La parabola del buon Samaritano mi riguarda?
di Matteo Crimella
L’espressione è entrata addirittura nel linguaggio comune: dire che qualcuno si comporta da “buon samaritano” è riconoscergli un certo modo di agire, attribuirgli un compito ben preciso all’interno del contesto in cui opera. È il volontario che si prende cura del bambino o dell’anziano, sono i membri di un’associazione che intervengono per affrontare un’emergenza, è la Caritas che sostiene le famiglie che non arrivano a fine mese, solo per fare alcuni esempi. Pare, infatti, che il personaggio descritto dalla parabola di Gesù crei un paradigma di comportamento capace di interpretare la gratuità, la dedizione, l’attenzione a chi soffre. In effetti la parabola ha ispirato i cristiani di ogni tempo e di ogni latitudine a operare a favore delle persone, senza confini di razza, religione, appartenenza.
Il racconto di Gesù mette in scena un episodio di brigantaggio, senza avere alcuna pretesa di essere un’analisi economico-sociale; la narrazione ha qualcosa di pittoresco, ma non v’è nulla che assomigli a una riflessione scientifica. La parabola però continua a inquietare, non smette di suscitare domande, certamente affascina. Riprendere in mano oggi questo brano evangelico significa lasciarsene provocare ancora una volta e interrogarsi sul senso delle iniziative che si ispirano a esso e sul modo in cui sono svolte.
Luca 10,25-29
25 Ed ecco, un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». 26Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». 27Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». 28Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai». 29Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?».
Un incontro
La parabola è inquadrata dentro una cornice, il dialogo fra un dottore della Legge e Gesù (cfr Luca 10,25-29.36-37). V’è anzitutto un’ostilità nascosta da parte del dottore; Gesù lo ignora ma non i lettori, informati dal narratore a proposito delle intenzioni dell’uomo: egli si reca dal maestro per metterlo alla prova e, benché ponga una domanda colma di profondità e di intelligenza, non è mosso da intenzioni sincere.