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Il Concilio, il Giubileo e il patto delle Catacombe per una Chiesa povera

Catacombe di Priscilla 1

© PCAS

Lucandrea Massaro - Aleteia - pubblicato il 16/11/15

Intervista al professor Alberto Melloni, presidente della "Fondazione per le scienze religiose" e grande esperto di Vaticano II

All’indomani dei tragici attentati di Parigi, eravamo presenti al Convegno che a Roma ha presentato il volume edito da EMIIl Patto delle catacombe. La missione dei poveri nella Chiesa” ad introdurre il rapporto tra il documento del Patto – firmato da diversi vescovi conciliari – e l’assise del Concilio che si era appena chiuso, il professor Alberto Melloni che del Concilio è uno dei massimi esperti, ordinario di Storia del cristianesimo a Ferrara, presiede la “Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII” fondato dallo storico Giuseppe Alberigo. Al professor Melloni, che ha da poco licenziato un volume sul tema giubilare (“Il giubileo. Una storia” per Laterza) abbiamo fatto alcune domande…

Nel patto delle catacombe ci sono i semi del pontificato di Francesco?

Melloni: Nel patto delle catacombe c’erano una serie di questioni circa l’esemplarità evangelica della vita dei vescovi. Papa Francesco è il primo papa che è diventato prete dopo il Concilio, ha incorporato anche quello come ha incorporato tutto il Concilio. Delle cose importanti che Francesco ha fatto è finirla con il “nominalismo conciliare” che citava il Vaticano II o per non fargli dire niente o per fargli dire il suo contrario. Lui non lo cita praticamente mai, ma contemporaneamente ne rappresenta l’esplicitazione e la trasformazione in vita vissuta, in carne e sangue della vita della chiesa di quella intuizione rappresentata dal “Patto delle catacombe” e di quella denuncia che il Patto fa cioè la centralità teologica del Cristo povero e del povero concreto, reale come dice padre Sobrino.

Possiamo dire che il Giubileo, inteso anche come “amnistia”, sia iniziato già con l’elezione di Papa Francesco, almeno per quanto riguarda alcune istanze e alcuni teologi?

Melloni: Proprio perché Francesco è il primo Papa diventato prete dopo il Concilio, non porta in sé nessuna delle tensioni e i risentimenti che hanno segnato accumulate negli ultimi 50 anni. Per cui ridomanda all’episcopato e alla chiesa la parresia, cioé il parlare franco, e pone la costruzione della comunità non come frutto della sottomissione all’Autorità ma come frutto della sottomissione di tutti al Vangelo e questo spiega perché cose che fino a ieri erano guardate con sospetto o cavillate in modo scrupoloso per fargli dire qualcosa che non andasse bene, oggi tornano a prendere voce nella Chiesa perché mettere al centro della vita della Chiesa il “Cristo povero” e la sua presenza nel povero reale, questo cambia i paradigmi e i parametri e fa apparire come il problema non è quello di una scolastica dottrinale più o meno astratta di cui si può essere – come si vede ogni tanto in circolazione – riconosciuti come portatori di una autorità dentro una vita debosciata e invece il problema di una vita cristiana per tutti

Che rapporto tra il Patto delle catacombe, il Concilio Vaticano II e l’azione di Giovanni XXIII, perché un documento di questo tipo non è entrato direttamente nelle deliberazioni del Concilio?

Melloni: Non è entrato perché la questione della povertà fu posta al suo inizio, da un lato dal gruppo di Gauthier e dall’altro dal gruppo di Dossetti, come una ipotesi di costruzione del Vaticano II di tipo “architetturale”, come l’asse su cui costruire le cose. Cosa che il Concilio non fu in grado di compiere. La povertà divenne una istanza di vita religiosa o – come nel Patto delle catacombe – una istanza della vita dei vescovi ma proprio perché non era una questione di fare una sorta di “partito dei pauperisti” di minoranza contro il partito di maggioranza del concilio, si trattava di inserire un tema e il modo in cui è stato inserito, anche se in modo puntiforme, questo ha aperto una vita alla riflessione sulla Chiesa “serva e povera” che poi è passato attraverso Medellin e Puebla, e attraverso una esperienza di Chiesa che non è stata né una istanza di leggerezza missionaria, né una istanza di purezza etica dell’autorità o della base ma una istanza di autocomprensione della Chiesa nella storia nella sua interezza.

In occasione dell’apertura anno giubilare ci sarà una mostra sul giubileo a Roma…

Melloni: il giubileo è un giubileo del concilio, i 50 anni sono una scadenza classica della tradizione biblica e il giubileo del concilio, colpisce che il tema del Giubileo sia l’asse principale del Concilio di Giovanni XXIII, la scelta farmaceutica della Chiesa rinunciare alle armi della severità ed applicarsi alla medicina della misericordia. Il governo italiano ha accettato la proposta di fare a Castel Sant’Angelo che è il punto di inizio del viaggio dei pellegrini una mostra del Vaticano II che da un verso ne racconti la storia, cioè spieghi ai non addetti ai lavori che il Concilio non è stato come il Sinodo dei vescovi, due settimane, un documento e via ma che è stato un processo molto lungo di conversione della Chiesa che è importante non solo e forse non tanto per l’equilibrio formulare che ha raggiunto nei suoi documenti e nemmeno per quello che si diceva un tempo circa lo “Spirito del Vaticano II”, è stato importante perché ha dimostrato come la Chiesa cattolica sappia affrontare di volta in volta i problemi che la interpellano, quando sono temi del Vangelo, in forza della sua comunione. C’è stata questa grande esperienza di cattolicità, nella più grande assemblea tra pari che sia mai svolta sulla terra, di affrontare la cattolicità della chiesa cattolica, misurandosi non solo come era stato negli ultimi due secoli con quelle che erano le tendenze della cultura e della politica della modernità ma di rimisurarsi a fondo con il Vangelo trovando in esso la sua giovinezza.

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