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Preghiera per allontanarsi dalla superficialità

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padre Carlos Padilla - pubblicato il 02/12/15

"Brucia in me ciò che è impuro, i rami secchi, dammi la profondità di cui ho bisogno..."

Gli alberi immensi mi colpiscono. Dicono che gli alberi hanno tanto legno elevato al cielo quanto legno nascosto dal tronco e dalle radici fino al più profondo della terra. Questo fatto mi sorprende. Quello che vediamo e quello che non vediamo è lo stesso.

Tanto alto e così profondo. Arriva alle nubi, affonda nella terra. Se non fosse così, cadrebbe quando viene sferzato dal vento, e perderebbe stabilità con la prima raffica, con le prime acque.

Per questo, come gli alberi, quello che si vede di me fuori dovrebbe essere uguale a quello che non si vede di me dentro. Mi sento lontano. Sono più alto che profondo, più visibile che invisibile.

A volte sembro alto, solo in apparenza. Sono poco profondo. Poche radici. Forse perché l’apparenza è più forte di quello che sono in realtà.

E forse i miei rami, apparentemente verdi e pieni di foglie, non corrispondono a radici profonde che cercano fonti eterne che mantengano la freschezza della mia speranza. Non lo so. Quello che gli altri vedono, quello che io sono e vedo. Quello che vede Dio guardandomi dentro.

Scavando a fondo nell’anima trovo il mio mistero. Le mie radici o sono profonde o mi secco.

Una persona pregava: “Forse non sono un albero sano. Forse non do buoni frutti. Di tanto in tanto mi fa paura, Gesù. E so che il frutto è tuo. Ma a volte penso che sia mio. I miei successi. Senza tener conto di te. Voglio confidare in quello che Tu riesci a fare con la tua mano. Voglio essere più bambino. Voglio solo stare con te, essere tuo. So che mi manca la purezza dei bambini. Voglio recuperare la loro innocenza. Donami la pace dell’anima. Brucia in me ciò che è impuro. I rami secchi. Dammi la profondità di cui ho bisogno.

Mi spaventa che l’albero della mia anima non abbia stabilità alla base, non abbia profondità. Mi spaventa che le mie radici non tocchino l’acqua dei pozzi più profondi, e cerchino di placare la propria sete in pozzanghere che presto si seccano. E temo che se soffia il vento o scorrono le acque tutto finisca senza che io me ne renda conto.

Può essere che l’altezza non equivalga alla profondità. Tutto può essere perché vivo disperso, disseminato nel mondo, senza radici.

Dicono che i pozzi comunicano da dentro. Quando c’è profondità, credo, le anime si comprendono meglio di quando nuotano nella superficialità di questa vita. Si guardano e si capiscono, senza bisogno di parole, condividono la stessa acqua.

Nella preghiera le anime si riconoscono sempre. Pregano in modo uguale o non pregano. Nel più profoondo del mistero di quell’amore che diventa silenzio, abbraccio e attesa. Nell’amore donato a Dio in ginocchio, guardando a fondo nell’anima, guardando Dio nella mia anima.

Lì, nell’acqua più pura che ho, perché non è la mia acqua, perché è di Dio, vedo chiaramente quello che non possiedo, e l’anelito a ciò che è eterno è più vero e autentico.

A volte, però, sento che il peso del mondo è molto forte. Quelle reti sociali che intessono vincoli, diversi da quelli che forgiano le acque dei pozzi. Perché vanno in superficie, sono solo pozzanghere, ma mi tolgono dalle mie radici profonde.

Forse cerco più quello che si vede che quello che c’è nel profondo. E mi accontanto di un amore superficiale che non calma nulla. Mi soffermo più sulle apparenze che su quello che ho, sul reale, su quello che sono e sento.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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