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I nuovi ultimi

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© Andrew Holbrooke

mons. Dario Edoardo Viganò - L'Osservatore Romano - pubblicato il 09/11/15

Per un’ecologia umana

Per il Santo Padre la rinuncia al superfluo e la lotta allo spreco sono regole di vita. Egli non si limita ad applicarle quotidianamente: le interpreta anche in senso più ampio, attraverso le riflessioni che sviluppa nei suoi discorsi e nei suoi scritti, dove il tema della rinuncia al superfluo è sempre connesso a quello del valore delle risorse e delle persone. Si tratta cioè sempre sia di custodire ciò che Bergoglio chiama «la casa comune», che di aver cura di coloro che la abitano.

Il tema compare già durante la messa di inizio del pontificato, del 19 marzo 2013: «La vocazione del custodire non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. È il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. È il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. È l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, poi come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. È il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti. Siate custodi dei doni di Dio (…), custodi dell’altro, dell’ambiente».
Poche settimane dopo, durante l’udienza generale del 5 giugno 2013 che si svolge in concomitanza della Giornata mondiale dell’ambiente promossa dalle Nazioni Unite, Papa Francesco torna sull’argomento. Compiendo un ulteriore passaggio, trova parole forti per parlare degli sprechi, che intende sia come dissipazione delle risorse che come colpevole incuria nei confronti degli esseri umani. «Uomini e donne vengono sacrificati agli idoli del profitto e del consumo: è la “cultura dello scarto”. Se si rompe un computer è una tragedia, ma la povertà, i bisogni, i drammi di tante persone finiscono per entrare nella normalità. (…) Così le persone vengono scartate, come se fossero rifiuti».
Ciò che è peggio, aggiunge Papa Francesco in quella occasione, è che la cultura dello scarto «tende a diventare mentalità comune, che contagia tutti. La vita umana, la persona non sono più sentite come valore primario da rispettare e tutelare, specie se è povera o disabile, se non serve ancora — come il nascituro — o non serve più — come l’anziano».
Nel suo messaggio per la Quaresima 2015, spiegherà che «questa attitudine egoistica ha preso oggi una dimensione mondiale, a tal punto che possiamo parlare di una “globalizzazione dell’indifferenza”».
Nel pensiero di Papa Francesco si tratta di un’unica complessa questione. Alla base c’è un modello di sviluppo basato sullo sfruttamento dissennato: oltre ad aver prodotto un degrado ambientale forse irrimediabile, ha imposto la logica utilitaristica anche nelle relazioni, così anche le persone — proprio come le cose — si trasformano velocemente in spazzatura. Ecco allora “i nuovi ultimi”, i rifiutati dalla società del benessere, gli esclusi.
È a loro che Papa Francesco dà una grande visibilità nell’enciclica Laudato si’, in cui scrive: «Vorrei osservare che spesso non si ha chiara consapevolezza dei problemi che colpiscono particolarmente gli esclusi. Essi sono la maggior parte del pianeta, miliardi di persone. Oggi sono menzionati nei dibattiti politici ed economici internazionali, ma per lo più sembra che i loro problemi si pongano come un’appendice, come una questione che si aggiunga quasi per obbligo o in maniera periferica, se non li si considera un mero danno collaterale. Di fatto, al momento dell’attuazione concreta, rimangono frequentemente all’ultimo posto. Questo si deve in parte al fatto che tanti professionisti, opinionisti, mezzi di comunicazione e centri di potere sono ubicati lontani da loro, in aree urbane isolate, senza contatto diretto con i loro problemi. Vivono e riflettono a partire dalla comodità di uno sviluppo e di una qualità di vita che non sono alla portata della maggior parte della popolazione mondiale. Questa mancanza di contatto fisico, a volte favorita dalla frammentazione delle nostre città, aiuta a cauterizzare la coscienza e a ignorare parte della realtà».
Abbiamo la coscienza «cauterizzata», dice il Papa, perciò degli esclusi preferiamo non occuparci: costituiscono una visione scomoda e impegnativa, che ci rimanda con urgenza alle nostre responsabilità. Ed è appunto per questo che il Santo Padre accende i riflettori della sua lettera proprio su di loro: vuole obbligarci a vedere. Perché la loro esclusione è solo uno degli effetti di un’incuria più generale e perniciosa che l’umanità dimostra di riservare a tutto il creato.
Presentata il 18 giugno 2015, la Laudato si’ è la prima enciclica interamente redatta da Papa Francesco (l’altra, Lumen fidei, era di fatto l’ultima del suo predecessore, che con essa chiudeva una trilogia di lettere dedicate alle virtù teologali). Contiene certamente anche un discorso ecologista, tant’è che i media l’hanno etichettata subito come “enciclica green”; ma il raggio della riflessione che propone è in realtà molto più ampio, e va ben oltre l’ecologia.
Infatti, dice il Pontefice, «ecologia ambientale ed ecologia umana camminano insieme» e non si può parlare di ambiente prescindendo dalla società che lo abita, e dunque anche da una seria riflessione su di essa. L’approccio del Santo Padre è dunque quello di un’“ecologia integrale”, ovvero un approccio che sappia integrare lo sguardo sull’ambiente e quello sull’essere umano.
È questa la forza comunicativa di Papa Francesco, che chiede che ogni creatura prenda coscienza della necessità di un cambiamento e si adoperi per favorirlo

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE 

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