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Iran, fede e famiglia. La storia di monsignor Ramzi Garmou

Marinella Bandini - Aleteia - pubblicato il 19/10/15

L'arcivescovo caldeo di Teheran racconta: la preghiera tra le mura domestiche e la forza della testimonianza. Oggi la sfida dell’emigrazione

“Io dico sempre che la forza di una Chiesa non si basa sul numero. Sono il modo di vivere e la testimonianza che fanno la forza della Chiesa cristiana”. Parole che suonano ancor più significative quando a pronunciarle è l’arcivescovo di Teheran dei Caldei, monsignor Ramzi Garmou. In Iran vivono 60mila cristiani, una goccia su una popolazione di 80 milioni di persone, quasi tutte musulmane, con forti limitazioni alla libertà religiosa e in un contesto segnato da una forte emigrazione. Qui la fede cresce soprattutto in famiglia, sostenuta dai sacramenti e dalla preghiera, e si racconta con “la testimonianza nel vivere quotidiano”. La storia della famiglia di monsignor Garmou è simile a quella di tante qui. Lui è nato Zakho nel Kurdistan iracheno, terzo di undici figli. “La famiglia in generale, e in particolare la famiglia cristiana, è un dono di Dio per l’umanità, un dono molto prezioso per cui dobbiamo ringraziare Dio” dice. La sua infanzia è trascorsa in un clima familiare segnato e scandito dalla preghiera, cui la sua famiglia dava molta importanza. “Tutte le domeniche – ricorda – andavamo a Messa, nella chiesa del quartiere, e così, a poco a poco la fede è cresciuta in noi”.

Naturalmente, “la mia famiglia, come tutte, viveva momenti di relax, di gioia, di riposo, così come momenti di prova, di malattia, ma grazie a Dio abbiamo superato i momenti più difficili e la famiglia ha potuto educare i figli in modo cristiano”. “Avevo 14 anni, ero adolescente, e ho sentito il desiderio di diventare sacerdote” racconta. E così ha lasciato la mia famiglia per andare in un’altra città dove si trovava il seminario. “Lasciare la famiglia non è stato facile, non poter vivere più con mio padre, mia madre, i miei fratelli e sorelle”. Nonostante questo, è stato per quattro anni in seminario, “poi ho lasciato, dicendo che non volevo più fare il sacerdote. Solo dopo, quando sono andato in Francia per i miei studi universitari ho riscoperto di nuovo la chiamata di Dio alla vocazione e sono entrato in un altro seminario, a Lione”. I genitori “non hanno posto nessun ostacolo alla mia vocazione, ma mi hanno molto incoraggiato”.

Ora che è vescovo di Teheran, è “padre” di circa 500 famiglie, in una metropoli di 12 milioni di abitanti. Di solito le famiglie vanno a Messa la domenica, “e così sono incoraggiati a pregare anche nelle case: il padre, la madre, i bambini, per nutrire la fede con la preghiera e diventare testimoni autentici di Gesù Cristo in un paese totalmente musulmano. La preghiera e la vita sacramentale nutrono la nostra fede e ci aiutano a testimoniare secondo le possibilità che abbiamo in questo grande paese musulmano”. La grande prova che la comunità cristiana dell’Iran deve affrontare in questo momento è l’emigrazione delle famiglie: per costruirsi un futuro, molti lasciano l’Iran, soprattutto per trasferirsi negli Stati Uniti. “Il risultato è che il numero di famiglie che rimane, a causa di questa emigrazione, diventa sempre di più piccolo. Ma io dico sempre che la forza di una Chiesa non si basa sul numero. Sono il modo di vivere e la testimonianza che fanno la forza della Chiesa cristiana”.

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