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Il lungo cammino delle donne africane

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SIA KAMBOU

L'Osservatore Romano - pubblicato il 02/11/15

di Rita Mboshu Kongo

In Africa la bipolarità maschio-femmina si vive in un rapporto di tensione dialettica tuttora irrisolta: nella concezione africana, a parte qualche eccezione incoraggiante, la donna sembra, per alcuni versi, contare poco. Metaforicamente viene vista come “una goccia d’acqua della pioggia” che non sa dove va a cadere. Per le africane le tre parole che Benedetto XVI aveva usato per pensare al futuro del continente nell’esortazione apostolica Africae munus — cioè giustizia, riconciliazione e pace — non sono ancora una realtà.

Troppe sono le tradizioni familiari che non ammettono la parità fra donne e uomini, troppe le situazioni conflittuali nelle quali le donne sono le vittime predestinate della violenza. Soprattutto là dove lo stupro viene usato come vera e propria arma di guerra. Ma proprio in un panorama così desolante emerge la forza delle donne africane, capaci — anche con poche forze e pochissimi mezzi — di combattere per difendere i deboli. Questo perché la donna africana rappresenta un modello di coraggio, intelligenza, sopportazione e responsabilità: benché socialmente relegate al terzo posto, dopo gli uomini e i bambini, le donne africane sono sempre le prime al lavoro e le ultime al riposo. Esse traggono dalla fede la forza per affrontare tragedie spaventose, per farsi mediatrici di pace, per opporsi all’ingiustizia e allo sfruttamento, per assumere ruoli importanti nella Chiesa. Ma sono anche capaci di parlare con ironia e saggezza africane, perché fortemente radicate in una cultura che, volente o nolente, deve riconoscere la loro forza, indispensabile alla sopravvivenza e al progresso delle società del continente. Le donne africane possono andare avanti prendendo il meglio delle due culture nelle quali vivono: quella tradizionale che, se pure per vari versi le mortifica, riconosce loro valore sociale e religioso, e quella cristiana, che difende la loro parità e il loro diritto a essere riconosciute con dignità. Occorre, quindi, rimuovere dalla mentalità delle ragazze il complesso di inferiorità che le blocca psicologicamente, e nel contempo istruirle e abituarle a contare più sul loro cervello perché il Vangelo di libertà e la conformità con Cristo annullano ogni discriminazione tra gli esseri umani (cfr. Galati 3, 28). Ciò che gli uomini hanno codificato nel passato oggi potrebbe cambiare, perché i tempi lo esigono, e aprire così la possibilità per una testimonianza forte nel mondo. Dopo queste considerazioni, possiamo suggerire e auspicare che la donna africana assuma pienamente la sua condizione naturale senza cercare di atteggiarsi da uomo, e anche l’uomo, nel contempo, deve fare la stessa cosa: proprio perché essere maschio o femmina sta nell’essenza stessa dell’essere umano, abbandonare la propria natura di donna è alla morte, alla morte dell’umano. Bisogna inoltre promuovere in Africa quella cultura del rispetto e della reciprocità che si dà unicamente laddove due esseri esistono pienamente, cioè dove si dà l’alterità. Ci si deve impegnare quindi per difendere e promuovere i diritti e la dignità della donna africana.

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE

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africadonne nella chiesa
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