autore Luigi Ballerini racconta l’ “impresa” di Guelfo Zamboni, console italiano a Salonnico durante l’ultima fase della seconda guerra mondiale. Una storia tanto più emblematica se raccontata in occasione della Giornata della Memoria, che ricorda in tutto il mondo le vittime della Shaoah.
COME SCHINDLER E PERLASCA
Il nome può sembrare poco conosciuto, ma in realtà Zamboni ha salvato la vita a 281 ebrei, falsificandone i documenti. Come lo Schindler della celebre “lista”, come Perlasca, anche Zamboni si espone al rischio, pur di arginare l’orrore: nel suo caso, la deportazione – avviata dai nazisti a cavallo tra la primavera e l’estate del 1943 – di oltre 50mila persone dalla città, l’antica Tessalonica, chiamata anche «Gerusalemme dei Balcani» per la forte componente ebraica.
DUE RAGAZZI EBREI
Accanto al console (sul quale l’autore ha condotto una ricerca accurata, consultando testi originali e spingendosi sino in Grecia per documentarsi al meglio), si muovono due figure di ragazzi ebrei, entrambe frutti della fantasia dell’autore, ma ispirate a personaggi realmente esistiti: Ester Saporta, l’Hanna che dà il titolo al romanzo, e Alberto Modiano, suo coetaneo e amico, che nel libro diventa Yosef, alunni della scuola media “Umberto I” della città greca.
LO STRATAGEMMA DELLA PARENTELA
Zamboni intuì un rischioso stratagemma per salvare vite umane. Il console informava l’Ambasciata italiana che, secondo gli ordini di Berlino, agli ebrei greci per i quali erano in corso le pratiche per la concessione o il riacquisto della cittadinanza italiana, veniva accordato il rinvio alla deportazione. Chiedeva poi delucidazioni riguardo a quali casi concedere la cittadinanza; alcuni erano dubbi, infatti, e per essi potevano darsi diverse interpretazioni. Citava ad esempio il caso delle donne ebree italiane che si erano sposate acquisendo successivamente la cittadinanza greca.
LA “FALSIFICAZIONE” DEI DOCUMENTI
“Si prega farmi conoscere – aveva chiesto il console all’Ambasciata – con possibile sollecitudine per mia norma, data massima urgenza, se domande del genere possono essere accettate, facendo dichiarazioni relative ad Autorità tedesche, largheggiando molto e restando alle Autorità superiori poi fare concessioni benevole nei singoli casi; o se devo attenermi con ristretto criterio, in base a situazioni previste chiaramente dalla legislazione vigente”.
LA REAZIONE TEDESCA
Zamboni aiuto’, in realtà, molti ebrei a scampare ai lager anche modificando ad hoc la documentazione. I tedeschi guardavano a quelle partenze con sempre maggior sospetto, odiavano vedersi sfilare dalle mani gruppi di ebrei che per la loro logica erano destinati alla deportazione e non certo al trasferimento ad Atene sotto la protezione complice degli italiani. Appena potevano ignoravano gli accordi e creavano apposta dei disguidi. In quel modo erano già riusciti a caricare sui treni per la Polonia almeno una ventina di ebrei in possesso di regolari certificati di cittadinanza italiana che per nessun motivo avrebbero dovuto subire la deportazione.
LO SCONTRO CON L’UFFICIALE DELLE SS
Zamboni arrivo’ persino a sfidare gli ufficiali delle SS. Un giorno un tedesco era arrivato furioso nel suo ufficio. Intendeva avanzare delle rimostranze ufficiali sui certificati che venivano emessi dal Consolato: troppi e, soprattutto, ingiustificati secondo lui. L’accusa esplicita era di pesanti irregolarità diplomatiche, una questione che sarebbe potuta arrivare sui tavoli di Berlino e Roma e non finire lì. «A quanto mi risulta gli ebrei italiani sono trattati dal Governo italiano e non da voi, stanno sotto la bandiera italiana, non la vostra. Allora non occupatevi degli ebrei italiani che sono affar mio…», replico’ coraggiosamente il console.
SPUNTA L’AMORE
Tra gli ebrei che Zamboni aveva inserito nella lista “bianca” delle partenze verso l’Italia, c’erano anche Hanna e Josef, due ragazzi che si erano conosciuti al liceo e che avevano iniziato a frequentarsi. Ma quando le Ss li andarono a prelevare nel ghetto dove abitavano il loro destino viro’ in senso improvviso. Josef ebbe una colluttazione con un soldato e fu spedito sui treni verso la Polonia.
IL DOLORE DELLA SEPARAZIONE
«È cittadino italiano, è italiano come tutti noi!» provò a difenderlo un suo conoscente. Josef si guardava intorno, cercando dagli altri ormai salvi un consenso e un appoggio che non arrivavano. Teste chine, invece, troppo preoccupate del proprio destino per occuparsi di quello degli altri. L’ufficiale tedesco prese il documento, lo strappò in due, poi in quattro, fino a ridurlo in minuscoli coriandoli che sparse per l’aria, accompagnandoli con una risata stridula. Fu quella la scena che separò per sempre Hanna e Josef. Lei riuscì’ a salvarsi e tornare in Italia, per lui il dramma della deportazione.
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