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«No! No allo Stato religioso!»

FRANCE-ATTACKS-PARIS

AFP PHOTO / BERTRAND GUAY

Police stand guard in front of Notre-Dame de Paris Cathedral in Paris on November 14, 2015, following a series of coordinated attacks in and around Paris late Friday which left more than 120 people dead. According to witnesses, at least 5 people were killed in the immediate area by attackers wielding automatic rifles. AFP PHOTO / BERTRAND GUAY

Fondazione Oasis - pubblicato il 15/11/15

Il grido di un intellettuale musulmano contro il pensiero islamista e le derive estremiste diventa oggi dopo il massacro di Parigi più attuale che mai

Il jihadismo che ha colpito il cuore di Parigi viene da lontano, dalla pretesa ideologica di identificare religione e politica per creare con la violenza uno Stato islamico. Lo denunciava con forza già nel 1986 l’intellettuale egiziano laico Farag Foda (1945-1992) in questo brano che proponiamo ora per la sua attualità. L’autore smonta la tesi per cui l’Islam richiederebbe l’identificazione tra religione e Stato e prevede che questa ideologia, se non arrestata, costerà al mondo un prezzo molto alto. Un prezzo che per Foda coincise con la vita stessa: fu assassinato al Cairo nel 1992 da due islamisti radicali. «Loro hanno il loro modo di ragionare e noi il nostro, loro hanno un passato verso cui fuggono e da cui noi fuggiamo, loro hanno un futuro da cui fuggono e verso cui noi ci protendiamo». Parole più che attuali oggi.

“Gli islamisti ritengono che mescolare religione e Stato sia un obbligo religioso, che l’Islam sia religione e Stato e che chiunque accetti la fede e rifiuti lo Stato rinneghi necessariamente un insegnamento di fede. E con questo insegnamento di fede intendono il fatto che essa organizzerebbe le modalità di governo e le questioni politiche.

Di questa pretesa però non portano mai le prove. Non per questo tacciono, ma anzi vagano senza meta per monti e per valli. Ti rinviano al Corano. Ma se gli dici che il Corano non ne fa parola, che non tratta di come si debba scegliere il governante e non chiarisce la natura del regime di governo, ti rimandano alla shûrâ[“consultazione”] . Se gli domandi come la interpretano, e in che misura sia obbligatoria per il governante, si dividono in tutto tranne che nell’ostilità verso di te e si disputano su tutto tranne che sul dichiararti miscredente. Ti rimandano alla Sunna , ma se gli dici che l’epoca del Profeta è legata alla sua persona e non è una prova per le generazioni seguenti (perché dove si trova oggi un governante che [come il Profeta] non parli mosso da passione e riceva rivelazioni divine sul da farsi?), ti scaraventano addosso il governo dei Califfi ben guidati . E se provi a discutere con loro o ad analizzare le cose, danno letteralmente di matto dicendo che sei entrato nelle regioni sacre. Se provi a obiettare con argomenti logici, fanno i finti logici dichiarando che la ragione non ha parte in queste cose e se gli metti di fronte gli errori compiuti dai Compagni, gli uni si stracceranno le vesti chiamando Dio in loro soccorso e gli altri risponderanno che gli errori dei musulmani non sono una prova contro l’Islam. E in questo hanno ragione, ma chi mai ha detto che stiamo obiettando all’Islam?

L’Islam è nel cuore e nella ragione insieme. Noi qui stiamo solo protestando contro la loro pretesa di poter governare per mezzo dell’Islam e questo è ben diverso; perché l’Islam, a nostro avviso, è religione e non è Stato (nel senso moderno della struttura dello Stato), è coscienza e non è spada (nel senso antico della spada). Per cui, se il nostro contraddittore invoca l’Islam come religione, non dobbiamo far altro che sottometterci reverenti, alla religione e non al nostro contraddittore, alla fede e non a colui che parla in suo nome. Ma quando viene a dirci che vuole governare per mezzo dell’Islam, non dovremmo neppure chiedergli un esempio, perché lui non sta parlando nel vuoto e non è dal vuoto che noi gli replichiamo. Il nostro testimone contro di lui è l’esperienza e il fatto che, a quanto pare, in più di mille anni di storia non ci sia un esempio positivo da portare o un modello chiaro da invocare.

A questo punto non resta loro che tornare alla carica con l’appello per lo Stato religioso, chiudendo gli occhi, mutilando la storia, alterando i fatti, falsificando gli eventi, gridando di fronte alle realtà storiche che sono “storielle giudaiche” (isrâ’îliyyât) e di fronte agli argomenti logici che sono incursioni sioniste, e alzando di fronte alla forza della prova la spada del takfîr [l’accusa di miscredenza]. Non hanno alternativa. Non ci importa di loro e non riescono a diminuire di un soffio la nostra fede che loro sono in errore o forse preda delle loro ambizioni e che noi abbiamo ragione e siamo nel vero. Non dovremmo occuparci di loro, non fosse che… e ahimè per questo “non fosse che”!

[…] Perdonatemi l’espressione eccessiva, ma la nostra tragedia è che siamo troppo divisi, incapaci di raggiungere la meta, con lo sguardo sempre rivolto indietro tanto che penso che l’avanti sia stato creato per altri, non per noi, che il futuro sia proprietà esclusiva di altri e che la speranza sia una moneta rara e di cui è vietata la circolazione. Spesso mi domando perché sia così e credo di avere una risposta che contiene molti elementi di verità e che si può sintetizzare in questo modo: abbiamo ricevuto [questi valori] da altri e non abbiamo pagato nessun prezzo per essi. Ogni cosa ha il suo prezzo, la democrazia, la laicità, la civiltà, i diritti umani, tutto ha un prezzo. Il mondo civilizzato ha pagato un prezzo per tutte queste cose. Per arrivare dove si trova ora ha dovuto attraversare mari di sangue e camminare sopra i cadaveri di migliaia di vittime. Per questo si tiene ben strette queste cose e non le molla, sapendo bene la fatica e la serietà, il sudore e il sangue che hanno richiesto. Noi invece abbiamo ricevuto tutte queste cose senza sforzo, ce le hanno trasmesse i pionieri [delle riforme]. Difenderle ci risulta difficile e non ci importa granché di perderle parzialmente o totalmente. Sono assolutamente certo che pagheremo il prezzo tra poco, a meno che ogni coscienza libera non si risvegli e ogni patriota desideroso di veder progredire il proprio Paese gridi con quanta voce ha in gola: “No! No allo Stato religioso! No al rifiuto della laicità! No al mescolare le carte tra politica e religione!” E tutte queste espressioni sono alla fine sinonimi.

Grideranno alla miscredenza. Ma per favore, chi sono loro per giudicare se uno è miscredente o no, chi sono loro per escludere le persone da una religione in cui crediamo e a cui ci consacriamo nel nostro intimo, non vedendo in essa altro che amore e tolleranza, non spade sguainate, sudari insanguinati e distese di tombe!

Loro hanno il loro modo di ragionare e noi il nostro, loro hanno un passato verso cui fuggono e da cui noi fuggiamo, loro hanno un futuro da cui fuggono e verso cui noi ci protendiamo. In comune tra noi e loro c’è solo una patria che noi sogniamo unita e che loro sognano dilacerata e di cui anzi detestano la semplice esistenza. E non potrebbero detestarla non fosse che… e ahimè per questo “non fosse che”!”

(Farag Foda, Hiwârât hawl al-‘almâniyya [Dialoghi sulla laicità], Cairo 1986, pp. 12-15, trad. Martino Diez)

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