Intervista con don Dario Vitali, ecclesiologo e direttore del dipartimento di Teologia Dogmatica presso la Gregoriana
Si conclude oggi un convegno di ben tre giorni che si è svolto a Roma presso la Pontificia Università Gregoriana sul documento conciliare Dei Verbum, che il 18 novembre 1965 venne promulgato da Paolo VI. Come tutti gli altri documenti conciliari anche questo vive il suo “giubileo”, vale a dire 50 anni di vita. Questa costituzione dogmatica, approvata con sostanziale unità (2.344 voti favorevoli – 6 contrari) riguarda il rapporto tra la Chiesa e la Scrittura.
Come si spiega un comunicato della stessa Gregoriana: Forte di una prospettiva non solo biblica, ma teologica e liturgica, il convegno ripercorrerà la struttura della costituzione dogmatica: la Rivelazione, il ruolo della Tradizione, l’ispirazione divina delle Scritture e la loro interpretazione, il rapporto tra Antico e Nuovo Testamento, il posto della Parola di Dio nella vita della Chiesa. «Temi solo apparentemente astratti – chiarisce il gesuita Dariusz Kowalczyk, decano della Facoltà di Teologia – perché toccano i centri nervosi della vita concreta della Chiesa, come ha dimostrato il recente Sinodo sulla Famiglia. Cosa della Rivelazione divina è permanente e cosa può mutare nella formulazione? Cosa è dottrina e cosa disciplina? Sono questioni fondamentali, per oggi non meno di ieri».
Per approfondire tanto l’importanza della Dei Verbum, quanto il ruolo del Concilio e del Giubileo conciliare che Papa Francesco ha indetto per il prossimo 8 dicembre, Aleteia ha intervistato don Dario Vitali, professore ordinario di ecclesiologia e direttore del dipartimento di Teologia Dogmatica presso la Gregoriana.
Professor Vitali, 50 anni di Concilio, il Papa li festeggia con un Giubileo. Come vanno intesi?
Vitali: Il motivo per cui il papa ha indetto il giubileo non riguarda direttamente il concilio. L’anno santo della misericordia è motivato dal Padre non con un evento o una ricorrenza, ma con una necessità. Al n. 3 della bolla di indizione dice che «ci sono momenti nei quali in modo ancora più forte siamo chiamati a tenere fisso lo sguardo sulla misericordia per diventare noi stessi segni dell’agire del Padre. È per questo che ho indetto – dice il papa – un giubileo straordinario della misericordia come tempo favorevole per la Chiesa, perché renda più forte ed efficace la testimonianza dei credenti». La Chiesa, per il papa, ha bisogno di fare un bagno di misericordia, di fare esperienza della misericordia di Dio per riapprendere questo linguaggio e questa logica. Per fare questo, il papa sceglie come data significativa il cinquantesimo dalla chiusura del Vaticano II, senza che questo sia il motivo che lo ha indotto all’indizione: il primo motivo addotto è la ricorrenza dell’Immacolata Concezione, a cui il papa è particolarmente devoto. Egli dice che in questa festa si fa chiaro il modo di agire di Dio nella storia, proprio nella logica della misericordia che è più grande del peccato e pone le condizioni perché si compia la salvezza.
La solennità coincide anche con il cinquantesimo anno dalla chiusura del concilio, per cui il papa coglie l’occasione per prolungare la “memoria grata” del concilio. Ma non si tratta di un accostamento occasionale, dettato dalla semplice coincidenza. Il concilio costituisce un evento significativo nell’ordine della misericordia, in quanto i Padri hanno sperimentato la necessità e l’urgenza di andare incontro all’uomo ed essere nel mondo il segno vivo dell’amore del Padre. In questa prospettiva della Chiesa in uscita, papa Francesco cita Giovanni XXIII, per il quale la Chiesa “preferisca usare la medicina della misericordia piuttosto che le armi del rigore“, e Paolo VI, per il quale tutto ciò che era stato detto al concilio aveva di mira il servizio all’uomo. Per il papa il concilio è stato l’evento che ha spinto la Chiesa ad uscire dalla cittadella fortificata che era la Chiesa “contro” il mondo e a diventare Chiesa “in uscita”, aperta al mondo. Come a dire che tornare al concilio aiuta la Chiesa a essere “Chiesa in uscita”, Chiesa della misericordia.
La “Dei Verbum” è il documento conciliare più importante mette in relazione stretta il Testo e la Tradizione, spiegando come queste due fonti si parlino di continuo è questa la ricchezza della Chiesa, un rapporto dinamico con i testi sacri?
Vitali: Se chiederà a un biblista, certo le dirà che la Dei Verbum è il documento più importante. Ma se lo chiede a un liturgista, le dirà: Sacrosanctum concilium; e se lo chiede a me, che studio e insegno l’ecclesiologia, le dirò: Lumen Gentium. In realtà, nessun documento va isolato dall’altro, e l’insieme dei testi offre un quadro straordinario di “ciò che lo Spirito dice alla Chiesa” per questo periodo della storia, nel nostro cammino verso il Regno di Dio. In questo cammino, la Chiesa è “sotto” la Parola di Dio. In Dei Verbum si registra un’eccedenza della Parola di Dio rispetto alla Sacra Scrittura, alla Tradizione, alla Chiesa, al Magistero. Il Magistero è “sotto” la Parola di Dio. Tradizione e Scrittura, dice DV 10 con una formula originalissima, sono “il sacro deposito della Parola di Dio”, attraverso il quale continua a risuonare nella Chiesa, e attraverso di essa nel mondo e per il mondo, “la viva voce del Vangelo”. Il Sinodo del 1985 a vent’anni dal concilio ha indicato come via di interpretazione del concilio e di vita della Chiesa un intreccio delle quattro costituzioni conciliari: la Chiesa (LG), in religioso ascolto della Parola di Dio ( DV) celebra i misteri di Cristo (SC) per la vita del mondo (GS).