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Papa Francesco: il credente non può parlare di poveri e fare vita da faraone

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Antoine Mekary

Radio Vaticana - pubblicato il 06/11/15

Intervista concessa al giornale di strada olandese Straatnieuws

È ancora presto quando ci presentiamo al portone di servizio del Vaticano, a sinistra della Basilica di San Pietro. Le guardie svizzere sono al corrente del nostro arrivo e ci fanno passare. Dobbiamo andare alla Casa Santa Marta, perché è lì dove abita Papa Francesco. Quella Casa Santa Marta probabilmente è l’hotel a tre stelle più particolare del mondo. Un grande edificio bianco dove pernottano cardinali e vescovi che svolgono il loro servizio in Vaticano o vi si trovano di passaggio e che è anche la dimora dei cardinali durante il conclave.

Anche qui sanno del nostro arrivo. Due signore alla reception, come in ogni albergo, gentilmente ci indicano una porta laterale. La stanza dell’incontro è già stata preparata. Uno spazio abbastanza grande con una scrivania, un sofà, alcune tavole e sedie, questo è il luogo di ricevimento infrasettimanale del Papa. Poi, inizia l’attesa. Marc, il venditore di Straatnieuws, è il più tranquillo di tutti e aspetta, seduto sulla sedia, ciò che verrà.

Di colpo si presenta il fotografo ufficiale del Papa. “Sta arrivando il Papa”, ci bisbiglia.

E prima che ce ne rendiamo conto entra nella stanza: Papa Francesco, il capo spirituale di 1,2 miliardi di cattolici. Porta con sé una grande busta bianca. “Mettetevi seduti, amici”, dice con un gesto gentile della mano, “Che piacere che siate qui.” Il Santo Padre dà l’impressione di un uomo calmo e amichevole, ma allo stesso tempo energico e preciso. Una volta seduti si scusa per il fatto di non parlare l’olandese. Glielo perdoniamo subito.

D – Le nostre interviste iniziano sempre con una domanda sulla via dove l’intervistato è cresciuto. Lei, Santo Padre, cosa si ricorda di quella via? Che immagini Le vengono in mente pensando alle strade della Sua infanzia?

R – “Io da quando avevo un anno fino al momento che sono entrato in seminario, ho vissuto nella stessa via. Era un quartiere semplice di Buenos Aires, tutte case basse. C’era una piazzetta, dove noi giocavamo a calcio. Mi ricordo che scappavo da casa e andavo a giocare a calcio con i ragazzi dopo la scuola. Poi mio papà lavorava in una fabbrica che era a cento metri. Faceva il ragioniere. E i nonni abitavano a cinquanta metri. Tutto a pochi passi l’uno dall’altro. Io mi ricordo anche i nomi della gente, da prete sono andato a dare i sacramenti, il conforto ultimo a tanti, che mi chiamavano e ci andavo perché volevo loro bene. Questi sono i miei ricordi spontanei.”

D – Lei giocava anche a calcio?

R. – “Si”

D. – Era forte?

R. – “No. A Buenos Aires a quelli che giocavano il calcio come me, li chiamavano pata dura. Che vuol dire avere due gambe sinistre. Ma giocavo, facevo il portiere tante volte.”

D. – Com’è nato il suo impegno personale per i poveri?

R. – “Si, tanti ricordi mi vengono in mente. Mi ha colpito tanto una signora che veniva a casa tre volte alla settimana per aiutare la mia mamma. Per esempio aiutava in lavanderia. Lei aveva due figli. Erano italiani, siciliani e hanno vissuto la guerra, erano molto poveri, ma tanto buoni. E di quella donna ho sempre mantenuto il ricordo. La sua povertà mi colpiva. Noi non eravamo ricchi, noi arrivavamo alla fine del mese normalmente, ma non di più. Non avevamo una macchina, non facevamo le vacanze o tali cose. Ma a lei mancavano tante volte le cose necessarie. Noi avevamo abbastanza e mia mamma le dava delle cose. Poi lei è tornata in Italia, e dopo è ritornata in Argentina. L’ho ritrovata quando ero arcivescovo di Buenos Aires, aveva 90 anni. E l’ho accompagnata fino alla morte a 93 anni. Un giorno lei mi ha dato una medaglia del Sacro Cuore di Gesù che porto ancora ogni giorno con me. Questa medaglia -che è anche un ricordo – mi fa tanto bene. Vuole vederla? “

(Con un po’ di fatica, il Papa riesce a tirar fuori la medaglia, completamente scolorita dopo essere stata portata per anni).


“Così penso a lei ogni giorno e a quanto ha sofferto per la povertà. E penso a tutti gli altri che hanno sofferto. La porto e la prego….”

D. – Qual è il messaggio della Chiesa per i senzatetto? Che cosa significa la solidarietà cristiana per loro in concreto?

R. – “Mi vengono due cose in mente. Gesù è venuto al mondo senzatetto e si è fatto povero. Poi la Chiesa vuole abbracciare tutti e dire che è un diritto di avere un tetto sopra di te. Nei movimenti popolari si lavora con tre ‘t’ spagnole, trabajo (lavoro), techo (casa) e tierra (terra). La chiesa predica che ogni persona ha il diritto a queste tre ‘t’. “

D. – Lei chiede spesso attenzione per i poveri e per i profughi. Non teme che in questo modo si possa generare una forma di stanchezza nei mass-media e nella società in generale?

R. – “A tutti noi viene la tentazione – quando si torna su un tema che non è bello, perché è brutto parlarne – di dire: “Ma, finiamo: questa cosa, stufa troppo “. Io sento che la stanchezza esiste, ma non mi fa paura. Io devo continuare di parlare delle verità e di come sono le cose.”

D. – È il suo dovere?

R. – “Si, è il mio dovere. Lo sento dentro di me. Non è un comandamento, ma come persone tutti dobbiamo farlo. “

D. – Non teme che la Sua difesa della solidarietà e dell’aiuto per i senzatetto e altri poveri possa essere sfruttata politicamente? Come deve parlare la Chiesa per essere influente e allo stesso tempo rimanere fuori dagli schieramenti politici?

R. – “Ci sono strade che portano a sbagli in quel punto. Vorrei sottolineare due tentazioni. La Chiesa deve parlare con la verità e anche con la testimonianza: la testimonianza della povertà. Se un credente parla della povertà o dei senzatetto e conduce una vita da faraone: questo non si può fare. Questa è la prima tentazione. L’altra tentazione è di fare accordi con i governi. Si possono fare accordi, ma devono essere accordi chiari, accordi trasparenti. Per esempio: noi gestiamo questo palazzo, ma i conti sono tutti controllati, per evitare la corruzione. Perché c’è sempre la tentazione della corruzione nella vita pubblica. Sia politica, sia religiosa. Io ricordo che una volta con molto dolore ho visto -quando l’Argentina sotto il regime dei militari è entrata in guerre con la Gran Bretagna per le Isole Malvine `che la gente dava delle cose, e ho visto che tante persone, anche cattolici, che erano incaricati di distribuirle, le portavano a casa. C’è sempre il pericolo della corruzione. Una volta ho fatto una domanda a un ministro dell’Argentina, un uomo onesto. Uno che ha lasciato l’incarico perché non poteva andare d’accordo con alcune cose un po’oscure Gli ho fatto la domanda: quando voi inviate aiuti, sia pasti, siano vestiti, siano soldi, ai poveri e agli indigenti: di quello che inviate, quanto arriva là, sia in denaro sia in spesa? Mi ha detto: il 35 per cento. Significa che il 65 per cento si perde. È la corruzione: un pezzo per me, un altro pezzo per me.”

D. – Lei crede che finora nel suo pontificato ha potuto ottenere un cambiamento mentale, per esempio nella politica?

R. – “Non saprei cosa dire. Non lo so. So che alcuni hanno detto che io ero comunista. Ma è una categoria un po’ antiquata (ride). Forse oggi si usano altre parole per dire questo…”

D. – Marxista, socialista…

R. – “Hanno detto tutto questo.”

D. – I senzatetto hanno dei problemi finanziari, ma coltivano la propria libertà. Il papa non ha nessun bisogno materiale, ma è considerato da alcuni come un prigioniero in Vaticano. Non sente mai il desiderio di mettersi nei panni di un senzatetto?

R. – “Mi ricordo il libro di Mark Twain ‘Il principe e il povero’, quando uno può mangiare tutti i giorni, hai vestiti, hai un letto per dormire, hai una scrivania per lavorare e non manca niente. Hai anche degli amici. Ma questo principe di Mark Twain vive in una gabbia d’oro.”

D. – Si sente libero qui in Vaticano?

R. – “Due giorni dopo essere eletto papa, sono andato (nella versione olandese: “come si dice ufficialmente”) a prendere possesso dell’appartamento papale nel Palazzo Apostolico. Non è un appartamento lussuoso. Ma è largo, è grande… Dopo aver visto questo appartamento mi è sembrato un imbuto al rovescio, cioè grande ma con una porta piccola. Questo significa essere isolato. Io ho pensato: non posso vivere qua semplicemente per motivi mentali. Mi farebbe male. All’inizio sembrava una cosa strana, ma ho chiesto di restare qui, a Santa Marta. E questo mi fa bene perché mi sento libero. Mangio nella sala pranzo dove mangiano tutti. E quando sono in anticipo mangio con i dipendenti. Trovo gente, la saluto e questo fa che la gabbia d’oro non sia tanto una gabbia. Ma mi manca la strada.”

D. Santo Padre, Marc vuole invitarla per andare a mangiare una pizza con noi. Che ne pensa?

R. – “Mi piacerebbe, ma non riusciremmo a farlo. Perché il momento che esco da qua verrà la gente da me. Quando sono andato a cambiare le lenti dei miei occhiali in città, erano le sette di sera. Non c’era molta gente in strada. Mi hanno portato dall’ottico e sono uscito della macchina e lì c’era una donna che mi ha visto e ha gridato: “Ecco il papa.” E poi io ero dentro e fuori tutta la gente …”

D. – Le manca il contatto con la gente?

R. – “Non mi manca perché la gente viene qua. Ogni mercoledì vado in piazza per l’Udienza Generale, qualche volta vado in una parrocchia: sono in contatto con la gente. Per esempio ieri (26 ottobre) sono venuti più di cinquemila zingari nell’Aula Paolo VI.”

D. – Si vede che lei gode di questo giro nella piazza durante l’Udienza Generale…

R. – “È vero. Si, è vero.”

D. – Il Suo omonimo San Francesco scelse la povertà radicale e vendette anche il suo evangeliario. In quanto papa, e vescovo di Roma, si sente mai sotto pressione per vendere i tesori della Chiesa?

R. – “Questa è una domanda facile. Non sono i tesori della Chiesa, ma sono i tesori dell’umanità. Per esempio, se io domani dico che la Pietà di Michelangelo venga messa all’asta, non si può fare, perché non è proprietà della Chiesa. Sta in una chiesa, ma è dell’umanità. Questo vale per tutti i tesori della Chiesa. Ma abbiamo cominciato a vendere dei regali e altre cose che mi vengono date. E i proventi della vendita vanno a monsignore Krajewski, che è il mio elemosiniere. E poi c’è la lotteria. C’erano delle macchine che sono tutte vendute o date via con una lotteria e il ricavato è usato per i poveri. Ma ci sono cose che si possono vendere e queste si vendono.”

D. – Si rende conto che la ricchezza della Chiesa possa creare questo tipo di aspettative?

R. – “Si, se facciamo un catalogo dei beni della Chiesa, si pensa: la Chiesa è molto ricca. Ma quando è stato fatto il Concordato con l’Italia 1929 sulla Questione Romana, il governo italiano di quel tempo ha offerto alla Chiesa un grande parco a Roma. Il papa di allora, Pio XI, ha detto: no, vorrei soltanto un mezzo chilometro quadrato per garantire la indipendenza della Chiesa. Questo principio vale ancora. Sì, i beni immobili della Chiesa sono molti, ma li usiamo per mantenere le strutture della Chiesa e per mantenere tante opere che si fanno nei paesi bisognosi: ospedali, scuole. Ieri, per esempio, ho chiesto di inviare in Congo 50.000 euro per costruire tre scuole in paesi poveri, l’educazione è una cosa importante per bambini. Sono andato all’amministrazione competente, ho fatto questa richiesta e i soldi sono stati inviati.”

D. – Parliamo di Olanda. Lei è mai stato nel nostro Paese?

R. – “Si, una volta quando ero superiore provinciale dei gesuiti dell’Argentina. Ero di passaggio nel corso di un viaggio. Sono stato a Wijchen, perché lì i avevano il noviziato, e sono anche stato ad Amsterdam per un giorno e mezzo, dove ho visitato una casa dei gesuiti. Della vita culturale non ho visto niente perché non avevo tempo.”

D. – Per questo potrebbe essere una buona idea se i senzatetto di Olanda La invitassero per una visita al nostro paese. Che ne pensa, Santo Padre?

R. – “Le porte non sono chiuse a questa possibilità.”

D. Cosi, quando ci sarà una tale richiesta, Lei la prenderà in considerazione?

R. – “La considero. E adesso che l’Olanda ha una regina argentina (ride), chissà.”

D. – Ha forse un messaggio speciale per i senzatetto del nostro Paese?

R. – “Non conosco bene i particolari dei senzatetto in Olanda. Vorrei dire che l’Olanda è un paese sviluppato con tante possibilità. Io direi di chiedere ai senzatetto olandesi di continuare a lottare per le tre ‘t’. “

Alla fine anche Marc fa alcune domande. Vuole sapere, tra l’altro, se il Papa già da piccolo sognava di diventare Papa. Il Santo Padre risponde con un risoluto ‘No”.

R. – “ Ma dirò una confidenza. Quando ero piccolo non c’erano i negozi dove si vendevano le cose. Invece c’era il mercato dove si trovava il macellaio, il fruttivendolo eccetera. Io ci andavo con la mamma e la nonna per fare le spese. Ero piccolino, avevo quattro anni. E una volta mi hanno domandato: ‘Cosa ti piacerebbe fare da grande?’ Ho detto: il macellaio!”

D. – Per molti fino al 13 marzo 2013 Lei era uno sconosciuto. Poi da un momento all’altro, Lei è diventato famoso in tutto il mondo. Come ha vissuto quest’esperienza?

R. – “È venuto e non l’aspettavo. Non ho perso la pace. E questo è una grazia di Dio. Non penso tanto al fatto che sono famoso. Dico a me stesso: adesso ho un posto importante, ma in dieci anni nessuno ti consocerà più (ride). Sai, ci sono due tipi di fama: la fama dei ‘grandi’ che hanno fatto grandi cose, come Madame Curie, e la fama dei vanitosi. Ma quest’ultima fama è come una bolla di sapone.”

D. – Così, Lei dice ‘adesso sono qua e devo fare il meglio’ e continuerà questo lavoro fino a quando ne sarà in grado?

R. – Sì.

D. – Santo Padre, si può immaginare un mondo senza poveri?

R. – “Io vorrei un mondo senza poveri. Noi dovremmo lottare per questo. Ma io sono un credente e so che il peccato è sempre dentro di noi. E la cupidigia umana c’è sempre, la mancanza di solidarietà, l’egoismo che crea i poveri. Per questo mi sembra un po’ difficile immaginare un mondo senza poveri. Se Lei pensa ai bambini sfruttati per lavoro schiavo, o ai bambini sfruttati per abuso sessuale. E un’altra forma di sfruttamento: uccidere bambini per togliere gli organi, il traffico di organi. Uccidere i bambini per togliere gli organi è cupidigia. Per questo non so se lo faremo questo mondo senza poveri, perché il peccato c’è sempre e ci porta l’egoismo. Ma dobbiamo lottare, sempre, …sempre”.

Abbiamo finito. Ringraziamo il Papa per l’intervista. Anche lui ci ringrazia e dice che il colloquio gli è piaciuto molto. Poi prende la busta bianca che per tutto il tempo è rimasta accanto a lui sul sofà ed estrae per ognuno di noi un rosario. Vengono scattate delle foto e poi Papa Francesco si congeda. Così tranquillo e rilassato com’è arrivato, ora esce dalla porta.

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE

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