Eppure il cimitero può anche diventare il luogo in cui recuperiamo l’unità originaria dell’essere umano: Dio (Gen 1-2) fece l’adam bello e buono nella sua interezza e completezza. Al cimitero i segni mortiferi del peccato (morte, decomposizione, ma anche dolore e nostalgia) devono fare spazio, per contrario, all’invocazione della resurrezione come recupero in pienezza della bellezza e bontà del disegno creaturale: attendiamo la resurrezione anche come completamento, come crescita definitiva, per la quale non semplicemente immaginiamo di ricomporre l’unità di anima e corpo, ma immaginiamo compiuto il mistero d’amore su tutta l’umanità. Se riuscissimo un po’ a tenere a bada i sentimenti e la ragione, a volte inceppata in una sorta di cortocircuito, la visita ai resti mortali dei nostri cari defunti potrebbe trasformarsi nell’evento dell’invocazione della comunione con Dio e con tutta la Chiesa e anticipazione anche gioiosa della resurrezione che agli esseri umani, ormai maturi, potrebbe far dire in modo nuovo con Cristo tutto è compiuto (Gv 19,30), nel segno della pienezza ultima.
Questo spiega anche perché per la Chiesa è impossibile un pensiero sulla sorte delle anime che vada nella direzione della reincarnazione o della metempsicosi: l’uomo è una realtà totale, completa integrale; è stato voluto da Dio «bello e buono» nella sua interezza. Nonostante il peccato e la morte, la corporeità resta un valore, una positività da recuperare mediante la fatica dell’essere purificati, anche nella morte o dopo essa. Non sappiamo cosa sia in fin dei conti un corpo risorto (spirituale, bello, leggero, candido, splendente – sono solo alcuni dei termini della Scrittura indicanti comunque un mistero), ma sappiamo che sarà ricostituito integralmente l’essere umano, questo essere umano finalmente maturo nell’amore. E sarà ricostituito dal Cristo risorto e glorificato, che perfezionerà allora la nostra salvezza consegnandoci integralmente alla piena comunione con il Padre e lo Spirito Santo, comunione che egli, Verbo incarnato, già ha conquistato per noi con la sua Pasqua.
Detto questo, non mi pare abbia molto senso, nell’ottica della fede, cercare una specie di luogo fisico «abitato» dai defunti: piuttosto i defunti vanno ritrovati viventi in Dio nell’attesa della resurrezione finale.