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Dorothy Day e lo scandalo della misericordia

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Courtesy of Marquette University Archives

JESSICA KEATING - pubblicato il 30/10/15

I tentativi di rendere la sua storia “sicura” per il consumo ristretto non fanno altro che distorcere la sua realtà

Nel suo storico discorso al Congresso degli Stati Uniti, papa Francesco ha evocato coraggiosamente quattro americani la cui testimonianza è stata spesso confliggente con la politica popolare. Accanto ad Abramo Lincoln, Thomas Merton e Martin Luther King, Jr., il Santo Padre ha ricordato Dorothy Day come icona di giustizia in una società afflitta dalla povertà materiale e spirituale, lodando l’attivismo sociale e la passione per la giustizia ispirati “dal Vangelo, dalla sua fede e dall’esempio dei santi”.

Dal discorso del pontefice al Congresso, la Day è diventata oggetto della nostra retorica politica sconnessa e incoerente. Alcuni insistono sul fatto di isolare i suoi rari commenti contro l’aborto tralasciando la sua incisiva critica quarantennale del “complesso militare-industriale-agricolo” e della cooperazione accademica con questi poteri statali. Altri suggeriscono che visto che la sua opposizione all’aborto era profondamente personale fosse quindi politicamente agnostica.

Entrambi i gruppi non riescono a cogliere la complessità e l’unità delle critiche della Day, cercando di renderla sicura per i rispettivi pubblici, che cercano costantemente l’ortodossia ideologica. Il ritratto incompleto che ne risulta mostra che la Day era o una donna che si preoccupava solo dell’aborto, il che è decisamente falso, o una sostenitrice sociale sobillatrice, che si opponeva personalmente all’aborto ma accettava in modo relativamente sereno la sua legalità. La Day, che non ha mai votato ma si è battuta per il diritto al voto delle donne, contraddiceva queste divisioni nette; non voleva impegnarsi nell’ambiente politico in modi così predeterminati.

Le osservazioni della Day sull’aborto sono rare e non sono né condizionate né inserite in un vacuum, scollegate da altre questioni relative alla dignità. Cercate nel suo prolifico corpus e troverete scarsi riferimenti alla prova della quale aveva la conoscenza più intima. Scrisse un racconto piuttosto grossolano e romanzato del proprio aborto in un’opera dei primi tempi, The Eleventh Virgin. Fa riferimento indirettamente a questa esperienza nella sua autobiografia, The Long Loneliness, ma in realtà ha impiegato la maggior parte del suo considerevole talento giornalistico denunciando il militarismo sponsorizzato dallo Stato, criticando lo sviluppo e l’utilizzo della bomba atomica, protestando per lo scandalo della povertà e per il trattamento riservato ai lavoratori, descrivendo lo scandalo delle opere di misericordia, scrivendo lettere e sostenendo un nuovo ordine sociale. Indubbiamente questo aveva a che fare con il fatto storico per cui l’aborto non è stato disponibile e praticato sulla scala odierna fino alla fine della sua vita, ma sorge il sospetto che il suo relativo silenzio sulla questione avesse qualcosa a che fare con la sua esperienza profondamente dolorosa dell’aborto.

Oltre a The Eleventh Virgin e a The Long Loneliness, la Day scrive del suo aborto in una tenera lettera a una giovane donna di nome Cathie, profondamente ferita dal proprio aborto e che stava prendendo in considerazione l’idea del suicidio. “In qualche modo”, scrive la Day, “per usare un linguaggio antiquato, sento che sei una vittima di anime, che porti un po’ dell’agonia nella quale si dibatte il mondo, il Vietnam, il Terzo Mondo, ‘la miseria dei bisognosi e il lamento dei poveri’” (All is Grace 397).

La Day menziona ancora l’aborto in un’edizione dell’agosto 1973 della rivista Commonweal. Scrivendo della sua conversione, de L’Imitazione di Cristo e di Bartolomé de las Casas, afferma:

Dio ci perdona i peccati della giovinezza! Ma come esclamò Zaccaria, conosciamo la salvezza attraverso il perdono dei nostri peccati. Non penso che nessuno riconosca il conforto di questo testo meglio di me. Non sono ancora stata attirata dalla tendenza attuale a portare tutto alla luce del giorno attraverso confessioni pubbliche e pubblicate. La Santa Madre Chiesa non ci ha insegnato a rispettare la modestia del confessionale? O è un’espressione sciocca? Ma oh, la gioia di sapere che si può sempre andare lì ed essere perdonati 70 volte 7… (anche se vi chiedete, nella vostra mancanza di fiducia nei confronti di voi stessi, se potete davvero avere l’intenzione o la forza di ’emendare la vostra vita’) Spero che i vostri lettori possano leggere tra le righe di quanto ho scritto e riconoscere quali sono le mie posizioni sul controllo delle nascite e sull’aborto.

Nello stesso “articolo-lettera”, racconta che in Australia le era stato chiesto dei suoi punti di vista su aborto e controllo delle nascite. Al riguardo, dice in modo molto pratico:

La mia risposta è stata semplicistica. Ho seguito papa Paolo… Grazie a Dio abbiamo un papa Paolo che sostiene il rispetto per la vita, un ideale così nobile, così elevato, così importante anche quando sembra che abbia tutto il mondo cattolico contro di lui. Peter Maurin ha sempre sostenuto la possibilità di una visione dell’uomo nuovo, del nuovo ordine sociale, per grazia di Dio, qui e ora, e così ha vissuto pienamente la vita della povertà volontaria e del lavoro manuale.

C’è una forte somiglianza tra la risposta schietta della Day e la prima intervista di papa Francesco alla rivista America, quando interpellato su aborto, contraccezione e matrimonio omosessuale ha detto semplicemente “Sono un figlio della Chiesa”. E tuttavia queste risposte semplici sono lungi dall’essere semplicistiche, parlando piuttosto di una vita formata nella logica particolare dell’amore e della misericordia.

La dichiarazione più formale della Day sull’aborto è la Statement on Abortion della The Catholic Peace Fellowship, che ha cofirmato con altre sei persone il 28 giugno 1974. Gli autori scrivono:

Facciamo questa dichiarazione per protestare contro una politica e una pratica, non per condannare alcun individuo per una decisione tragica che può essersi sentito/a costretto/a a prendere, come nella nostra protesta contro la guerra e la sua distruzione di vite umane non giudichiamo l’individuo che agisce in coscienza.
… Per molti anni abbiamo esortato i nostri leader spirituali sottolineando l’interrelazione delle questioni relative a vita, guerra, pena di morte, aborto, eutanasia e sfruttamento economico. Accogliamo con favore l’energica leadership che i nostri vescovi stanno esercitando nella controversia sull’aborto e siamo orgogliosi di unire le nostre voci alle loro. Allo stesso tempo, dobbiamo sottolineare che alla fin fine la sincerità delle nostre parole e delle loro su tali questioni verrà misurata dalla nostra prontezza a riconoscere e ad affrontare i problemi sociali sottostanti che fanno sì che molte persone si volgano a queste alternative di morte, a condannare tutte le forme di ingiustizia sociale ed economica e a lavorare per la loro eliminazione e per l’istituzione di un ordine sociale in cui tutti possano trovare più semplice essere “pienamente umani”.

Come dobbiamo considerare questi tre riferimenti? Sono meri errori? Come vanno intepretati? Prese insieme, le osservazioni della Day sull’aborto offrono due approcci essenziali.

1) La misericordia ci permette di vedere di più. Nel suo “articolo-lettera” per Commonweal, la Day cita il Benedictus: “We have knowledge of salvation through the forgiveness of our sins”. La misericordia di Dio, pienamente dispiegata nella persona di Cristo, e l’incontro della Day con la misericordia di Dio le hanno permesso di vedere meglio la realtà. È una vita di preghiera e partecipazione alla vita sacramentale che forma una visione di questo tipo. La grazia eleva e penetra anche ciò che è disponibile alla ragione. Ci avvolge nella logica che unisce tutte le “questioni relative alla vita”, che al giorno d’oggi sono andate tragicamente in pezzi.


Se questo sembra simile a una vita tutta d’un pezzo, è perché lo è. Ma dobbiamo essere chiari; una visione di questo tipo deve evitare la “fusione”. L’immagine del tutto d’un pezzo – come l’immagine del Corpo di Cristo – con Cristo come capo è un’immagine gerarchica. L’aborto, la fine deliberata di una vita umana, non è lo stesso atto morale della punizione capitale o dello sfruttamento economico. Piuttosto, una visione di questo tipo richiede la distinzione attenta e precisa evidente nella Evangelii Gaudium, nella quale papa Francesco ha spiegato perché la protezione dei concepiti ha un posto di grande rilievo nell’insegnamento della Chiesa sulla dignità umana:

Questa difesa della vita nascente è intimamente legata alla difesa di qualsiasi diritto umano. Suppone la convinzione che un essere umano è sempre sacro e inviolabile, in qualunque situazione e in ogni fase del suo sviluppo. È un fine in sé stesso e mai un mezzo per risolvere altre difficoltà. Se cade questa convinzione, non rimangono solide e permanenti fondamenta per la difesa dei diritti umani, che sarebbero sempre soggetti alle convenienze contingenti dei potenti di turno.

Una società che fallisce nel difendere i suoi membri più vulnerabili si troverà presto incapace di lottare per migliori condizioni lavorative, per i diritti dei lavoratori, per i poveri. Una società di questo tipo troverà che ciò che viene considerato giusto, ciò che viene considerato un diritto o un atto di misericordia o un segno d’amore sarà sempre più determinato dai potenti.

Una visione di questo tipo rivela il collegamento interno di tutte le questioni relative alla vita. Facciamo bene non solo a ricordare che le realtà della guerra, delle migrazioni e dello sfruttamento economico spesso interessano in modo sproporzionato i più vulnerabili tra noi, nella fattispecie i bambini, ma anche che tutte le offese contro la vita umana, in modi diversi e con una diversa gravità morale, partecipano a una logica di violenza e di esecuzione insensibile indicativa di una cultura dello scarto. La Day lo esprime nella sua lettera a Cathie, nella quale paragona la particolarità della sofferenza della ragazza a quella in Vietnam e al lamento dei poveri. È una visione elevata e ampliata da un incontro con la misericordia fiera e tenera di Dio.

2. La misericordia è un’abitudine che richiede forme di pratica concrete. Peter Maurin ha detto che l’obiettivo del lavoratore cattolico era quello di costruire una nuova società nel guscio di quella vecchia, una che rendesse più facile essere buoni. In Commonweal, la Day associa il sostegno di papa Paolo per il rispetto della vita e l’opera di Peter Maurin. Per la Day (e per noi), Maurin è un testimone della bontà della vita. Offre una particolare rappresentazione di una vita conformata a Cristo, a colui che rivela l’ampiezza e la profondità della dignità umana, che ci viene resa nota in continuazione attraverso il tenero perdono dei nostri peccati. È una vita vissuta nell’orizzonte della misericordia.

Nelle sue pratiche concrete di preghiera e opere di misericordia e nell’esercizio vigoroso della sua mente, Maurin (e la Day) ha lavorato per costruire un “ordine sociale in cui tutti potessero trovare più semplice essere ‘pienamente umani’”. Praticando la via della misericordia, denunciando i poteri che opprimono, hanno lavorato per una società in cui fosse più facile essere buoni, fosse più facile scegliere la vita, fosse più facile “fare spazio ai bambini” e non “eliminarli”, come scrisse la Day in una lettera a Daniel Berrigan (The Catholic Worker, dicembre 1972, 2, 8). La misericordia rende più facile dire di no alla voglia di potere e violenza in tutte le sue molteplici forme – aborto, eutanasia, omicidio promosso dallo Stato, condizioni lavorative disumane, militarismo e sfruttamento della terra.

La Day e Maurin hanno praticato lo scandalo della misericordia, e la misericordia non sceglie la propria via. Non dice “Farò quest’opera di misericordia ma nessun’altra”. Se lo permettiamo, questa stessa misericordia raggiungerà il nostro cuore; accuserà tutti noi; spazzerà via i nostri concetti frammentati di giustizia e politica. Capiremo che la misericordia è un ponte. Ha una totalità, un’ampiezza e una profondità che rendono più facile essere buoni.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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