Parla Franco Camaldo, per 30 anni cerimoniere pontificio, che racconta la notte di Natale 1974, quando Montini avviò il Giubileo
di Paolo Petrini
Monsignor Franco Camaldo, canonico vaticano, per circa 30 anni cerimoniere pontificio al servizio di san Giovanni Paolo II, di papa Benedetto XVI e di papa Francesco, fu presente all’apertura della Porta santa, nell’ormai lontano 24 dicembre 1974, servendo come chierico al solenne rito e alla successiva santa Messa celebrata dal beato papa Paolo VI nella Basilica vaticana.
Abbiamo chiesto a Camaldo di raccontarci i suoi ricordi e le sue emozioni.
Monsignore, come mai Lei partecipò a quella santa Messa servendo al Papa come chierico ministrante incaricato di portare il libro, come si evince dalle foto del tempo?
«La decisione fu dell’allora maestro delle Cerimonie pontificie, monsignor Virgilio Noè, che scelse i chierici del Pontificio Seminario romano maggiore – fra i tanti seminari e collegi che ne avevano fatto richiesta – per svolgere il servizio liturgico in quella solenne celebrazione. E Monsignor Rettore scelse 15 seminaristi: fra questi anch’io. In verità io avevo già prestato servizio al Papa altre volte e la prima il 20 febbraio 1971 (quindi 44 anni fa, avevo 19 anni) quando papa Paolo VI venne in Seminario per la festa della Madonna della Fiducia, Patrona del nostro Seminario».
Quale era il clima in quel tempo: si era parlato anche della possibilità di non celebrare l’Anno santo, perché ad alcuni sembrava anacronistico.
«Si, è vero! C’era stato un movimento contrario alla celebrazione dell’Anno santo: bisogna ricordare che siamo a pochi anni dalla conclusione del Concilio Vaticano II e papa Paolo VI aveva iniziato un’opera di grande rinnovamento della Chiesa e della Curia, proprio per attuare le disposizioni e i principi emanati dall’assise conciliare. E per questo alcuni chiedevano al Papa di non celebrare l’Anno santo, che a loro sembrava una commemorazione direi quasi folkloristica e non adeguata ai segni dei tempi di cui tanto si parlava. E il Papa infatti, all’annuncio dell’indizione, disse: ”Ci siamo domandati se una simile tradizione meriti d’essere mantenuta nel tempo nostro, tanto diverso dai tempi passati, e tanto condizionato, da un lato, dallo stile religioso impresso dal recente Concilio alla vita ecclesiale, e, dall’altro, dal disinteresse pratico di tanta parte del mondo moderno verso espressioni rituali d’altri secoli; e ci siamo subito convinti che la celebrazione dell’Anno Santo, non solo può innestarsi nella coerente linea spirituale del Concilio stesso, alla quale preme a Noi di dare fedele svolgimento, ma può benissimo corrispondere e contribuire altresì allo sforzo indefesso e amoroso che la Chiesa rivolge ai bisogni morali della nostra età, all’interpretazione delle sue profonde aspirazioni, e anche alla onesta condiscendenza verso certe forme delle sue espressioni esteriori preferite” (allocuzione all’udienza generale, mercoledì 9 maggio 1973). E vorrei ricordare anche un passo della Bolla di Indizione che allora mi colpì molto e che mi fece meglio comprendere il significato e la valenza della celebrazione.