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Quella reazione di Francesco alla domanda su AIDS e preservativo

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©POOL-OR/CATHOLICPRESSPHOTO

Andrea Tornielli - Vatican Insider - pubblicato il 02/12/15

Una risposta completa e complessa da parte del Santo Padre di ritorno dall'Africa

Non era mai accaduto finora che Francesco, al quale durante le conferenze stampa sull’aereo sono state poste domande di ogni genere, reagisse come è accaduto ieri sul volo Bangui-Roma, quando un giornalista tedesco esperto di Africa gli ha chiesto, dopo aver parlato della diffusione epidemica dell’AIDS, se non fosse il caso per la Chiesa di cambiare posizione sul no al preservativo. Il Papa ha definito la domanda «parziale», quindi l’ha paragonata a quelle che venivano poste a Gesù dai dottori della legge per poterlo accusare. Quella citata dal Pontefice è riportata nel capitolo 12 del Vangelo  di Matteo: «È lecito o no guarire di sabato?».

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Francesco ha ricordato che sì, il condom «è uno dei metodi» per limitare la diffusione dell’infezione e che «la morale della Chiesa si trova su questo punto di fronte a una perplessità», dovendo tenere presente sia la necessità di preservare la vita delle persone evitando che vengano infettate, sia di difendere l’esercizio di una sessualità aperta alla trasmissione della vita. «Ma questo non è il problema – ha aggiunto il Papa – Il problema è più grande». «È obbligatorio guarire!» ha spiegato, facendo propria la risposta di Gesù che guarì il malato di idropisia nonostante fosse sabato. E ha continuato: «La malnutrizione, lo sfruttamento, il lavoro in schiavitù, la mancanza di acqua potabile, questi sono i problemi. Non parliamo se si può usare tale cerotto per una tale ferita. La grande ingiustizia è una ingiustizia sociale, la grande ingiustizia è la malnutrizione. Non mi piace scendere a riflessioni casistiche quando la gente muore per mancanza di acqua e per fame. Pensiamo al traffico delle armi. Quando non ci saranno più questi problemi credo che si potrà fare la domanda: è lecito guarire di sabato? Perché si continuano a fabbricare armi? Le guerre sono il motivo di mortalità più grande. Non pensare se è lecito o non è lecito guarire di sabato. Fate giustizia, e quando tutti saranno guariti, quando non ci sarà l’ingiustizia in questo mondo possiamo parlare del sabato». Bergoglio ha dunque invitato a uno sguardo realista sulla realtà e sui mali dell’Africa.

Il ricordo non può che correre a un’altra intervista sull’aereo e a un altro Papa alla sua prima visita in Africa. Era il marzo 2009 e a Benedetto XVI venne posta una domanda simile sul presunto scarso «realismo» della Chiesa nella lotta all’AIDS durante il volo da Roma a Yaoundé, in Camerun. «Io direi il contrario – fu la risposta – Perché la realtà più presente e più efficiente nella lotta contro l’AIDS è proprio la Chiesa cattolica… Direi che non si può superare questo problema solo con soldi, pur necessari, ma se non c’è l’anima, se gli africani non aiutano, non si può superare con la distribuzione di preservativi, che al contrario aumentano il problema. La soluzione può essere solo duplice. La prima: umanizzazione della sessualità, cioè rinnovo spirituale umano che comporta nuovo modo di comportarsi l’un l’altro e secondo una vera amicizia soprattutto verso le persone sofferenti, e una disponibilità anche con sacrifici e rinunce personali per essere vicini ai sofferenti. E questi sono i fattori che aiutano e che portano con sé veri e visibili progressi».

Il riferimento del Pontefice al fatto che la semplice distribuzione a pioggia di preservativi non risolve il problema era fondato sui fatti. Le campagne anti-AIDS che hanno avuto successo sono state quelle basate sul richiamo alla fedeltà della coppia, sull’invito a ritardare i rapporti sessuali precoci tra adolescenti, e sul preservativo consigliato per certe categorie più a rischio (omosessuali, persone tossicodipendenti, prostitute). In Uganda una campagna con queste prerogative aveva fatto sì che si passasse, nel decennio 1991-2001, dal 15 al 5 per cento di popolazione infettata.

C’è poi da ricordare che aperture all’utilizzo del profilattico in particolare per categorie a rischio o nei rapporti di coppia in caso di un coniuge sieropositivo, non sono nuove nella Chiesa: in questo senso si erano espressi negli ultimi decenni i cardinali Carlo Maria Martini, Dionigi Tettamanzi, Javier Lozano Barragán, Georges Cottier. A dire lo stesso, provocando reazioni varie e anche qualche mal di pancia, sarà nel 2010 Benedetto XVI, nel libro intervista con Peter Seewald «Luce del mondo».

«Concentrarsi solo sul profilattico – aveva risposto Papa Ratzinger – vuol dire banalizzare la sessualità, e questa banalizzazione rappresenta proprio la pericolosa ragione per cui tante e tante persone nella sessualità non vedono più l’espressione del loro amore, ma soltanto una sorta di droga, che si somministrano da sé. Perciò anche la lotta contro la banalizzazione della sessualità è parte del grande sforzo affinché la sessualità venga valutata positivamente e possa esercitare il suo effetto positivo sull’essere umano nella sua totalità».

Il Papa però aggiunge: «Vi possono essere singoli casi giustificati, ad esempio quando una prostituta utilizza un profilattico, e questo può essere il primo passo verso una moralizzazione, un primo atto di responsabilità per sviluppare di nuovo la consapevolezza del fatto che non tutto è permesso e che non si può far tutto ciò che si vuole». Tuttavia, conclude, «questo non è il modo vero e proprio per vincere l’infezione dell’HIV. È veramente necessaria una umanizzazione della sessualità».

Dunque nel caso preciso di chi si prostituisce, il Pontefice nel libro intervista ammetteva l’uso del condom al fine di non infettare il cliente, anche se questo dovrebbe essere solo «un primo passo verso la moralizzazione». Tra l’altro, nel testo originale tedesco, Benedetto XVI non aveva usato la parola «prostituta» al femminile ma il termine al maschile, «prostituto». A questo proposito, il portavoce vaticano padre Federico Lombardi aveva osservato che per il Papa non era importante che il soggetto fosse al maschile o al femminile: «Il punto è la responsabilità nel tener conto del rischio della vita dell’altro con cui si ha il rapporto. Se lo fa un uomo, una donna o un transessuale è lo stesso».

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE

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