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Quest’anno abbiamo bisogno di ricevere dei torti

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Sherry Antonetti - pubblicato il 11/01/16

Se intendiamo davvero quello che diciamo nel Padre Nostro, dovremmo cercare opportunità per perdonare e per chiedere perdono

Volete crescere nella misericordia in questo Anno Giubilare della Misericordia?

Chiedete perdono.

Viviamo in un’era in cui chiediamo scusa per ciò che non può essere cambiato. Chiediamo scusa per aver offeso quando non si intendeva offendere. Chiediamo scusa per il fatto di essere qualsiasi cosa siamo e che offende, ma questi mea culpa significano poco. Richiedono poco. Non cambia niente. Le parole senza le azioni sono morte; nulla viene guarito. La persona che ha detto “Mi dispiace che tu soffra o che ti sia sentito offeso” ricade nella falsa umiltà di aver detto qualcosa senza una vera azione o un vero cambiamento, mentre la persona ferita prova la frustrazione di non aver ricevuto giustizia.

I frutti negativi delle scuse vuote sono più facili da individuare nel microcosmo quotidiano. Quando i miei figli litigano, le scuse arrivano rapidamente, ma spesso il “mi dispiace” è offerto guardando a terra o distogliendo lo sguardo dall’altra persona. Dichiarazioni di questo tipo fanno sentire chi lo offre più calmo, ma “Cosa? Ho detto che mi dispiace!” non è una grande offerta. È una richiesta che l’altro metta da parte i suoi sentimenti di dolore e faccia finta che qualsiasi cosa sia accaduta non sia avvenuta o non abbia fatto male. Dire semplicemente “Mi dispiace” a casa nostra non funziona.

Perché? I miei figli vi direbbero “Devi intenderlo davvero”. L’unico modo in cui la misericordia non viene ridotta alla mera licenza di infastidire la sorella e farla franca è perché il perdono è un dono dalla persona offesa all’aggressore. La pace viene con l’offerta della misericordia piuttosto che con la richiesta che chiunque vada avanti e se ne dimentichi.

E allora perché non si verifica più spesso? Per la stessa ragione per cui i miei figli provano ancora le scuse al muro quando vengono messi all’angoletto. Chiedere di essere perdonati è una sottomissione della volontà, un abbassamento delle difese. È chiedere all’altra persona, quella che è stata offesa, un dono. È anche offrire all’altra persona l’opportunità di trasmettere un dono, di essere un condotto di grazia – o no. Implica un rischio. L’altro potrebbe dire di no. Se la persona non potesse dire di no, non sarebbe un dono.

È difficile chiedere a un altro di perdonarci, ed è ancora più difficile offrire quel perdono, ma i miei figli vi diranno che mamma parla del dono della misericordia, di come perdonarci ci permetta di praticare la misericordia come Dio nostro Padre garantisce misericordia. Chiedere è essere il servo in debito con il re. Offrire misericordia (come ha fatto il re, anche se il servo si è mostrato ingrato) è rimettere le cose a posto.

Quando recitiamo il Padre Nostro, dovremmo ricordare che chiediamo di essere perdonati come noi perdoniamo gli altri. Se è la nostra vera preghiera, se è quello che vogliamo da Dio nostro Padre, allora dobbiamo cercare costantemente le opportunità per garantire la misericordia che vogliamo ricevere, e allo stesso modo riconoscere, quando abbiamo fatto un torto agli altri, che dobbiamo supplicare con tutto il nostro cuore “Per favore, perdonami”. Quando chiediamo o offriamo il perdono, in tutte le parti prende piede la vera guarigione, e giustizia e pace si baceranno – anche se i fratelli e le sorelle si limitano a stringersi la mano.

Sherry Antonetti è stata educatrice speciale e attualmente è una scrittrice freelance. Ha 10 figli. Scrive su Catholicmom.com e sul suo blog, Chocolate for Your Brain. Si può contattare via e-mail all’indirizzo sherryantonettiwrites@yahoo.com.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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