Volti e storie di miseria e speranza. Così la Casa di San Francesco poverino è diventata per tanti l’abbraccio di una famigliaCibo “povero” e piatti di plastica. La tovaglia è di quelle lavabili, con i girasoli gialli. È questa la tavola della Mensa San Francesco poverino, a Firenze, dove Papa Francesco pranza nel giorno della sua visita in città. Anche lui verrà registrato e riceverà il tesserino con cui si accede alla mensa. “Un momento storico che vogliamo vivere con la normalità e semplicità di ogni giorno” spiega il direttore della Caritas di Firenze, Alessandro Martini. Per questo a tavola con il Papa siederanno 60 ospiti che tutti i giorni vengono a mangiare qui. Persone comuni, italiani almeno per la metà, anziani, persone disoccupate o con un lavoro precario, in situazioni di disagio, per cui la mensa diventa luogo di socialità e di incontro. Gli stranieri sono di dieci diverse nazionalità: africani, filippini, europei dell’est. Sostano vicino al portico già da metà mattina, e attendono il loro turno. C’è anche una saletta d’aspetto all’interno per chi si vuole sedere.
Carmela viene dalla Puglia, da Altamura. Alla mensa San Francesco è arrivata dopo aver perso la casa: “Sono stata per un periodo malata, avevo una casa del comune. Per cinque anni ho fatto avanti e indietro tra casa e ospedale e il Comune mi tolse la casa. Ero in mezzo a una strada, non avevo più niente e a casa mia c’era un’altra persona, anche se avevo sempre pagato”. Tramite un assistente sociale è arrivata alla SS. Annunziata: “Da 18 anni vengo qui e dico che questa è la mia famiglia. Qui è la mia casa e la mia famiglia”. E come in ogni famiglia “a volte ci azzuffiamo, ma guai a chi me li tocca”. Nadia è di origine ucraina, ma nata in Germania. Lavora da quando era poco più che bambina e ha cresciuto cinque figli lavorando giorno e notte. Ora ha 70 anni e da 13 è in Italia. Al momento è disoccupata, ma quando riesce a lavorare si occupa degli anziani come badante, anche se mai per lunghi periodi. Con quel che guadagna cerca di aiutare i figli e i nove nipoti.
Eulogia è una signora minuta e molto distinta, viene dalle Filippine. Ha due figli e quattro nipoti che vivono a Firenze. “Prima non venivo qui perché c’era lavoro, ma adesso il lavoro è poco e allora mangio qui qualche volta, non sempre”. Qui il cibo “è buono, buonissimo” e anche i volontari “sono buoni, tutti”. Cerca di lavorare come domestica, badante o baby sitter. Luigi ha 46 anni e si commuove quando pensa che pranzerà con papa Francesco. Viene ogni giorno da Empoli a Firenze, per mangiare alla mensa di San Francesco: “Qui mi trattano come un figlio, come uno di famiglia”. A casa non ha il gas e non lavora – prima era magazziniere -, ha bisogno di mangiare, e quindi viene qui. I genitori sono anziani e ora sono in una casa di cura, anche il fratello sta male. A Natale e a Pasqua va dalla sorella. Ha conosciuto periodi bui nella sua vita, lotta per tenere la sua casa e per vivere onestamente, alcuni amici hanno tradito la sua fiducia e lui si è sentito abbandonato e mette in guardia dall’essere troppo buoni. Aveva pensato anche di farla finita, ma – dice – l’angelo custode l’ha salvato e lui ha incontrato l’abbraccio di questa comunità.
A servire saranno i volontari “del martedì”, anche qui senza stravolgere i turni soliti. Tra di loro c’è Franco. Viene ogni lunedì e serve ai tavoli: “Lo faccio per interesse, è una cosa piacevole per me. Non posso neanche dire di fare un piacere agli altri, lo faccio per me, perché mi riempie la vita”. La sua esperienza di volontario ha le sue radici nell’Auser: “Durante la settimana accompagno le persone anziane o inferme a fare le visite mediche”, poi pian piano ha cominciato il servizio anche alla mensa: “Mi fa piacere fare questo servizio e qualche volta penso di essere un po’ egoista, perché lo faccio per me”. Con gli ospiti il rapporto è più che buono: “Mi diverto, mi piace socializzare con loro. È una cosa molto piacevole, vado via di qui e sono più sollevato”.
Il menù per Papa Francesco è quello solito: primo, secondo e frutta. In tavola: la ribollita, tipica ricetta toscana fatta con il pane e le verdure cotte, lo spezzatino con il purè e la macedonia. Uniche due eccezioni il dolce e il vino, a fianco alle caraffe di acqua dal rubinetto: il Chianti arriva direttamente dalla fattoria della diocesi, come il Vin Santo che accompagna i cantucci, mentre il bianco viene dal penitenziario delle Gorgona.