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Gli astronomi e l’Epifania. Magi o pastori?

Observatório Astronômico Vaticano – it

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L'Osservatore Romano - pubblicato il 06/01/16

Una riflessione di Padre Guy Consolmagno, gesuita e direttore della Specola Vaticana

di padre Guy Consolmagno, SJ

La festa dell’Epifania è speciale per noi astronomi. Tra tutte le persone accorse per vedere il Salvatore appena nato, solo i pastori e gli astronomi sono ricordati in modo specifico. Naturalmente questa fama ha un costo. L’Epifania è anche un tempo in cui noi astronomi siamo bersagliati da richieste di “spiegare” la stella di Betlemme. Giovanni Keplero cercò, com’è noto, di spiegare la stella come una “nova” prodotta dalla congiunzione di pianeti.
Il 9 ottobre 1604 calcolò una congiunzione di Marte, Giove e Saturno; la notte seguente, all’improvviso in quella parte del cielo, tra Giove e Saturno, apparve una stella luminosa. Keplero giunse alla ovvia, ma errata, conclusione che in qualche modo era la congiunzione di pianeti a causare la nuova stella. Oggi identifichiamo quella nuova stella come una supernova, l’ultima avvistata nella nostra galassia. Tra le altre cose, questa supernova ha ispirato a Galileo una serie di lezioni sull’astronomia e alla fine lo ha portato al primo utilizzo di un telescopio per studiare le stelle. Era il 1609, lo stesso anno in cui Keplero pubblicò la prima delle sue famose leggi sul moto planetario. L’idea di utilizzare questa supernova per spiegare la stella di Betlemme venne a Keplero dopo essersi imbattuto in un libro del polacco Laurentius Suslyga, che collocava la nascita di Gesù intorno al 4 prima dell’era cristiana. Presumendo che le grandi congiunzioni come quella che aveva appena osservato portassero a “nuove stelle” luminose, decise di cercare una tale congiunzione nel tempo indicato per la nascita di Gesù. Non c’è da stupirsi che l’abbia trovata. E non è stato l’ultimo a farlo. Da allora, migliaia di studiosi dilettanti hanno esaminato le tavole delle congiunzioni — e oggi i programmi planetari dei computer — per trovare probabili spiegazioni. Il fatto è che esiste un numero infinito di disposizioni planetarie possibili o di comete o di stelle che esplodono, che possono coincidere con i calcoli (altrettanto numerosi) per determinare la vera data di nascita di Gesù. Il risultato di una ricerca recente per “stella di Betlemme” lanciata su amazon.com è stato di oltre quattromila libri e video in vendita sull’argomento.

E praticamente tutti sono convinti che la loro argomentazione sia quella corretta. Senza dubbio la maggior parte di queste spiegazioni — e forse anche tutte — sono mere coincidenze, proprio come la fortuita disposizione dei pianeti e della supernova che nel 1604 ha ingannato Keplero. Un libro che espressamente non cerca di dare una spiegazione astronomica è quello scritto dal collega gesuita alla Specola vaticana, Paul Müller, e da me. Invece di discutere su quale congiunzione funzioni meglio, poniamo una domanda diversa: perché è tanto importante? Non lo intendiamo in maniera impertinente. È interessante osservare che cosa esattamente in questa storia ha tanto affascinato numerose generazioni di astronomi e di appassionati. Forse in parte si tratta della speranza che la scienza possa “dimostrare” che la Bibbia dice il vero; si tratta di una falsa speranza, poiché, parlando da scienziato, io stesso so quanto queste prove possano essere esili (né mi fiderei di una qualsiasi religione per la sola ragione che la scienza l’ha “dimostrata”). Ma in parte sicuramente dev’essere per il nesso tra la gloria delle stelle di notte e la gloria del Salvatore in mezzo a noi. È questo, ne sono sicuro, il collegamento che Matteo cercava di stabilire. Di fatto, la mia esperienza di scienziato mi fa avvicinare al racconto dei magi con una serie completamente diversa di domande prive di risposta. Cosa li ha spinti a mettersi in viaggio e ad allontanarsi tanto dalle comodità delle loro case? Che cosa cercavano in realtà?

Osservando le motivazioni che animano molti miei colleghi scienziati, non mi è difficile credere che i magi potrebbero essere stati mossi da diverse ragioni, sia profonde sia profane. Forse cercavano di verificare l’accuratezza delle loro previsioni astrologiche. Forse volevano allontanarsi da un capo irritante e da una vita familiare infelice. Forse cercavano un re degno della loro venerazione. Un altro mistero per me è come hanno riconosciuto Gesù quando lo hanno trovato. Allora, come anche adesso, le persone immerse negli studi, secondo uno stereotipo, tendevano e tendono a essere meno in sintonia con le realtà della vita comune. Almeno per me, un neonato sembra uguale all’altro. E tuttavia essi seppero lasciare i loro doni a un bambino povero in una mangiatoia. E forse la parte più importante del racconto dei magi non ha nulla a che vedere con la stella stessa. Dopo aver lasciato le loro case, qualunque fosse la ragione, e dopo aver incontrato colui che riconobbero come re, fecero una cosa del tutto inattesa: tornarono a casa. Da quel capo irritante o alla vita familiare infelice. A quei noiosi calcoli astronomici. Tornarono, dalla loro ricerca di un re, pur avendolo trovato. Ma, come ci dice Matteo, tornarono per un’altra strada. L’incontro li cambiò. Eppure non cambiò la loro vita o il loro lavoro, né il modo in cui scoprivano la verità. I “saggi” erano studiosi, proprio come quelli che oggi lavorano nell’osservatorio vaticano. Ma lo studio non è l’unica via verso la verità. Anche i pastori scoprirono il bambino nella mangiatoia. Furono ispirati dal canto degli angeli. Ed è strano che oggi nessuno chieda ai pastori di “spiegare” quel canto! Padre James Kurzynski, prete della diocesi di La Crosse, nel Wisconsin, ha scritto di questo contrasto nel blog della Specola vaticana. Padre Kurzynski è un astronomo dilettante, cioè un saggio, ma anche un sacerdote, un pastore di anime. Alla fine della sua riflessione domanda ai lettori: «Voi come arrivate alla verità? Siete uno dei “magi” che gravita verso la ragione naturale? Siete un “pastore” sottomesso alla rivelazione divina? O magari un po’ di entrambi?». Il racconto dei magi ci ispira a guardare al nostro cammino. Che stiamo cercando? Perché lo cerchiamo? Come lo riconosceremo quando lo troveremo? E siamo abbastanza coraggiosi da riportarlo a casa quando lo avremo trovato?

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE

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