È il famoso ex commissario alla Spending review . Un libro pubblica la sua relazione che getta uno sguardo pieno di chiaro scuri sui tagli necessari da compiere ma anche sui numeri effettivi che ribaltano le semplificazioni mediatichedi Gianpietro Parolin
Siamo investititi quotidianamente da frammenti di informazione sulla cosa pubblica, talora per alimentare il consenso, più spesso per generare indignazione e curiosità che piace a molti, media compresi: dal mitico milione di posti di lavoro al famigerato 3% del rapporto deficit/pil, passando per gli stipendi dei parlamentari …. ce n’è per tutti i gusti. Tuttavia, da queste miriadi di tasselli risulta difficile ricostruire un puzzle che offra una visione completa e proporzionata dei fenomeni interessati.
Per questo il libro di Carlo Cottarelli “La lista della spesa. La verità sulla spesa pubblica italiana e su come si può tagliare” ( Feltrinelli 2015) costituisce un contributo unico nel suo genere.
Attingendo al proprio lavoro, come commissario alla spending-review, e a quello dei propri predecessori, l’economista cremonese da tempo al Fondo monetario internazionale, in poco meno di duecento pagine, accessibili anche ai non addetti ai lavori, racconta lo stato di salute dell’intera macchina amministrativa italiana, avanzando proposte di miglioramento laddove ce ne fosse bisogno.
Con dovizia di dati, approfondimenti in nota, e confronti internazionali, numerose “leggende metropolitane” sulla spesa pubblica italiana si sciolgono come neve al sole: si scopre per esempio che,nonostante singoli casi di malasanità, a grande impatto emotivo-mediatico, il sistema sanitario italiano nel suo complesso è uno dei migliori al mondo, sia per costo che per qualità dei servizi. Non solo, ma le inefficienze nella spesa sanitaria delle singole regioni sono pagate dai cittadini delle medesime. E per fare un altro esempio, la numerosità dei dipendenti pubblici italiani rapportata all’intera forza lavoro risulta inferiore alla media Ocse.
Il lavoro di Cottarelli scompone e scandaglia gli oltre 800 miliardi di spesa pubblica in Italia (oltre la metà del Pil), inclusi 80 miliardi di interessi per il debito, individuando in modo chiaro e comprensibile chi spende e quanto spende. Facendo una classifica, al primo posto troviamo gli enti previdenziali (Inps) con quasi metà della spesa pubblica (43%); nel podio ci sono poi le amministrazioni centrali (ministeri e altri enti) che usano un quarto della torta, infine le regioni (140 miliardi) con un quinto della spesa. A seguire, e ben distanziati, i comuni con circa 60 miliardi. Le famose provincie, la cui eliminazione sarebbe, secondo alcuni, una panacea delle spesa, valgono 9 miliardi.
L’analisi della spesa previdenziale (pensioni e altri trasferimenti) racconta dell’eccesso di generosità della politica italiana nei confronti delle generazioni passate, che rappresentano oggi un terzo degli elettori. Alla luce dei dati si capisce, allora, il valore prospettico delle riforme pensionistiche attuate a partire dagli anni novanta: con queste riforme il nostro Paese ha intrapreso un percorso verso l’equità fra generazioni e la sostenibilità della spesa nel medio e lungo periodo, percorso che altri grandi Paesi come la Germania o gli Stati Uniti ancora non hanno iniziato, ma presto dovranno fare.
Per gli appassionati di casta e dintorni, Cottarelli analizza le auto blu, i costi della politica dal Quirinale al finanziamento dei partiti, le “mancette” e i piccoli contributi ad improbabili iniziative locali. Visti nell’insieme questi temi assumono la giusta proporzione di temi “simbolici”, con scarso impatto rispetto all’intero quadro della spesa pubblica rispetto a quanto ci si aspetterebbe dalla loro rilevanza mediatica. Basti dire che le auto blu nel complesso (inclusi autisti) valgono 350 milioni. In ogni caso, su tutti questi temi sono già stati realizzati interventi significativi, come la riduzione degli stipendi dei dirigenti apicali dello Stato.
Il libro propone altri contenuti significativi, dalla spesa militare all’analisi della macchina amministrativa, offrendo una chance a tutti i cittadini di comprendere come vengono e potrebbero ancor meglio essere utilizzate, quelle imposte e tasse che qualcuno ha giustamente definito “belle”, proprio perché consentono l’erogazione dei servizi essenziali nelle nostre comunità.