La lunga malattia, la nuova conversione dei genitori, Anna e Stefano, e la gioia di condividere: “Per lui abbiamo chiesto la vita eterna”Lo sfondo azzurro, il sole, i palloncini colorati, la foto di un bambino tra i boschi, in vacanza. È l’invito a una festa, quella per Filippo Bataloni. Esattamente un anno fa, il 20 novembre, questo bimbo di otto anni è morto, dopo una lunga malattia che ha accompagnato la sua vita da quando aveva due anni. La mamma, Anna, racconta: “Eravamo partiti chiedendo semplicemente di ricordare Filippo nella Messa e avevamo pensato che fosse bello estendere anche ad altri genitori con un figlio in cielo, per condividere con loro la speranza”. Ma Anna e Stefano sono stati superati dagli amici incontrati in questi anni e così è nata la festa: letture e canti sul dolore e la speranza, la Messa e il rinfresco insieme, sabato 21 novembre nella chiesa di San Giovanni Battista de Rossi, a Roma, loro parrocchia di origine. “In questo anno abbiamo percepito di aver ricevuto un dono: la consapevolezza che la croce non ti schiaccia, ma ti porta alla Risurrezione. Questo ha portato tanti frutti per noi come famiglia, come coppia. E abbiamo deciso di condividere quel che ci è successo”.
Nessun sentimentalismo: “Perdere un figlio non è una grazia. Il percorso che abbiamo fatto, quello sì”. Per questo anniversario Anna e Stefano hanno preso un giorno di ferie e con i due figli più piccoli, Francesco e Giovanni, sono andati all’ospedale San Camillo di Roma – dove Filippo è stato seguito – per regalare ai bambini ricoverati i giochi di questo “figlio che sta in cielo” come dicono parlando di lui. Sedici pacchetti regalo, visto che sedici sono i letti del reparto di pediatria. Uno di questi è stato a lungo il letto di Filippo, da quando a due anni, nel 2008 si è manifestata per la prima volta la leucemia. In questi sei anni Filippo ha avuto altre due ricadute e si è sottoposto a tre trapianti. Ogni ricaduta è stata scandita da una gravidanza (sempre difficile) della mamma e dall’arrivo di un fratellino. E ogni ricaduta è stato un passo dei suoi genitori – “cattolici normali” – nella via della conversione. “Erano colpi per me, io che volevo avere tutto sotto controllo” racconta Anna. “Attraverso croce capito che so fare niente da sola ma appena dico fai tu, tutto diventa ‘facile’”.
Guarda a suo marito, più docile. Stefano fa il volontario in parrocchia, è impegnato nel progetto di “Emergenza freddo” e “con Filippo in ospedale e Francesco piccolo a casa mi lasciava di notte per andare a dormire con i barboni. E io mi chiedevo perché”. Anna ha sempre desiderato tanti figli. Stefano era più prudente, è una grande responsabilità. Ma nel mezzo del buio – con Filippo ricoverato e il secondogenito nato prematuro a sei mesi e in fin di vita – una sera è stato proprio lui a dirle: “Faremo un terzo figlio. All’aggressione alla vita si può rispondere solo con la vita”. A febbraio 2013 la terza recidiva di Filippo: “Ero piuttosto arrabbiata. Dicevo a Dio: ce lo potevi togliere prima, eravamo pronti, preparati. Quanti cuori si devono spezzare? Volevo decidere io anche quando doveva morire…”. Poi hanno detto basta: “Aveva vissuto 6 anni di malattia, era un accanimento. Ogni terapia gli avrebbe dato al massimo qualche mese in più, al costo di separare di nuovo la famiglia”. Insomma “se il Signore aveva deciso così significa che era la sua strada”.
La prima festa di Filippo è stata il giorno del Battesimo. Il sacerdote che li aveva preparati gli aveva detto che chiedere il Battesimo è chiedere la vita eterna, che inizia fin d’ora. E questo hanno chiesto i suoi genitori. Quando il sacerdote ha posto la domanda di rito “Cosa chiedete per Filippo”, hanno risposto: “la vita eterna”. Nell’ultimo anno Anna e Stefano hanno preparato il loro primo figlio alla festa del Paradiso. “Se abbiamo qualche merito, forse è stato questo, che è quello che deve fare un genitore”. In casa si respirava comunque una familiarità con la fede. Non hanno mai chiesto “perché a noi?” e neanche Filippo lo chiedeva, ma voleva sapere quando sarebbe guarito. “Gli dicevo che non lo sapevo ma di offrire questo dolore a Gesù”. Lo faceva pregare. Finché un giorno “eravamo seduti sul divano e mi ha chiesto: quando mi passano tutte le cose che ho? Gli ho detto: te ne vai subito in Paradiso cosi ti passa tutto, va bene? E lui mi ha detto ‘sì va bene mamma’”.