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«Io da solo col Papa prima dell’apertura della Porta santa»

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Messaggero di S. Antonio/Creative Commons

Vatican Insider - pubblicato il 06/12/15

Parla Franco Camaldo, per 30 anni cerimoniere pontificio, che racconta la notte di Natale 1974, quando Montini avviò il Giubileo

di Paolo Petrini

Monsignor Franco Camaldo, canonico vaticano, per circa 30 anni cerimoniere pontificio al servizio di san Giovanni Paolo II, di papa Benedetto XVI e di papa Francesco, fu presente all’apertura della Porta santa, nell’ormai lontano 24 dicembre 1974, servendo come chierico al solenne rito e alla successiva santa Messa celebrata dal beato papa Paolo VI nella Basilica vaticana.

Abbiamo chiesto a Camaldo di raccontarci i suoi ricordi e le sue emozioni.

Monsignore, come mai Lei partecipò a quella santa Messa servendo al Papa come chierico ministrante incaricato di portare il libro, come si evince dalle foto del tempo?
«La decisione fu dell’allora maestro delle Cerimonie pontificie, monsignor Virgilio Noè, che scelse i chierici del Pontificio Seminario romano maggiore – fra i tanti seminari e collegi che ne avevano fatto richiesta – per svolgere il servizio liturgico in quella solenne celebrazione. E Monsignor Rettore scelse 15 seminaristi: fra questi anch’io. In verità io avevo già prestato servizio al Papa altre volte e la prima il 20 febbraio 1971 (quindi 44 anni fa, avevo 19 anni) quando papa Paolo VI venne in Seminario per la festa della Madonna della Fiducia, Patrona del nostro Seminario».

Quale era il clima in quel tempo: si era parlato anche della possibilità di non celebrare l’Anno santo, perché ad alcuni sembrava anacronistico.
«Si, è vero! C’era stato un movimento contrario alla celebrazione dell’Anno santo: bisogna ricordare che siamo a pochi anni dalla conclusione del Concilio Vaticano II e papa Paolo VI aveva iniziato un’opera di grande rinnovamento della Chiesa e della Curia, proprio per attuare le disposizioni e i principi emanati dall’assise conciliare. E per questo alcuni chiedevano al Papa di non celebrare l’Anno santo, che a loro sembrava una commemorazione direi quasi folkloristica e non adeguata ai segni dei tempi di cui tanto si parlava. E il Papa infatti, all’annuncio dell’indizione, disse: ”Ci siamo domandati se una simile tradizione meriti d’essere mantenuta nel tempo nostro, tanto diverso dai tempi passati, e tanto condizionato, da un lato, dallo stile religioso impresso dal recente Concilio alla vita ecclesiale, e, dall’altro, dal disinteresse pratico di tanta parte del mondo moderno verso espressioni rituali d’altri secoli; e ci siamo subito convinti che la celebrazione dell’Anno Santo, non solo può innestarsi nella coerente linea spirituale del Concilio stesso, alla quale preme a Noi di dare fedele svolgimento, ma può benissimo corrispondere e contribuire altresì allo sforzo indefesso e amoroso che la Chiesa rivolge ai bisogni morali della nostra età, all’interpretazione delle sue profonde aspirazioni, e anche alla onesta condiscendenza verso certe forme delle sue espressioni esteriori preferite” (allocuzione all’udienza generale, mercoledì 9 maggio 1973). E vorrei ricordare anche un passo della Bolla di Indizione che allora mi colpì molto e che mi fece meglio comprendere il significato e la valenza della celebrazione.

Il Papa scriveva: “Saranno un rinnovamento e una riconciliazione interiori, anzitutto, perché è nel profondo del cuore la radice di ogni bene e, purtroppo, di ogni male; è là, dunque, che deve avvenire la conversione, o metanoia, cioè il cambiamento di orientamento, di mentalità, di scelta, di vita. Ma anche per la chiesa nel suo insieme, ci sembra che, a dieci anni dalla fine del concilio Vaticano II, l’anno santo possa essere la conclusione di un tempo di riflessione e di riforma e l’apertura di una nuova fase di costruzione teologica, spirituale e pastorale che si sviluppi sulle basi faticosamente gettate e consolidate negli scorsi anni, sempre secondo i principi della vita nuova in Cristo e della comunione di tutti in lui, che ci ha riconciliato al Padre con il suo sangue” (Apostolorum Limina, 1). Mi sembrano proprio parole straordinarie che denotano la dignità, la forza e la lungimiranza di questo grande Papa, e l’amore sconfinato che egli ha avuto per la Chiesa (come non ricordare le parole ultime del suo testamento: ”E sento che la Chiesa mi circonda: o santa Chiesa, una e cattolica ed apostolica, ricevi col mio benedicente saluto il mio supremo atto d’amore”)».

Ci fu, quindi, anche una preparazione adeguata a questa apertura della porta santa?
«Certamente! Ci si preparò molto e con intensità di impegno, di entusiasmo e direi di passione. Il Papa dall’annuncio dell’Anno santo parlò spesso di come prepararsi a questo grande evento: e la risposta fu proprio una corale partecipazione da parte di tutti secondo le proprie competenze e le proprie capacità. Per quanto riguarda l’apertura della Porta santa ci furono anche alcuni cambiamenti del rito, con nuovi testi preparati dall’Ufficio delle Cerimonie pontificie e approvati dal Santo Padre. In verità c’era già stato un profondo rinnovamento e un radicale cambiamento delle celebrazioni papali – fortemente desiderato dal Papa stesso – con l’abolizione di quell’apparato di corte che ruotava intorno al pontefice celebrante e che certamente non era più consono ai tempi».

Ci racconti qualche momento di quella notte santa sia perché era la vigilia di Natale sia perché si apriva l’Anno santo.
«Noi seminaristi, alla preparazione spirituale nei mesi precedenti (in seminario il Rettore aveva chiamato alcuni relatori a parlarci dell’Anno santo) aggiungemmo la preparazione immediata alla Celebrazione: monsignor Noè ci aveva fatto ripetere le prove per ben tre volte la sera precedente e ancora il mattino stesso del 24 dicembre. Si avvertiva un clima di eccitazione per la novità e la straordinarietà dell’avvenimento, ma nel contempo si coglieva anche la convinzione di poter vivere un momento unico e privilegiato di fede e di partecipazione alla vita della Chiesa. Quando il Maestro ci congedò verso mezzogiorno, ci disse che la sera dovevamo partire dal Seminario in tempo utile per giungere a San Pietro anche a piedi, se fosse stato necessario! Arrivati, trovammo già tutti presenti, anche il regista Franco Zeffirelli, che aveva avuto l’incarico della regia dell’evento, e che sentiva molto la responsabilità, la gravità e il peso di quel compito. Monsignor Noè ci fece ripetere ancora una volta la cerimonia dell’apertura e, alla fine, eravamo pronti per la celebrazione».

Ma se dovesse dire quale è stato il momento che più le è rimasto impresso nel cuore?
«Senz’ombra di dubbio il momento in cui io sono rimasto da solo con il Papa nella piccola sagrestia che si trova a destra della cappella della Pietà – e dove ancora oggi il Papa assume i paramenti – qualche minuto prima dell’inizio della Celebrazione. Papa Paolo era arrivato con un notevole anticipo (circa 20 minuti): quella sera, come rivelò in seguito il suo fedele e fidato segretario particolare monsignor Pasquale Macchi, il Papa portava un cilicio, in spirito di sacrificio e di penitenza per il bene della Chiesa. Io fungevo da chierico del libro e quindi ero nella sagrestia e assistetti alla vestizione del Papa che fu aiutato dal Maestro e da monsignor Orazio Cocchetti, cerimoniere pontificio. Al termine il Santo Padre volle rivedere i testi latini che egli avrebbe dovuto leggere di lì a poco. Noè mi fece cenno e io mi avvicinai al Papa con il libro aperto ed egli cominciò a leggere e a sfogliare le pagine con la mano destra mentre con la sinistra teneva la croce pastorale. A quel punto Macchi chiamò Noè e Cocchetti che uscirono, e io rimasi solo con il Papa: un’emozione sconvolgente ma allo stesso tempo rassicurante, il cuore mi batteva come non mai! Dopo poco il Papa chiuse il libro e mettendomi la mano sulla spalla, con i suoi occhi fissi nei miei, mi chiese da dove venissi e io risposi con un filo di voce: Sono del Seminario romano! E il Papa: Bene, bene, il nostro Seminario: preghiamo insieme! Ritornarono tutti in sagrestia e l’incantesimo finì. Ho ripensato spesso a quel momento e mi dicevo: quale grande gesto di tenerezza e di bontà – immeritatamente – mi ha concesso il Signore. In quella notte, essere solo con il Papa e poi vivere quella straordinaria celebrazione al suo fianco. Potrei mai dimenticare?».

Un’ultima domanda: Lei era proprio alla sinistra del Papa davanti alla Porta santa al momento dell’apertura. Si parlò molto allora, e se ne parla ancora oggi, del fatto che il Papa fosse stato colpito o almeno raggiunto dai calcinacci che caddero dalla Porta santa? È vero?

«Assolutamente no! Il Papa non fu neppure sfiorato – come del resto nemmeno io e mi si perdoni l’accostamento – dai calcinacci. Cosa era successo. La notte precedente l’apertura ufficiale, i sanpietrini, diretti da Francesco Vacchini, addetti alla macchina (come veniva chiamata) che doveva imbracare l’intera parete di mattoni, avevano fatto una prova perché l’operazione era particolarmente ardua e difficoltosa, anche perché si faceva ogni 25 anni! Portata a termine felicemente la prova, risistemarono tutto e misero un piccolo strato di calce ai bordi esterni della parete e quindi, quando la parete piano piano venne giù sulla macchina, questi calcinacci caddero, ma noi eravamo almeno a 50 centimetri di distanza e pertanto non successe nulla, anche se dalla ripresa televisiva sembrò che il Papa fosse stato colpito».

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