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Costruire un mostro per avere ragione

Bauman e illusione della felicità

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Gariwo - pubblicato il 19/10/15

Nella società delle opinioni assolutizzate abbiamo smesso di ascoltarci l'un l'altro. Come si può costruire così una pacifica convivenza?

di Gabriele Nissim*

Zygmunt Bauman spiega in un libro straordinario, Conversazioni su Dio e sull’uomo, come oggi nelle società democratiche individui e piccoli gruppi agiscano come portatori di verità assolute e non si preoccupino minimamente di ascoltare gli altri per arrivare a quella che il filosofo e sociologo polacco chiama una “ fusione di orizzonti”, in cui ognuno apprende dall’altro e si mette in discussione.

È un metodo manicheo che in continuazione viene riproposto nei talk show, dove i vari protagonisti sono solo interessati a mostrare di avere ragione e che il loro interlocutore non capisce nulla. La stessa cosa si ripete nell’immenso pianeta dei social network, dove chi interviene con un’opinione netta e rigida difficilmente accetta di riconoscere il valore di una posizione diversa. La maggioranza dei partecipanti ama mostrare le proprie certezze e non cambia mai idea: lo scopo è soltanto quello di ribadire un’intangibile differenza a cui tutti gli altri dovrebbero uniformarsi.

Così assistiamo ad una guerra continua tra le migliaia di esponenti delle varie crociate che hanno sempre la pretesa di mostrare come le loro opinioni rappresentino inequivocabilmente l’interesse generale.

Fortunatamente in Europa non esistono più i totalitarismi, che in nome di una verità ideologica censuravano chi la pensava diversamente, trasformandolo nel nemico da abbattere; eppure tanti orfani dei partiti e delle varie “chiese” ancora oggi amano polemizzare mettendo in campo la pretesa di possedere la verità assoluta.

Il risultato è una degenerazione della democrazia, la quale non può vivere solo attraverso le istituzioni, ma ha bisogno di uomini capaci di comprendersi e di aprirsi empaticamente alle ragioni dell’altro.

Poiché – come diceva Lessing, grande protagonista dell’illuminismo tedesco – non esiste una verità unica nel mondo umano, ma tante verità parziali e sempre insufficienti, gli esseri umani devono avere la capacità di interagire e di mettersi ogni volta nei panni degli altri per ritrovare sempre un punto di contatto con loro: è questa la fusione di orizzonti di cui parla Bauman ed è il sale della democrazia.

Me ne sono accorto nella discussione che si è creata attorno al progetto di riqualificazione delGiardino dei Giusti di Milano, additato come un “demonio” da combattere con qualsiasi mezzo.

È pienamente lecito confrontare le opinioni, come del resto è accaduto nell’Associazione del Giardino di Milano, quando si sono definiti i criteri che hanno poi portato al progetto dell’architetto Valabrega.

Ciò che però stupisce è che nessuno dei contestatori abbia mai pensato di ricercare un dialogo costruttivo. L’obiettivo era e rimane quello di creare il mostro, facendo leva sull’interesse collettivo alla salvaguardia del verde come bene comune, mostrando sui social network disegni non corrispondenti al progetto e invitando i cittadini a firmare contro lo “scempio architettonico”, con toni allarmistici e catastrofici. Noi saremmo il “ male”, mentre loro si ergono a difensori dell’integrità del Monte Stella contro gli usurpatori.

Nessuno di loro si è mai preoccupato di comprendere lo scopo morale, soprattutto educativo, di tutto il progetto; non una sola parola sul senso generale della qualificazione del giardino; nessuna sensibilità sull’importanza che il Giardino dei Giusti ha acquisito sul piano internazionale, come riferimento per decine di Giardini in Europa e nel mondo; nessuna attenzione all’impegno per la prevenzione dei genocidi e la valorizzazione di coloro che difendono la vita e la dignità umana nelle situazioni estreme.

Nessuno di loro ha pensato alle migliaia di giovani che vengono da Milano e da tutta Italia a visitare il giardino e hanno bisogno di una piccola arena dove confrontarsi, organizzare dibattiti, lezioni, spettacoli all’aperto.

Il Giardino non è affatto un monumento, come pensano i suoi detrattori, ma un luogo vivo dove i giovani si interrogano sulle storie dei Giusti e apprendono nella riflessione e nel dialogo l’arte di pensare con la propria testa.

Nessuno di loro fino ad ora si è chiesto il motivo della costruzione di una struttura, come quella che esiste a Yad Vashem a Gerusalemme, e a Erevan in Armenia, per incidere i nomi dei Giusti. Fra breve infatti non ci sarà più spazio nell’area del giardino per piantare nuovi alberi e con questo progetto i Giusti verranno ricordati con l’incisione del loro nome.

Nessuno di loro si è mai accorto che il Giardino ha fatto conoscere il Monte Stella in tutto il mondo e che una rete di insegnanti, di volontari, di intellettuali, ha reso possibile questa valorizzazione con grandi sacrifici personali negli ultimi quindici anni.

Bauman osserva che ogni Chiesa che si chiude nella fortezza della propria religione e sbatte la porta alle ragioni dell’altro, in realtà vi inchioda una scritta che annuncia tempeste: “Se il mio Dio è unico, a me che ne sono convinto tutto è permesso contro chi di questa convinzione è privo”.

Aggiunge poi che questa pratica del “Dio unico” si ripropone in tutti coloro che lanciano crociate in nome della verità assoluta.

Oggi leggo che al termine di una manifestazione il fronte del no alla riqualificazione del Giardino di Milano annuncia su facebook il reclutamento di sentinelle a difesa del Monte Stella.

Naturalmente aggiungono che saranno pacifiche.

Speriamo.

P.S.: anche se è stato umiliante sedersi attorno a un tavolo con chi ci insultava e poi lanciava invettive sui social network, abbiamo cercato di capire e abbiamo rivisto il progetto, tenendo conto delle loro osservazioni. Abbiamo fatto la stessa cosa con la Soprintendenza ai Beni Culturali. Risultato? Il progetto modificato ha ottenuto l’approvazione delle istituzioni e di chi sinceramente ha a cuore il bene comune. I vari Comitati del no, invece, hanno continuato imperterriti per la loro strada. Insinuano dubbi sulla moralità nostra e di chi ha dato il via libera. Ora scrivono una lettera al Sindaco invocando i principi della democrazia. Curioso, no?

*Presidente di Gariwo

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE

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