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Attentato ad Ankara. La strategia del terrore è fallita

Gariwo - pubblicato il 15/10/15

Intervista al politologo turco Cenzig Aktar

di Viviana Vestrucci

L’attacco terroristico, che il 10 ottobre ha ucciso 97 persone e ferito altre centinaia di partecipanti a una manifestazione per la pace ad Ankara, ha scosso la Turchia, dando il via a proteste di piazza contro Erdogan e il governo. Gariwo ha chiesto all’analista politico turco Cengiz Aktar di delineare il contesto che ha condotto al terribile attacco e gli effetti di quest’ultimo sulle imminenti elezioni generali. Aktar ha sottolineato le pesanti pressioni esercitate dal governo per limitare la libertà di espressione dei media turchi, una questione ignorata dall’Unione Europea.
L’attentato ad Ankara è il più grave attacco terroristico nella storia della Turchia. Quale era il bersaglio?

Un grande numero di sindacalisti, militanti e attivisti politici si era riunito per manifestare a favore della pace e della democrazia; le due forze di opposizione, il Partito Democratico dei Popoli (HDP), filo-curdo, e il Partito Popolare Repubblicano, social-democratico, avevano invitato a partecipare: l’attacco era chiaramente mirato a tutti loro. Chiedevano la pace, perché il governo aveva innescato dal 10 luglio, un mese dopo le elezioni generali, una spirale di violenze nel Paese. Da allora 694 persone, in gran parte semplici cittadini, hanno perso la vita per una catena di violenze e il tentativo di ottenere il sostegno più ampio possibile dai nazionalisti, per recuperare la maggioranza dei seggi in Parlamento, persa con il voto del 7 giugno. Un azzardo, e il Presidente ha rifiutato di considerare qualsiasi tipo di governo di coalizione e ha fatto fallire le trattative per un accordo tra il suo partito e le forze di opposizione. Non era mai successo nella storia della democrazia e del Parlamento turco di dover tornare alle urne una seconda volta in meno di sei mesi, perché il Presidente non ha gradito il risultato della volta precedente e punta a restare al potere e a non dovere rendere conto per tutto ciò di cui è sospettato, ovvero lo scandalo per la corruzione esploso nel dicembre 2013.

Si può parlare di una “strategia della tensione” in Turchia, in analogia con la serie di atti terroristici che colpirono l’Italia negli anni ’70?

Non sto parlando di “tensione”, ma di una “strategia di violenza”, violenza allo stato puro, che funziona, la gente muore. Se 694 persone sono state assassinate, non si tratta di tensione, ma di fatti di sangue. La tensione riguarda paesi più democratici, non è il nostro caso, qui siamo di fronte a orribili uccisioni. Non si sa chi abbia orchestrato tutto questo, né chi siano gli attentatori suicidi, ma tutti gli elementi puntano nella direzione dell’ISIL e sappiamo che questo governo è stato molto tollerante nei confronti di questi militanti che vanno e vengono in Turchia e attraversano il confine liberamente per unirsi all’ISIL in Iraq e Siria. Sappiamo anche che, stando si servizi segreti turchi, almeno 3.000 cittadini turchi si sono arruolati nell’ISIL. Nel più grave massacro dei mesi scorsi, commesso a Suruç, nella provincia di Urfa, il 20 luglio, il kamikaze era un turco affiliato all’ISIL. E pare che questi individui non stiano combattendo solo in Iraq e Siria, ma possano agire anche in Turchia. Il secondo punto è che il governo e le autorità di Ankara hanno tenuto una linea molto blanda e carente in termini di sicurezza per la manifestazione. Non hanno fatto perquisizioni e sul posto non c’erano quasi poliziotti. E terzo punto, per le stragi precedenti, iniziate tre anni fa, non c’è stata alcuna vera indagine che arrivasse a un risultato.
Se mettiamo in fila tutte questi fattori: la complicità con l’ISIL, le carenze nella sicurezza e la mancanza di volontà di indagare sulle stragi, a molti viene il sospetto che tutto questo fosse orchestrato, pilotato da chi si aspettava che la violenza avesse un effetto favorevole sulle elezioni. E oltretutto, nessuno, non una delle autorità coinvolte ha osato presentare le dimissioni. Restano lì e fanno finta che non ci siano state mancanze nelle misure di sicurezza.

Quali possono essere gli effetti dell’attacco terroristico sulle imminenti elezioni?

In primo luogo l’opinione pubblica turca è molto arrabbiata con le autorità e non crederà che la stabilità possa essere garantita solo da un regime guidato da un unico partito. Al contrario, l’elettorato si sta piuttosto spostando verso l’HDP e il CHP, perché sono stati molto presenti sulla scena dopo l’attentato, quindi penso che se c’era un piano per trarre vantaggio da questa strage, ha avuto l’effetto del tutto opposto. Vedremo il risultato il 1 novembre.

E il cessate il fuoco, che il Partito dei lavoratori curdi (PKK) aveva preannunciato di voler rispettare fino al voto di novembre?

Il PKK doveva comunicare il cessate il fuoco prima delle elezioni e lo ha fatto nonostante quello che è successo ad Ankara e ha detto di volerlo osservare per onorare la memoria delle persone uccise ad Ankara. Quindi la strategia della tensione o del terrore è totalmente fallita per il momento.

La libertà dei media è maggiormente a rischio in Turchia dopo le bombe ad Ankara?

Sì, certamente. Intendo dire che non c’è più libertà per i media in Turchia, sono tre o quattro i quotidiani che possono ancora uscire. Il settore dei media turchi, comprese le emittenti televisive, è sottoposto a una forte pressione. Solo i gruppi editoriali molto vicini a Erdogan possono pubblicare o trasmettere. Il governo esercita pressioni e ottiene risultati impedendo ai canali televisivi di opposizione di trasmettere tramite le piattaforme come Digiturk e questo è avvenuto di recente. Viene rallentato internet, a volte sono bloccati Twitter, Facebook e YouTube: un disastro per la libertà di espressione nei media. Dopo i fatti di Ankara, non solo l’autorità di controllo su radio e televisioni ha imposto il blackout sulle notizie il secondo giorno dopo l’attentato, ma il governo ha anche ordinato il blackout sulle informazioni riguardanti le indagini. E i lettori di Gariwo dovrebbero sapere che questo non è un governo eletto, ma doveva preparare le elezioni e sbrigare l’ordinaria amministrazione. Nonostante questo, agiscono come se fossero stati eletti.

È un quadro molto tetro della Turchia

Lo è in effetti. Vorrei cogliere l’occasione per dire che l’Unione Europea sta totalmente minimizzando quanto avviene in Turchia. Hanno appena annunciato che Angela Merkel verrà ad Ankara sperando di risolvere la crisi dei rifugiati parlando con la Turchia. Questo è impossibile, perché Ankara non ha alcun controllo sul flusso dei rifugiati e non ha una politica per i rifugiati.
L’Unione Europea si appresta a diffondere, il 21 ottobre, il rapporto annuale sullo stato dei negoziati per l’accesso della Turchia alla UE; il rapporto dovrebbe evidenziare tutti i limiti e le carenze, ma mancherà di riconoscere che la Turchia non soddisfa i criteri di Copenhagen, cioè la condizione “sine qua non” per le trattative per l’adesione. La UE è totalmente su un altro pianeta quando guarda alla Turchia; per non parlare dell’Italia.
Il figlio del Presidente Erdogan attualmente è in Italia, a Bologna, e l’opinione pubblica turca è sotto shock per questo. Non si capisce perché ci sia andato. Ognuno è libero di andare ovunque, ma ci sono molti interrogative su questa vicenda …

Cengiz Aktar è Senior Scholar all’Istanbul Policy Center, esperto di minoranze e fautore della riconciliazione tra turchi e armeni, in passato consulente per 22 anni all’Onu, oggi scrittore ed editorialista per il network televisivo Al-Jazeera e i quotidiani Zaman e Taraf, membro del Board della Hrant Dink Foundation.

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