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Il sufismo: la mistica islamica opposta all’islamismo?

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María Ángeles Corpas - Aleteia - pubblicato il 04/01/16

Molti identificano il sufismo con una mistica simile a quella cattolica

Una spiritualità profonda che cerca di andare al di là dell’osservanza e del compimento della legge e dei costumi del Profeta. Una relazione sensibile con Dio attraverso il Corano. Una via alla quale ogni musulmano può accedere e che per le sue caratteristiche non lascia indifferenti. Da un lato in molti circoli occidentali è servita come porta di ingresso all’universo dell’islam e come polo di attrazione per le religiosità postmoderne, dall’altro, anche se molti hanno adottato le sue forme, ha causato un profondo rifiuto tra i movimenti islamisti.

1. Cos’è il sufismo?
Si potrebbe definire come un insieme di credenze e rituali di carattere ascetico o mistico, una forma di spiritualità chiamata “tasawwuf”. Il termine “sufi” sarebbe collegato alla veste di lana grezza o “suf” che portavano i primi asceti e la cui presenza risale al IX secolo a Kufa. Un segno di rinuncia ai beni materiali che potrebbe accostarsi anche al concetto di “safà”, o purezza.
Il suo obiettivo ultimo sarebbe l’abbandono totale dell’individuo a Dio (fanà) attraverso un’introspezione profonda del contenuto del messaggio rivelato nel Corano. In questo rapporto con Dio, la poesia acquisisce un protagonismo speciale come veicolo di espressione di lode. Pur condividendo con il resto delle correnti mistiche un ideale di conoscenza e di perfezione dell’individuo, il sufismo ha la particolarità di rivolgersi a rivivere il messaggio spirituale di Maometto contenuto nella sua ascensione al cielo (mirach). Questo itinerario ascetico, questa via (tariqa), condurrà al fine attraverso dimore (manazil), gradi (maqanat) e stati (ahwal).
L’ascesi sufi o tariqa presenta variazioni e regole in base ai gruppi o confraternite, ma alcuni elementi sono comuni. In primo luogo, l’esistenza di un sistema gerarchico di disciplina e autorità. Le pratiche rituali sono basate sulla salmodia orale o mentale di giaculatorie (dikr), ripetizioni del nome di Dio fino ad andare in estasi. Ci sono poi l’indifferenza e l’introspezione come oblio di qualsiasi aspetto carnale per l’adepto durante queste pratiche. Dal punto di vista dottrinale, i sufi condividono una fede centrata sul sommo potere della provvidenza divina (tawakkul), l’assunzione totale della volontà di Dio e una metafisica che stabilisce una chiara distinzione tra la letteralità della Rivelazione (sharia) e la verità assoluta dell’essenza divina (haqiqa), alla quale il sufi tende sempre.
2. Come si è evoluto?
All’inizio, nei secoli VIII-IX, il sufismo è stato innanzitutto un atteggiamento di rottura di fronte a una società che si trasformava in modo accelerato, a livello sia economico che ideologico. In questo contesto, il pensiero islamico è centrato sull’elaborazione della giurisprudenza (fiqh) e sull’esegesi o interpretazione coranica (tafsir), elementi imprescindibili per la direzione terrena e l’unificazione della comunità musulmana.
In questo contesto, i primi sufi hanno mostrato la propria estraneità di fronte a queste preferenze legaliste e letteraliste, e hanno preferito farlo attraverso una meditazione che partiva dal Corano, ma sottoponendolo a un’intensa ermeneutica o itinerario esplicativo (tawil). Con questo, si pretendeva di conciliare la direzione spirituale del maestro e la lettera del testo sacro. In modo parallelo, nello stesso contesto, è emersa la gnoseologia o teoria della conoscenza sciita. Questo fatto spiegherebbe in parte le coincidenze tra sufismo e filosofia profetica sciita.
Non stupisce, quindi, che i primi sufi di cui si abbia testimonianza fossero personalità legate al mondo iraniano, il cui esempio si è diffuso nella Bassa Mesopotamia. Il poeta e predicatore al-Hallach, sunnita di origine persiana, con il suo esempio e la sua predicazione è riuscito a penetrare nei circoli degli iniziati e a scommettere sulla forza contenuta in questo islam mistico. È stato giustiziato a Baghdad nel 928 per dissidenza politica, teologica e giuridica perché predicava l’unione dell’uomo con Dio attraverso l’amore, un concetto che parte da bei passi del Corano e dall’hadith “Dio Altissimo li ama ed essi Lo amano” (Corano 5, 34) e “Né la mia terra né il mio cielo mi contengono, ma sono contenuto nel cuore del mio servitore fedele”.

3. Dalla spiritualità al controllo delle tariqa
A causa di questa esecuzione, il sufismo venne assorbito dalla corrente sunnita e il suo riconoscimento dal parte dell’islam scritturale avvenne attraverso pensatori come Abu Hamid al-Gazali (Algazel nelle fonti latine), che cercò di integrare la mistica nella teologia classica.
A partire dal XII secolo, il sufismo si organizzò in tariqa o confraternite, una struttura che venne a mitigare, a frenare l’influenza del sufismo sciita, che propugnava come via spirituale la devozione rituale ai santi imam. Da questo sufismo sunnita sorsero quattro personalità riconosciute unanimemente come i suoi rappresentanti principali: Ibrahim al-Dasuqi (1235-1288), Ahmad al-Badawi, Abd al-Qadir al-Yilani (m.1166) e Ahmad al-Rifai (m. 1182).
Dopo l’invasione mongola e la distruzione di Baghdad nel 1258, che rappresentò una catastrofe all’interno del mondo islamico, sorse all’interno del sufismo un forte rinnovamento, e si diffuse un sufismo legato a piccole moschee intorno alla tomba di qualche santone venerato. In questo senso, la predicazione islamica avvenne in comunità con tradizioni autoctone.
Dal XVI secolo, le tariqa hanno impartito dottrina e impongono un comportamento ascetico strutturato. A volte sono servite come organizzazioni sulle quali si sono basati vari sovrani, una cosa che ha favorito non solo l’immobilismo, ma un’istituzionalizzazione contraria allo spirito e alla pratica rituale dei primi sufi. In questo senso, il ruolo delle confraternite come organizzazioni di controllo della spiritualità aveva come complemento quello che possedevano le madrasa sul piano giuridico.
Nei secoli XIX e XX, le potenze coloniali si sono servite di queste tariqa per tenere la popolazione controllata e soddisfatta, come fece la Francia in Africa con la confraternita tiyani (Ahmad al-Tiyani, m. 1815, Senegal).
4. È riconosciuto dall’islam istituzionale?
Sia i rappresentanti sunniti (ulema) che quelli sciiti (mullah) hanno mostrato nei confronti del sufismo un atteggiamento che oscilla tra la grande riserva e l’aperta ostilità, soprattutto perché lottano con questo per il monopolio della dottrina islamica e principalmente per la capacità di influire sui fedeli. La capacità del sufismo di gettare ponti verso la religiosità popolare gli ha permesso non solo di godere di un riconoscimento popolare, ma anche di canalizzare grandi donazioni di beni di manomorta (habus), donazioni inalienabili a fondazioni sufi. In alcune confraternite, come la tiyani nell’Africa occidentale, l’influenza popolare si verifica attraverso manifestazioni del sentimento religioso decisamente primarie, espresse in amuleti o rogazioni, che diventano inseparabili da questo tipo di islam. Non invano, la devozione ai santoni sufi è diventata una delle connessioni più forti tra musulmani e induisti nell’India attuale.
L’influenza del sufismo è palpabile in numerose manifestazioni della vita culturale, dalla musica alla danza, e soprattutto nella poesia. I poeti mistici sono fioriti nelle principali lingue islamiche nell’epoca classica: in arabo Muhyi al-Din Ibn al-Arabi (m. 1240), in persiano Farid al-Din Attar (m. 1230) e Hafiz (m. 1390), in turco Yunus Emre (m. 1329), in malese Hamza Fanrusi (m. 1600), in urdu Mazhar (m. 1781).
Per i sufi più rigorosi, questo sufismo “artistico” corre il rischio di svilire il messaggio mistico originario e la sua dimensione come vissuto comunitario. In questo modo, potrebbe diventare una semplice espressione folcloristica, come accade con i dervisci. Questo timore si basa sul fatto che tali manifestazioni rappresentano un indubbio polo di attrazione alle religiosità postmoderne del mondo occidentale.
5. La strumentalizzazione del sufismo da parte dei movimenti islamisti
Come si è detto, questa speciale ascendenza del sufismo su ampie fasce della popolazione ha motivato, tra le altre cose, la sua strumentalizzazione da parte dei movimenti islamici. È il caso dei Fratelli Musulmani, il cui fondatore Hasan al-Banna ha scelto per sé il nome di guida (murchid), un concetto proprio dello sceicco di una tariqa, e di Fratellanza (ijwan), con chiare reminiscenze sufi, per la sua organizzazione. In modo complementare, le prime strutture e i primi congressi dei Fratelli Musulmani ricordavano il sistema delle confraternite, inclusi motti e canti. Questa tendenza è stata tuttavia eliminata da Hasan al-Hidaibi, la seconda guida, che ha imposto al movimento l’obiettivo della riabilitazione politica e la sobrietà nelle forme.
Tra le cause strategiche comuni ai movimenti islamisti contemporanei ci sono il rifiuto delle confraternite sufi, l’immobilismo e anche la tendenza a convivere con i poteri istituiti. Questa forte opposizione si radica in Ibn Taimiya (1328), figura di riferimento in questo tipo di movimenti e che ha attaccato energicamente l’influenza delle confraternite in Egitto.
Un altro aspetto di confronto proviene dalla contrapposizione dei termini mirach/egira. L’ideale sufi dell’esperienza ultraterrena del mirach (ascensione ai cieli di Maometto) sottolinea un aspetto che cozza con l’elemento terreno del suo esodo a Medina. Nonostante queste relazioni, non bisogna mai confondere un sufi con un islamista. Anche alcuni musulmani attualmente usano il vocabolo “sufi” come sinonimo di musulmano praticante e opposto a interpretazioni politiche dell’islam.
Bisogna dire che nonostante tutto la diversità del sufismo delle confraternite può ostacolare una valutazione complessiva della sua evoluzione rispetto alla sua posizione di fronte alla modernità. Vanno compiute analisi dettagliate di ogni contesto culturale e sociale, che provocheranno una determinata lettura del Corano degli hadith e della scuola giuridica propria di ogni regione. Possiamo trovare delle diversità all’interno di una stessa tariqa. Attualmente, si può dire che alcune delle tariqa principali siano la chishti (Muin al-Din Chishti, m.1236, Ajmer, India) per il suo numero di seguaci nel subcontinente indiano, la qaridi per la sua diffusione generalizzata in tutto il mondo islamico con numerose ramificazioni, la tiyani per la sua enorme influenza in Africa, soprattutto in Algeria, Marocco e Africa subsahariana, e la naqsbandi (al-Din al-Naqsbandi, m. 1388, Turkestan) per la sua influenza fondamentale nella configurazione dell’islam turcomanno.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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