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«Un pontefice che non fa il parroco non è felice»

Pope Francis general audience St Peter’s square © neneo / Shutterstock.com – it

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<a href="http://www.shutterstock.com/pic.mhtml?id=163361345&src=id" target="_blank" />Pope Francis general audience St Peter's square</a> © neneo / Shutterstock.com

Domenico Agasso jr - Vatican Insider - pubblicato il 16/11/15

apa Francesco lo ha detto nella visita alla comunità evangelica luterana di Roma. Su Parigi: «Non costruire muri ma pregare e servire»

«Oggi lo vediamo, il dramma»: nella capitale francese «il cuore era chiuso, e anche il nome di Dio viene usato per chiudere il cuore». Adesso «che fare? Parlare chiaro, pregare e servire». Lo ha affermato papa Francesco questo pomeriggio durante la visita alla comunità evangelica di Roma presso la Christuskirche (chiesa di Cristo, in via Sicilia), in occasione del V centenario di Martin Lutero. Spaziando tra attentati parigini, ecumenismo, carità, assistenza, profughi, ha anche risposto così alla domanda di un bambino: «Un pontefice che non fa il parroco non è felice».

Il Papa è stato accolto, tra calore e applausi, dal pastore Jeans-Martin Kruse.

A Parigi «anche il nome di Dio usato per chiudere il cuore»

Dopo Parigi «che fare? Parlare chiaro, pregare e servire». Il Pontefice ha evocato con queste parole la tragedia degli attacchi terroristici nella conversazione spontanea con i fedeli della chiesa luterana di Roma, rispondendo a una donna che gli chiedeva che cosa fare per evitare che le persone si rassegnino alla miseria e costruiscano nuovi muri. «L’uomo – ha sottolineato – dal primo momento, se leggiamo le Scritture è un grande costruttore di muri, dalle prime pagine della Genesi vediamo questo». Secondo il Papa «c’è una fantasia dietro i muri umani: diventare come Dio. La Torre di Babele è proprio l’atteggiamento di dire: “Noi siamo i potenti, voi fuori”. C’è la superbia del potere, per escludere si va in questa linea».

Papa Bergoglio ha aggiunto: «L’egoismo umano vuol difendersi, difendere il proprio potere. I muri alla fine sono come un suicidio, ti chiudono. È una cosa brutta avere un cuore chiuso e oggi lo vediamo».

«Il muro è il monumento all’esclusione – ha spiegato – Sapete come fare a evitare i muri? Bisogna parlare chiaro, pregare e servire. Fate gli ultimi, lavate i piedi, prestate servizio ai fratelli e alle sorelle, ai più bisognosi».

«Che cosa mi piace di più nell’essere papa? Fare il parroco»

«La cosa che mi piace di più» nell’essere Papa «è fare il parroco» ma anche «stare con i bambini, parlare con loro, perché si impara tanto da loro». Così papa Francesco ha invece risposto alla domanda di un bambino di 9 anni: «Cosa ti piace di più dell’essere Papa?».

«La risposta è semplice – ha detto Jorge Mario Bergoglio – se io ti chiedo cosa ti piace più di un pasto tu mi rispondi il dolce. In realtà però di un pasto si deve mangiare tutto. Così a me non piace molto il lavoro di ufficio, ma devo farlo». Ma «la cosa che mi piace di più è fare il parroco, e quando ero rettore della facoltà di Teologia (a Cordoba, Argentina, ndr), c’era una parrocchia accanto alla facoltà di cui ero parroco: mi piaceva tanto insegnare il catechismo ai bambini e la domenica fare la messa con i bambini, c’erano 250 bambini ed era difficile che tutti stessero in silenzio, ma il dialogo con loro mi piaceva molto, perché i bambini sono concreti, non fanno domande teoriche».

«Fare il papa con lo stile del parroco, del pastore. Mi sento bene quando visito gli ammalati, quando parlo con le persone che sono disperate, tristi, e amo tanto andare in carcere. Ma non che mi portino in galera eh!», ha riso Francesco. «Ogni volta che io entro in un carcere mi domando “perché loro? e io no” – ha ribadito – e lì sento la salvezza di Gesù Cristo, perché è lui che mi ha salvato, io non sono più peccatore di lui, e lui mi ha preso per mano». «Se un papa non fa il parroco, il vescovo, il pastore, sarà una persona importante, intelligente, avrà influsso nella società ma nel suo cuore penso non sia felice».

Ai luterani: è giunto il tempo di «chiederci perdono»


Soffermandosi sul rapporto tra cattolici e luterani, nell’omelia, sviluppata dal passo evangelico secondo Matteo (25,31-46) e tutta pronunciata parlando «a braccio», ha rilevato ed esortato: «Ci sono stati tempi brutti fra noi. Pensate alle persecuzioni fra noi con lo stesso battesimo. Dobbiamo chiederci perdono per questo, perdono dello scandalo della divisione».

Nella predica ha rilevato: «Nel giorno del Giudizio non ti sarà chiesto se sei andato a messa, ma se la tua vita l’avrai usata per fare muri o per servire. Tutti noi battezzati, luterani e cattolici, siamo in questa scelta: il servizio, l’essere servo».

Si è domandato Francesco: «Ma noi luterani e cattolici, da che parte saremo, a destra o a sinistra? Ma ci sono stati tempi brutti eh fra noi – ha sottolineato – le persecuzioni tra noi, con lo stesso battesimo… ci siamo anche bruciati vivi, dobbiamo chiederci perdono per quello scandalo della divisione, perdono, tutti, luterani con cattolici».

Quando «condividiamo la cena del Signore – ha osservato – ricordiamo e imitiamo il Signore Gesù. La cena del Signore ci sarà. Il banchetto finale della nuova Gerusalemme. Mi domando: condividere la cena del Signore è il fine di un cammino o il viatico per camminare insieme? In un certo senso condividere è dire che non ci sono differenze tra noi, che abbiamo la stessa dottrina. Mi domando: “Ma non abbiamo lo stesso battesimo?”. E se sì dobbiamo camminare insieme».

Francesco ha esortato quindi a «pregare insieme, lavorare insieme per i poveri, amarci insieme, con vero amore di fratelli». E di fronte all’osservazione «”ma siamo diversi perchè i nostri libri dogmatici dicono una cosa e i vostri dicono un’altra” noi dobbiamo chiedere la grazia della diversità riconciliata nel Signore».

In comune cattolici e luterani hanno «una fede, un battesimo, un Signore», ha ricapitolato.

Prima della predica, rispondendo alla domanda di una donna luterana sposata con un cattolico, aveva detto: «Cosa possiamo fare per raggiungere l’intercomunione non lo so. Non è facile per me rispondere al quesito. Soprattutto davanti a un teologo come il cardinale Kasper, ho paura – ha scherzato – Ma penso che il Signore ci ha detto “fate questo in memoria di me”. Quindi quando condividiamo la cena ricordiamo e imitiamo, facciamo lo stesso che ha detto Lui». «La cena del Signore – ha poi ripreso – ci sarà  l’ultimo giorno nella nuova Gerusalemme. Ma nel cammino – ha scandito – mi domando: la comunione è il fine o il viatico per camminare insieme? Lascio la domanda ai teologi e a quelli che capiscono».

«Quando lei si sente peccatrice e suo marito si sente peccatore – ha osservato – lei guarda il Signore e chiede perdono. Suo marito fa lo stesso. Quando pregate insieme quel battesimo cresce, diviene forte. Quando insegnate ai vostri figli chi è Gesù, fate lo stesso, sia in lingua luterana che in lingua cattolica».

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