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I bambini religiosi sono meno generosi? Analisi critica di uno studio inaffidabile

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Unione Cristiani Cattolici Razionali - pubblicato il 23/11/15

di Lorenzo Barattini

Le Scienze Sociali sono un campo estremamente complesso per via della immensità delle variabili presenti e dell’impossibilità di isolarle o spesso anche solo definirle. Per esempio, si può notare che in un gruppo di persone una caratteristica X è spesso associata ad una caratteristica Y: vuol dire che X può causare Y o viceversa? O c’è un fattore Z non ancora noto che può causare X e Y, se non un’immensa quantità di fattori Z che interagiscono in modi imprevedibili? O è, alla fine dei conti, solo un caso?

Rispondere a domande simili è spesso nei fatti impossibile, il ché porta chiunque voglia portare avanti con serietà la conoscenza umana in questi campi ad essere estremamente cauto nelle sue conclusioni. Naturalmente questo non accade se si vuole portare avanti una “propria agenda”. È il caso della ricerca The Negative Association between Religiousness and Children’s Altruism across the World, pubblicata su Current Biology (inspiegabilmente, visto che non tratta di Biologia). In base ad un paio di semplici esperimenti effettuati sui bambini e a dei questionari somministrati ai genitori, si conclude che -come riportato per esempio da La Stampa, Le Scienze e l’Huffinton Post, “la religiosità delle famiglie dei bambini è inversamente predittiva del loro altruismo e positivamente correlata con le loro tendenze punitive“.

Naturalmente si è verificata una corsa a condividere la “scoperta” da parte di personaggi anti-religiosi, commentando che è chiaro, loro lo sapevano già. Tuttavia se avessero effettivamente letto la ricerca avrebbero potuto notare almeno uno dei seguenti problemi, che di fatto la rende inaffidabile nelle conclusioni:

– I ricercatori hanno presentato ai bambini delle situazioni in cui una persona faceva del male ad un’altra,così la “durezza nel giudicare” è stata “misurata” in base a quanto negativa è stata la reazione dei bambini e quanto forte è stata la punizione da loro richiesta. I bambini cresciuti da famiglie religiose ceteris paribus reagivano peggio e richiedevano punizioni maggiori. Quindi…i bambini di famiglie religiose hanno un maggiore senso della giustizia? Sorprende invece notare come, ribaltando qualsiasi logica, nel sommario i ricercatori affermano che questo loro risultato contraddice il fatto che i genitori di famiglie più religiose ritengono che i loro bambini abbiano maggiore empatia e senso della giustizia.

– Quello che più ha fatto scalpore nei media e viene presentato dallo stesso titolo della pubblicazione è che i bambini da famiglie religiose sono meno altruisti! I ricercatori hanno definito “l’altruismo” facendo scegliere 10 figurine ad ogni bambino dicendo che, vista la mancanza di tempo per fare l’esperimento a tutti i compagni, poteva condividerne “segretamente” qualcuna mettendola in una busta. Il numero di figurine condivise è il punteggio di “Atruismo” (sic!). Tutto qui. Questa è la misura scientifica dell’Altruismo™.

– Nell’esperimento viene rilevata, assai più chiaramente rispetto agli effetti della “religiosità”, la maggiore propensione al dono di figurine nei bambini più grandi. Grande “altruismo” o probabile poco interesse dei dodicenni alla collezione di figurine? C’è anche chi le ha lasciate tutte: è un santo o, molto probabilmente, non era interessato granché?

– Molti hanno lodato il campione “numeroso” usato dallo studio: 1170 bambini. Eppure nell’analisi questi vanno divisi fra vari punteggi differenti di “religiosità” (o 3 principali denominazioni religiose), 6 città di nazioni molto diverse fra loro, un ampio spettro di età (5-12 anni, perché mai non studiare una singola età?) e vari livelli di educazione della madre (nell’articolo viene chiamato semplicemente SES familiare, Status Socio Economico, finché uno non legge nelle scritte in piccolo alla fine che invece si tratta solo di questo!). Il campione non sembra più così grande… Inoltre, persino nelle Supplemental Information non è possibile sapere come sia stato scelto il campione, se sia rappresentativo etc, il ché è un problema tutt’altro che banale (tutto lascia supporre che il campione non sia rappresentativo, visto che viene da una singola città per nazione “da scuole etnicamente/socialmente omogenee“. Questo è un problema perché facilità l’introduzione di forti bias nei dati.).

– All’infuori della scelta di sostituire il grado di istruzione materno allo status socio-economico, c’è un’importante variabile che i ricercatori non hanno controllato: il numero di fratelli. Come spiegato dal dr. Miceal Blume, studioso di Evolutionary Studies of Religiosity and Religions, è ben attestato che le famiglie religiose sono più numerose, quindi i bambini che provengono da esse considerano più spesso anche fratelli e sorelle nelle quote di figurine.

– Compare inoltre il noto problema del “misurare l’incommensurabile“, in cui la “religiosità” viene normalizzata su una scala numerica da -1 a +1 che combina arbitrariamente i risultati di 2 diversi questionari (“frequenza delle strutture religiose” vs “esperienza del divino”) per poi effettuare un’analisi lineare (il ché non può che spingere a chiedersi: la differenza fra una “religiosità” di 0 con una di 0.8 è davvero il doppio rispetto ad una 0.4 e l’opposto di una -0.8?). Oltretutto i ricercatori hanno preso i questionari da un articolo che avverte nel suo stesso abstract di non combinare i punteggi, ma analizzarli solo separatamente.

– Come breve nota tecnica, l’ipotesi di distribuzione gaussiana è stata usata a sproposito persino per variabili discrete (il numero di figurine lasciate).  Mancano punteggi di consistenza interna dei questionari, qualsiasi sorta di analisi non lineare (vedi sopra), e qualsivoglia tentativo di validare la regressione fatta con un’analisi dei residui. Gli autori cercano di convincere della predittività della “religiosità” rispetto alla condivisione di figurinemostrando un plot che non controlla su tutte le altre variabili, ergo è inutile anche nel contesto dello studio stesso. Così come appaiono due istogrammi anch’essi non controllati sulle altre variabili (figure 1,3,4).

– Nonostante tutte queste analisi rilevino effetti della religiosità molto piccoli, i ricercatori enfatizzano questo dato ignorando la fondamentale massima statistica “correlazione non implica causalità”, parlando invece in termini causali, senza considerare i limiti della ricerca o interpretazioni alternative.

– Va anche osservato come il primo autore dello studio, il dr. Decety, abbia sentito l’impellente bisogno di commentare su Forbes cose come: “Non è che uno debba essere molto religioso per essere una buona persona. La laicità – ovvero avere le proprie regole basate sul pensiero razionale e sulla ragione, piuttosto che su libri sacri – è meglio per tutti.Più in generale, [questi risultati] mettono in dubbio l’idea che la religione sia vitale per lo sviluppo morale, supportando l’idea che la secolarizzazione del dibattito morale non ridurrà la bontà umana — infatti, farà proprio l’opposto.. C’è quindi da considerare anche un atteggiamento di mancata imparzialità e distacco.

Mentre questa ricerca ha avuto ampia diffusione, su quotidiani nazionali e social network, le analisi critiche, come questa, non hanno la possibilità di ottenere simile visibilità. Eppure sono numerose le evidenze che portano a concludere per l’inaffidabilità delle conclusioni offerte al pubblico. Purtroppo, anche i giornalisti avrebbero fatto bene a controllare invece di riportare ciecamente, ma il primo fallo è dei reviewer che hanno acconsentito alla pubblicazione. Ma ahimè accade questo e altro.

QUI IL LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE

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