Il libro “Santi pagani nella Terra di Mezzo di Tolkien” di Claudio Antonio Testi cerca di rispondere a un interrogativo: le opere di Tolkien sono un’epica pagana o un’allegoria cristiana?di Alessandro De Vecchi
John Ronald Reuel Tolkien è uno degli autori di maggior successo della letteratura contemporanea. Libri come Il Signore degli Anelli e Lo Hobbit, ma non solo, sono ancora ricercatissimi, a decenni dalla loro pubblicazione, e sono ormai entrati indelebilmente nell’immaginario comune.
Il tutto è stato ulteriormente amplificato dalle trasposizioni cinematografiche del regista Peter Jackson. Per molto tempo tuttavia le opere tolkeniane non sono state analizzate in modo approfondito. Troppo facile considerare il genere fantasy letteratura di secondo piano, destinata solo a bambini e adolescenti. Negli ultimi anni la situazione è cambiata e all’estero, come finalmente anche in Italia, sono fioriti studi e ricerche sugli scritti in prosa e poesia da cui è nato il mondo immaginario di Arda, dove si trova l’ormai famosissima Terra di Mezzo.
Uno dei dibattiti più accesi riguarda il considerare il Legendarium (termine con cui l’autore stesso definì tutta la sua produzione letteraria) epica laica e pagana o un’allegoria di una visione cristiana, alla luce della profonda fede cattolica di Tolkien. A questo interrogativo cerca di rispondere Santi pagani nella Terra di Mezzo di Tolkien, saggio di Claudio Antonio Testi, scrittore e filosofo, fondatore dell’Istituto filosofico di studi tomistici e, allo stesso tempo, uno dei massimi esperti italiani dell’autore del Signore degli Anelli.
Il libro, ricco di citazioni e riferimenti a decine di altre pubblicazioni, confronta le posizioni dei principali studiosi di Tolkien italiani e stranieri, mettendo in luce gli aspetti a favore dell’interpretazione cristiana e quelli che farebbero propendere per quella laica. Testi ritiene che entrambe le posizioni siano sbagliate in quanto ridurrebbero “la vastità della prospettiva tolkieniana” portando a “ignorare elementi importanti del Legendarium o a forzare i testi”. Propone quindi una soluzione di sintesi per cui le opere di Tolkien rappresenterebbero un’epica e una mitologiapagana che risente però dell’influenza cristiana.
Secondo l’autore, lo scrittore britannico non considererebbe l’avvento del cristianesimo come la negazione di tutta la storia precedente, ma come un’esaltazione e santificazione dei suoi aspetti migliori. Un’idea collegata alla teoria della preaeparatio evangelii, secondo cui il mondo pagano conteneva i prerequisiti del cristianesimo.
Come si evince dal titolo del saggio, Testi sostiene che gli eroi di Arda siano inquadrati in un mondo che religiosamente e teologicamente ha poco a che vedere con quello cristiano. Un mondo quasi completamente laico, in cui la religione, intesa come culto e liturgia, ha pochissimo spazio. Ciò nonostante, questi personaggi sono portatori di valori riconducibili al messaggio cristiano, come la fratellanza e la solidarietà fra popoli diversi, lo spirito di sacrificio per gli altri e l’idea degli umili e apparentemente deboli (gli hobbit) come i veri eroi capaci di salvare il mondo e sconfiggere il male.
Testi ricorda che Tolkien, nelle sue lettere, abbia più volte evidenziato come le sue opere siano state inevitabilmente influenzate dalla fede cattolica, ma non per questo debbano essere lette come un’allegoria religiosa, né tanto meno politica. D’altra parte, come tanti scrittori e intellettuali, Tolkien non è sfuggito alla tendenza di cambiare opinione sui propri lavori, prima e dopo la fase di redazione.
Come sottolinea Testi, lo stesso Tolkien, dopo aver scritto il Signore degli Anelli, si è reso conto di averlo più o meno inconsapevolmente permeato di spiritualità cattolica. Un marchio a lui apparso, a un certo punto, così evidente da spingerlo a eliminare qualunque riferimento a forme di culto nella Terra di Mezzo. Ma questo non significa certo considerarla un’opera puramente cristiana.
Inoltre, secondo Testi, Tolkien avrebbe definito cattolico Il Signore degli Anelli da un punto di vista filosofico e non confessionale, in quanto esempio di come esseri privi dei dogmi e della rivelazione cristiana possa comunque agire in accordo con essa, utilizzando la propria intelligenza e forza morale. Una storia simbolo di una visione che non esclude i pagani dalla possibilità di salvezza.
Testi evidenzia inoltre le possibili similitudini con la narrazione biblica ed evangelica, ma allo stesso tempo ne sottolinea puntualmente le differenze. Come narrato nel Silmarillion, anche Arda ha un unico Dio, Eru Iluvatar, creatore dell’universo e prima ancora degli Ainur, entità divine, paragonabili agli angeli, che però, a differenza di essi, hanno contribuito alla creazione. Come nella narrazione biblica Lucifero, il più splendente degli angeli, si ribella a Dio, generando così il male nel mondo, così Melkor, il più potente degli Ainur, porta avanti la propriamelodia personale, andando contro le istruzioni di Eru al momento della grande musica che ha generato Ea, l’universo. Nel Silmarillion dunque il male nasce durante la creazione e non ne è successivo come nella Bibbia.
A chi ha descritto Frodo Baggins, l’hobbit protagonista del Signore degli Anelli, come una figura cristologica, Testi ribatte che il suo eroismo e la sua determinazione non gli hanno impedito, alla fine, di cedere al potere dell’Unico Anello, un oggetto così potente e malvagio da indurre in tentazione (poi respinta) anche una sapiente dama elfica come Galadriel, inopportunamente paragonata da diversi studiosi alla Madonna. E certamente il pane elficolembas, pur con le sue straordinarie capacità nutritive e rigenerative, non può essere considerato una versionefantasy dell’Eucarestia.
Tantissimi spunti di riflessione che rendono Santi pagani nella Terra di Mezzo di Tolkien un testo da consigliare a chiunque sia appassionato delle opere dello scrittore britannico. La trattazione schematica delle posizioni dei vari studiosi rende la lettura più scorrevole anche nei punti in cui la comprensione potrebbe risultare più difficile. Va dato merito all’autore di essere riuscito a riassumere anni di dibattiti in un volume di meno di 200 pagine, senza però rinunciare all’approfondimento, riferimenti precisi e citazioni puntuali. Un contributo di qualità agli studi su Tolkien, nella speranza che possa aiutare lo scrittore britannico a essere riconosciuto sempre più come il genio che è stato.