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«L’Isis va fermato». Ecco le strategie della Chiesa per arginare i terroristi

ISIS Fighters – © Al-Furqan Media – it

© Al-furqan Media

Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 18/11/15

Linea dura contro i jihadisti: dal taglio netto alle forniture d'armi ad un'ipotesi di attacco di terra

Erano così imprevedibili gli attentati terroristici in Francia? Qual è la risposta migliore per arginare la pericolosità dell’Isis? E sopratutto qual è la strategia che propone la Chiesa? Sono queste le domande che in questi giorni ribollono tra l’opinione pubblica, sul web, in radio, tv, giornali.

NULLA DI IMPREVEDIBILE

Come scrive Giornalettismo.com (14 novembre) si può tranquillamente affermare che non sia successo niente d’imprevedibile e anche che ora non esiste una «risposta» a quegli attacchi che non fosse possibile prima. Da un’organizzazione con le caratteristiche dell’ISIS è normale attendersi reazioni del genere, che infatti erano attese.

I GRAVI PRECEDENTI

Anche in Kenya gli Shabaab somali hanno fatto più di 500 vittime per vendicarsi dell’intervento dell’esercito di Nairobi nel Sud della Somalia, fondamentale per sottrarre loro il controllo della regione. E attacchi simili si sono visti all’opera dall’India all’Africa fino all’Europa senza soluzione di continuità negli ultimi anni, intervallati dai più tradizionali attentati con l’esplosivo, impiegati ad esempio per colpire Londra e Madrid all’inizio del secolo, con bilanci di sangue non dissimili da quello di Parigi.

LA VICINANZA CON PARIGI

Gli attacchi di Parigi non devono quindi essere considerati particolarmente eccezionali, lo diventano naturalmente perché hanno colpito vicino e hanno colpito persone alle quali ci sentiamo vicine nei costumi e nei sentimenti, nelle quali ci immedesimiamo. Con i parigini ci identifichiamo, a Parigi ci andiamo, mentre dei villaggi del Nord della Nigeria, dilaniati da Boko Haram, o delle scuole e dei centri commerciali del Kenya e di chi li anima sappiamo poco, e poi viene naturale pensare prima e più intensamente al pericolo più vicino e incombente.

LA STRAGE SILENZIOSA DI BEIRUT

L’attentato dell’ISIS a Beirut, scrive il giornalista franco-tunisino Pierre Haski su Internazionale (15 novembre), ha causato 43 morti e 239 feriti. Si è trattato dell’attentato più cruento, commesso nella capitale libanese da oltre vent’anni, ma è stato rapidissimamente oscurato da quelli di Parigi, senza precedenti per portata e per modus operandi, e terrificanti per la freddezza con cui sono stati condotti.

NON DARE ALIBI AI TERRORISTI

La pur legittima compassione degli occidentali per le “loro” vittime, dice Haski, del terrorismo non dovrebbe indurli a dimenticare le altre vittime del terrorismo. Questo messaggio di compassione e di solidarietà non soltanto è “normale”, diciamo pure umano, ma è anche il solo mezzo per decostruire il discorso degli estremisti, che denunciano leipocrisie occidentali per meglio coprire i loro crimini.

LA RISPOSTA DEL COMBATTENTE ISIS

Un esempio pratico che riporta Internazionale è quello di un utente che chiede a Israfil Yilmaz, un olandese che si definisce combattente dell’Is, se sia a favore degli attentati di Parigi.

Risposta: “Sono favorevole agli attentati di Parigi tanto quanto il governo francese è favorevole a bombardare e terrorizzare musulmani innocenti in Siria, in Iraq e altrove. A te sta bene? Ti sembra coerente che il sangue dei musulmani scorra da decenni senza suscitare alcuna indignazione? Eppure, quando noi rispondiamo, e gli togliamo ciò che loro tolgono a noi, servendoci dei loro stessi mezzi, la fanno tanto lunga”.

“I MARTIRI NON MUOIONO MAI”

Questo esempio fa comprendere meglio quello che è accaduto allo stadio durante Turchia-Grecia: raffica di fischi durante il minuto di silenzio per Parigi con uno stadio intero che intona “i martiri non muoiono mai”.Messi davanti alla scelta tra gli uccisi di Parigi e i loro uccisori, decine di migliaia di turchi “normali” (non fanatici dell’Isis, persone normali andate a vedere una partita di calcio amichevole) ci hanno detto con chi stanno (Gazzetta dello Sport, 17 novembre).

LA STRATEGIA DI PAPA FRANCESCO

Dunque, senza ipocrisia, bisognerebbe abbracciare un discorso come quello pronunciato da Papa Francesco sul volo di ritorno dalla Corea della Sud. Riferendosi all’ISIS, disse: «Sottolineo il verbo: fermare. Non dico bombardare o fare la guerra. Dico: fermarlo. I mezzi con i quali si possono fermare dovranno essere valutati. Fermare l’aggressione ingiusto è lecito. Ma dobbiamo avere memoria, pure: quante volte, sotto questa scusa di fermare l’aggressore ingiusto, le potenze si sono impadronite dei popoli e hanno fatto una bella guerra di conquista? Una sola nazione non può giudicare come si ferma questo, come si ferma un aggressore ingiusto» (Corriere della Sera, 18 agosto 2014).

STOP ALLA FORNITURA D’ARMI

Fermare l’ISIS con un’azione congiunta internazionale. Che inizi dallo stop ai rifornimenti di armi. «E’ necessario tagliare i finanziamenti ai terroristi», ha evidenziato Barak Obama al G20 in corso ad Antalya. Anche se il presidente della Russia Vladimir Putin ha tenuto a ribadire chemolti dei paesi del G20 armi e soldi al califfato (La Stampa, 16 novembre).

IL RUOLO AMBIGUO DI ALCUNI STATI

Conferme in tal senso sono arrivati da David Phillips, ex alto funzionario del Dipartimento di Stato Usa ora alla Columbia University di New York, assicura: «Sono molti i ricchi arabi che giocano sporco, i loro governi affermano di combattere Isis mentre loro lo finanziano». L’ammiraglio James Stavridis, ex comandante supremo della Nato, li chiama «angeli investitori» i cui fondi «sono semi da cui germogliano i gruppi jihadisti» ed arrivano da «Arabia Saudita, Qatar ed Emirati».

CAMPI DI ADDESTRAMENTO

Sottolinea il vescovo Georges Abou Khazen, Vicario apostolico di Aleppo dei Latini: «Come abbiamo detto più volte, i gruppi terroristi come l’IS sono finanziati, armati, addestrasti dalle grandi potenze, per interessi economici e politici. E’ un tema che anche il Papa ha sollevato, restando del tutto inascoltato» (Vatican Insider, 14 novembre). Il vescovo rimarca anche che «esistono veri e propri campi d’addestramento nei paesi vicini alla Siria, come in Turchia. Lo Stato Islamico, conquistate terre ricche di petrolio, ha cominciato a vendere in Occidente l’oro nero e i reperti archeologici rubati».

NO BOMBE, MA ATTACCO DI TERRA

Quegli stessi campi, disseminati sopratutto tra Siria e Iraq, dai quali si spostano con molta abilità i jihadisti. Secondo un autorevole esponente della Chiesa medioorientale, il patriarca di Babilonia dei Caldei, Louis Raphael Sako, non è bombardando che si eliminano i jihadisti, proprio per la loro capacità di mobilità. «I bombardamenti – diceva alludendo al caso dell’Iraq – non servono a niente. Questi jihadisti sono piccoli gruppi che sono ben formati e possono muoversi facilmente. Con questi bombardamenti ci vorrà molto tempo per sconfiggere l’Isis, ci vogliono le truppe di terra anche straniere, altrimenti non c’è soluzione» (Tg2000, 15 ottobre).


IL “SI” DEL CATECHISMO

Il segretario di Stato Vaticano, il cardinale Pietro Parolin, intervistato dal giornale francese “La Croix” (16 novembre), ha spiegato che il catechismo della Chiesa cattolica chiarisce che “la difesa del bene comune esige che si ponga l’ingiusto aggressore in stato di non nuocere. I legittimi detentori dell’autorità hanno il diritto di usare anche le armi per respingere gli aggressori della comunità civile affidata alla loro responsabilità”.

INTERVENTO MILITARE BEN COORDINATO

Parolin ha, però, spiegato che un intervento militare contro lo Stato Islamico dovrà essere coordinato da entità sovranazionali: «Uno Stato al suo interno deve proteggere i suoi cittadini e respingere i terroristi. In caso di un intervento all’estero, bisogna cercare la legittimità attraverso le organizzazioni che la comunità internazionale si è data. Il nostro ruolo – parole in linea con quelle di Francesco – è ricordare queste condizioni, non specificare i mezzi per fermare l’aggressore».

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