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Cos’è esattamente il Vangelo? La risposta cattolica a un protestante

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mons. Robert Barron - pubblicato il 28/11/15

Qualche anno fa, ero maggiormente coinvolto nel dialogo cattolico-evangelico. E uno dei nostri fratelli protestanti aveva sfidato i cattolici del gruppo a spiegare chiaramente cosa fosse il Vangelo. Sapevo a cosa mirava: molti evangelici si vantano del fatto di riuscire a riassumere sinteticamente la Buona Novella in un modo che la gente trova inoppugnabile e utile, mentre molti cattolici, a quando pare, restano ammutoliti.

Per la maggior parte degli evangelici, il Vangelo è una sorta di giustificazione per grazia attraverso la fede. Siamo peccatori, del tutto incapaci di salvarci attraverso le nostre azioni, ma Gesù è morto per i nostri peccati, e se riponiamo la nostra fiducia in lui troveremo la salvezza eterna. Alcuni si riferiscono alla “via dei romani”, una serie di testi di Paolo ai romani che riassume questo itinerario. La chiarezza e la semplicità di questo insegnamento permettono a un evangelico di rispondere con un fiducioso “Sì” quando gli viene chiesto: “Sei salvato?”, o perfino di offrire una data specifica quando gli si chiede: “Quando sei stato salvato?”. Scommetto che la maggior parte dei cattolici, di fronte a queste stesse domande, inizierebbe a schiarirsi la voce e a esitare.

E questo, a mio giudizio, non è del tutto negativo. I cattolici sostengono che il Vangelo non può essere ridotto ai meccanismi della giustificazione, o per dirla in modo diverso che la giustificazione è una realtà più ricca e densa di quello che pensava Martin Lutero. Il significato di base della “Buona Novella” è la resurrezione di Gesù dai morti. Quando i primi cristiani annunciavano l’euangelion, è questo che intendevano. “Lo avete ucciso, ma Dio lo ha risollevato” è la forma di base della predicazione kerigmatica. Ciò implica che l’amore di Dio è più potente del peccato e della morte, più potente di qualsiasi cosa ci sia al mondo. Infiammato da queste buone novelle, San Paolo poteva dire Iesous Kyrios (Gesù è Signore), in opposizione a Kaiser Kyrios (Cesare è Signore). La Buona Novella è che il nuovo e autentico re ha ottenuto la vittoria decisiva – e ora è tempo di unirsi al suo esercito. Nella lettura cattolica, questo implica che si dovrebbe diventare membro del corpo mistico della Chiesa.

Tutto questo ha un’implicazione ulteriore. Attraverso il suo pubblico ministero, Gesù ha parlato e agito nella persona stessa di Dio. Al paralitico ha detto: “Figlio mio, i tuoi peccati sono perdonati”. Come hanno osservato giustamente i presenti scettici, solo Dio può perdonare i peccati. Riferendosi a se stesso, Gesù ha dichiarato: “Tu hai un tempio maggiore qui”. Nel contesto ebraico del primo secolo, l’unico che poteva fare coerentemente questa affermazione è colui che era effettivamente adorato nel tempio. Ai suoi discepoli, Gesù ha annunciato: “Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me”. Chi potrebbe dirlo in modo significativo se non colui che è il bene più grande? Come ha detto giustamente C.S. Lewis, questo porta a un trilemma: Gesù è un bugiardo, un lunatico o il Signore. La resurrezione è stata costruita come dimostrazione definitiva del fatto che era chi diceva di essere, come ratifica divina delle strane affermazioni di Gesù.

Ma questo vuol dire che le dimensioni della vittoria di Gesù si estendono infinitamente.

In quanto Dio-uomo, Gesù rappresenta e influenza la deificazione dell’umanità. Gesù è il riscatto finale e definitivo del progetto umano da parte di Dio. Come hanno affermato più volte i Padri della Chiesa, Deus fit homo ut homo fieret Deus (Dio è diventato umano perché gli umani potessero diventare Dio). Questa dichiarazione patristica è stata la mia risposta al fratello protestante alcuni anni fa. Ben prima della Riforma, i cristiani avrebbero riassunto la Buona Novella con questa estatica dichiarazione di deificazione. Questa formula concisa include, direi, tutto ciò che il protestantesimo evangelico sottolinea legittimamente, inserendo però questa verità in un contesto più ampio e più chiarificatore.

La teologia cattolica, ad esempio, insegna chiaramente che gli esseri umani sono incapaci di salvarsi. Esclude senza ambiguità qualsiasi programma di autosalvezza, o per dare la sua descrizione più tecnica, il pelagianesimo. La teologia cattolica capisce che siamo come il cieco Bartimeo, che implora di avere la vista, e quindi sostiene filosofie di perfettibilità antiche e moderne. Siamo talmente spezzati che non risciamo a ricomporci, e allora siamo costretti a cantare: “Vieni, vieni, Emmanuele, e riscatta Israele prigioniero…” Ci basiamo – accettiamo per fede – su quello che solo Dio può fare per noi. Conformemente a questo, il Concilio di Trento insegna che la fede è l’initium et radix omnis justificationis (l’origine e la radice di ogni giustificazione). Non possiamo entrare nella dimora di Dio se non vi siamo invitati, a meno che la porta non ci venga aperta attraverso la fede.

L’insegnamento cattolico, tuttavia, insiste sul fatto che Dio vuole che viviamo in modo sempre più pieno, sempre più gioioso e amorevole in quella dimora! Vuole che cooperiamo con la sua grazia e permettiamo alla nostra natura di essere perfezionata. Questo accade proprio nella comunità e attraverso la vita della Chiesa, che significa i santi, l’eredità artistica del cattolicesimo, il governo apostolico dei vescovi e soprattutto i sacramenti e l’Eucaristia. Se posso invocare ancora una volta i Padri della Chiesa, la Chiesa è concepita al meglio non come una congregazione di persone che la pensano allo stesso modo, non come la “società di Gesù Cristo”, ma piuttosto come il prolungamento dell’Incarnazione attraverso lo spazio e il tempo. Il Concilio di Trento parla, come fa il protestantesimo, di giustificazione, ma parla anche di “aumento nella giustificazione”, la deificazione che deriva dalla vita sacramentale della Chiesa.

E allora cos’è il Vangelo? Dio è diventato uno di noi così che potessimo partecipare alla sua vita!

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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