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Parolin conferma: una delegazione vaticana è stata a Pechino

Tension rises again between Church and China – it

© Sean SPRAGUE / CIRIC

Vatican Insider - pubblicato il 30/10/15

Il Cardinale Segretario di Stato: è in corso un dialogo che la stessa Santa Sede considera «molto positivo»

di Gianni Valente

Intorno a metà ottobre, una delegazione della Santa Sede è volata fino a Pechino per portare avanti il dialogo con la Repubblica popolare cinese. La notizia, circolata finora come indiscrezione sui media, ha avuto ieri la conferma più autorevole che ci si potesse aspettare: è stato il cardinale Pietro Parolin a fornire conferma dell’avvenuto incontro.

Tra Cina e la Sede Apostolica è in corso un dialogo che la stessa Santa Sede considera «molto positivo», ha riferito il Segretario di Stato di Papa Francesco rispondendo ai giornalisti, in margine all’incontro svoltosi alla Pontificia Università Gregoriana per i cinquant’anni della Dichiarazione conciliare Nostra Aetate; «Non è la prima volta» ha detto testualmente Parolin «che una delegazione del Papa si reca a Pechino, fa parte di un certo percorso in vista di una normalizzazione dei rapporti. Il solo fatto di poterci parlare è significativo». Sui frutti che potrà portare la riapertura del dialogo, dopo che Papa Francesco ha più volte ricordato il suo desiderio di andare in Cina «anche domani», il porporato vicentino ha evitato di fare pronostici: «Noi ce lo auguriamo fermamente, tutto quello che si fa» ha puntualizzato Parolin «lo si fa in vista di poter trovare un’intesa e per avere relazioni normali anche con la Cina e con Pechino, come si hanno con la stragrande maggioranza dei Paesi del mondo. Certo, il fatto di dialogare è una cosa positiva».

Le parole del cardinale confermano autorevolmente le indiscrezioni finora circolate sulla «soddisfazione» avvertita da ambo le parti riguardo all’incontro di dialogo avvenuto a Pechino dall’11 al 16 ottobre. Il missionario belga Jeroom Heyndrickx, «sinologo» cattolico di grande esperienza, ha riferito che la delegazione vaticana era composta da sei persone, e che durante i giorni di permanenza in Cina i sei inviati avrebbero anche visitato la cattedrale di Pechino – incontrando il vescovo Giuseppe Li Shan, riconosciuto sia dalla Santa Sede che dal governo – e il Seminario nazionale.

«La Cina è nel mio cuore, sempre!», ha ripetuto Papa Francesco nelle recente intervista a Paris Match, diffusa proprio nei giorni in cui la delegazione vaticana si trovava di là dalla Grande Muraglia. Già un mese fa il Vescovo di Roma, sul volo che lo riportava da Filadelfia a Roma, aveva accennato ai «contatti» per avere «buoni rapporti» con Pechino. Anche in quell’occasione, il Successore di Pietro aveva ribadito il suo desiderio di andare in Cina, definendola «un Paese amico» e «una grande nazione che apporta al mondo una grande cultura e tante cose buone».

I messaggi insistiti ed espliciti inviati da Papa Francesco e dal Segretario di Stato rappresentano il segnale inequivocabile che tra Pechino e la Santa Sede si è ripreso il cammino di dialogo per far crescere la fiducia reciproca e affrontare e risolvere insieme alcuni problemi che ancora affaticano la vita della Chiesa cattolica in Cina, a cominciare dalla questione delle nomine episcopali.

Nel primo decennio del nuovo millennio, i tentativi di sbloccare l’impasse sembravano sul punto di produrre soluzioni ragionevoli. In quegli anni gli apparati cinesi evitavano di imporre ordinazioni episcopali prive di consenso pontificio, privilegiando la scelta di nomine di vescovi provviste di «consenso parallelo», sia papale che governativo. Nella Lettera di Benedetto XVI ai cattolici cinesi, pubblicata nell’estate del 2007 – che a tutt’oggi rappresenta lucida e articolata comprensione della «questione cinese» espressa dalla Chiesa di Roma – Papa Ratzinger esprimeva l’auspicio «che si trovi una accordo con il Governo per risolvere alcune questioni riguardanti la scelta dei candidati all’episcopato». Nella stessa Lettera, il Pontefice bavarese faceva anche notare che «la soluzione dei problemi esistenti non può essere perseguita attraverso un permanente conflitto con le legittime Autorità civili».

Su questa base, dal 2007 al 2009, rappresentanti cinesi e vaticani – con la delegazione della Santa Sede guidata dall’allora «vice-ministro degli esteri» Parolin – si incontrarono più volte a Roma e due volte a Pechino per mettere a punto un accordo quadro sulla questione delle nomine episcopali.

Quella fase promettente della trattativa fu rapidamente archiviata nel più enigmatico dei tanti capovolgimenti di scenario che hanno segnato il dossier delle relazioni sino-vaticane. Parolin, capofila della trattativa per la parte vaticana, divenne nunzio in Venezuela. Nel marzo 2010, una Commissione vaticana sulla Cina allora in funzione emise un comunicato in cui, tra le altre cose, veniva richiesto ai vescovi cinesi di non partecipare a riunioni convocate dagli organismi «patriottici», gli apparati che gestiscono la politica religiosa governativa. Come risposta, dal novembre 2011 al luglio 2012, funzionari cinesi tornarono a pilotare una serie di ordinazioni episcopali illegittime, celebrate senza il consenso del Vescovo di Roma. E per la prima volta, la Santa Sede dichiarò che quei vescovi ordinati illegittimamente erano stati colpiti in maniera automatica dalla pena canonica della scomunica.

Oggi, quell’ennesimo naufragio dei rapporti sino-vaticani sembra superata. Il filo del dialogo, riallacciato di nuovo, appare più solido.E in molti – a cominciare da tanti vescovi cattolici «clandestini», cioè non ancora riconosciuti come tali dal governo – attendono anche da questo nuovo inizio frutti buoni per la vita di quelli che in Cina portano il nome di Cristo, e per tutto il popolo cinese.

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