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La Buona Scuola si autovaluta. E tu che voto le dai?

Primary school teacher

© Alain PINOGES/CIRIC

Città Nuova - pubblicato il 07/11/15

Attraverso il Rav (Rapporto di autovalutazione), il ministero mette in rete i dati di ogni scuola, che i genitori potranno visionare liberamente.

di Pasquale Lubrano Lavadera

Si fa un gran parlare della “Buona Scuola”, e si associa a questa definizione la parola “rinnovamento”, un rinnovamento profondo che pone al centro dell’intero sistema la valutazione e la trasparenza, e dal Ministero giungono parole esaltanti proprio su questi due aspetti, ritenendola valutazione uno strumento fondamentale per appianare le differenze e potenziare le eccellenze.

Ma esaltare le eccellenze non significa creare nuove differenze? Si insiste inoltre sulla trasparenza, ossia le scuole diventeranno tutte di vetro e dall’esterno si vedrà tutto nei dettagli, tutto, proprio tutto. Lo strumento adottato sarà il RAV, ossia il rapporto di autovalutazione (clicca qui per cercare la scuola che ti interessa), che ci permetterà di avere sempre una radiografia eccellente di ogni singolo istituto. Si sapranno notizie dettagliate sul contesto socio-economico, sulle performance dei docenti, sulle performance degli studenti, si saprà il livello medio di ogni singola classe, l’uso delle risorse, le strategie d’istituto, il numero dei precari e come si affronterà il problema delle assenze.

Praticamente un genitore potrà scegliere finalmente la scuola che gli va bene e dormire sonni tranquilli perché la sua scuola sarà finalmente “autovalutativa e trasparente”. Prima di inscrivere un alunno in una determinata scuola il genitore, in base ai dati raccolti, potrà fare un confronto tra le scuole e decidere dove mandare il proprio figlio.

Inoltre saprà il numero degli alunni svantaggiati nelle singole classi, l’età media degli insegnanti, lo stato di conservazione degli edifici e il numero totale degli insegnanti presenti in ogni scuola.

Infine, cosa ritenuta altamente qualificante, verranno finalmente pubblicati i dati statistici risultanti dalla prove Invalsi, classe per classe, in modo che i genitori sapranno  attraverso di esse il livello medio di istruzione raggiunto in quella singola classe e di conseguenza esprimeranno una propria valutazione sulla bontà dell’insegnamento dei docenti.

Il Dirigente valuterà il docente, il docente valuterà l’alunno, il genitore valuterà la scuola, il ministero valuterà il dirigente e il cerchio è chiuso. Un cerchio ben congegnato che permetterà ai genitori di selezionare e decidere per una “buona scuola” e tutto questo, anche grazie alle prove Invalsi, ritenute strumento potente che ci porterà ad essere all’avanguardia in Europa.

Inoltre le famiglie sapranno anche il tasso di assenteismo degli insegnanti in ogni singola scuola: basterà un po’ di esperienza con internet e cliccare su un’apposita casella. Tutto sotto gli occhi di tutti. Come pure, cliccando un’altra casella, sapremo il tasso dei bocciati e dei promossi. E tutto questo inorgoglisce il ministro Stefania Giannini che presenta il Progetto della “Buona Scuola” come uno strumento potente che ci porterà ad essere ad essere all’avanguardia in tutta l’Europa.

Mi si perdoni: ma dove sono finite la libertà, l’uguaglianza, la fraternità? Chi ha decretato che la meritocrazia e la   selezione, elementi nocivi e dannosi nella formazione e nel rapporto educativo, fossero riportati nuovamente nella scuola in barba a tutte le conquiste pedagogiche e psicologiche del secolo scorso?

E perché mai due esperienze pilota, tra le più innovative del sistema scolastico mondiale, come quelle di Don Milani e di Maria Montessori, che hanno combattuto con forza la selezione e la meritocrazia a favore di una “scuola per tutti e a misura di ciascuno”, sono state completamenteignorate e cestinate?

Perché non viene più affermato che il bene primario di una scuola è il bene relazionale, il rapporto, il rispetto dell’individualità di ogni alunno, il rispetto del suo ritmo di apprendimento che non merita valutazione ma accompagnamento?

È profonda convinzione di tutti che l’alunno svantaggiato non è un numero da aggiungere ad altri svantaggiati e finire in una statistica. Lo svantaggiato è un essere umano che non ha avuto dalla società quello che invece ha avuto l’avvantaggiato  e la scuola è chiamata a fare il possibile e l’impossibile per rimuovere le cause dello svantaggio. Altro che prove Invalsi, altro che dati statistici, altro che livelli stantard, altro che eccellenze.

Maria Montessori ci faceva scoprire che i bambini devono apprendere con gioia, quasi giocando, e noi, per ignoranza o per debolezza, abbiamo permesso che in seconda elementare i nostri bambini venissero sottoposti alle tormentose prove Invalsi.

Sì, occorre rifare una rivoluzione nelle scuole, ma una rivoluzione non violenta, alla Gandhi; occorre fare obiezione di coscienza; la valutazione è uno strumento delicatissimo che non deve mai essere finalizzato a statistiche. Bisogna a pare mio fare obiezione di coscienza sulle prove Invalsi e per ogni tipo di “trasparente” classifica valutativa.

Giustamente fu eliminato il voto dalla scuole dell’obbligo. La valutazione è uno strumento di formazione che deve servire ad ogni singolo alunno per maturare nella speranza, per crescere senza paure o falsi miraggi, per scoprire che l’apprendimento è un bene da raggiungere per sé, mai per una posizione in classifica.

Don Milani chiedeva sempre a quei ragazzi che avevano già maturato certe capacità di porsi accanto a quelli che stentavano, proprio perchè diceva che la scuola è vita, e uno dei valore fondamentali della vita è l’amore per i più svantaggiati.

Potenziare le eccellenze è sicuramente un male se queste non vivono nella libertà il senso di uguaglianza e la fraternità con tutti.

Una scuola che non pone al centro delle sue attività il rispetto profondo delle diversità, può diventare un crogiuolo di violenza. Dopo una vita passata nella scuola posso testimoniare che un rapporto educativo di collaborazione, di comunione e di ricerca comune, il bene relazionale costruito all’interno dell’intera comunità educante, l’uguaglianza nella diversità sono alla base di ogni vera esperienza scolastica.

Un dirigente che non è un esperto in tutto questo sarà un pessimo dirigente. La scuola non è un azienda, ma un’azienda può essere una scuola.

L’alunno non è un bullone, ma una persona che ha dentro di sé capacità inespresse e perché queste capacità fioriscano, questa persona ha bisogno di continua cura.

La “Buona Scuola” si prende cura di ogni alunno come si prende cura di ogni insegnante e di ogni famiglia e diventa pertanto motore di trasformazione culturale di un’intera società.

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE

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