Già il 3/1/62 infatti il Vescovo di Roma aveva annunciato a Felici che egli sarebbe stato il Segretario generale del Concilio. Comunque tutti i testi del ’60 rivelano un grande intendimento fra i due e la benevolenza e predilezione del Sommo Pontefice. Ma la nomina è resa pubblica solo contemporaneamente al Motu Proprio di indizione del Concilio. Da segnalare è il fatto che il Sommo Pontefice il 21/5/62 esprime chiaramente la sua volontà che gli schemi preparatori, sui quali porrà delle note a commento (25/7/62), siano pastorali. La data di inizio è decisa il 28/1/62, ma invero già l’11/4/61 il Papa aveva menzionato l’autunno ’62. Felici pensa di fatto a tre sessioni, mentre il Papa ne desidera due, auspicando la chiusura del Vaticano II in coincidenza con la celebrazione dell’anniversario del Concilio di Trento».
Dalla lettura del volume scritto da un prelato curiale qual era Felici, emerge una visione della Curia non idilliaca «poiché risultano evidenti – sostiene Marchetto – le sue “malattie”, indicate recentemente dallo stesso Papa Francesco. Esse sono spesso rilevate, con dolore, da Felici, cioè, ripetiamo, invidia, gelosia, corsa ai posti di “comando”, carrierismo insomma. Le difficoltà furono tali che sorse in lui perfino la tentazione di dimettersi (7/5/62). Il Papa gli rispose “Per carità no, non ci pensi neppure”. A completamento indicativo, ricordo un altro “sfogo” di Felici affidato al Diario per quanto concerne l’accusa a lui rivolta di essere “il manutengolo della Curia Romana”. “Se sapessero costoro – si lagna fra sé e sé – quanto ho dovuto soffrire per alcuni suoi Prelati”! E aggiunge “se la campagna [denigratoria] continuerà potranno cambiarmi mestiere e ne ringrazierei Iddio”».
Infine, dal «Diario» emerge anche la profonda spiritualità di Felici, «potrei aggiungere tradizionale spiritualità – afferma Marchetto – con aggettivo che nulla toglie a profondità e autenticità, anzi. Egli spesso si analizza per quanto riguarda la tentazione della superbia. Manifesta un proposito fermo: “Voglio vivere in umiltà: soggetto sempre al tuo volere, accettando fin d’ora la morte, quando e come tu la vorrai, in perfetto atto di amore; lavorando con tutto l’impegno dove tu vorrai. Per bocca del tuo Vicario mi hai assegnato il lavoro; lavorerò come meglio potrò”. Si badi bene che tutte queste felici disposizioni spirituali furono messe a dura prova durante il Concilio anche per le difficoltà di salute. Spiritualità tradizionale la sua? Egli stesso si esamina (21/6/64), osservando quasi con distacco: “Talora io penso come possa essere toccato a me l’ufficio di Segretario del Concilio Ecumenico. Un po’ per carattere, un po’ per formazione, un po’ per ministero esercitato con certi orientamenti, io mi trovo a condividere nella dottrina e nella pratica alcune posizioni che si è convenuto chiamare tradizionali, pur guardando con serenità – così mi sembra – a delle aperture, che possono migliorare gli spiriti e renderli più adatti alla diffusione del vero e del bene”».
«In ogni caso il Segretario generale ha coscienza d’aver “parlato con molta franchezza con tutti, con il Papa anzitutto, il quale penso abbia apprezzato molto il mio atteggiamento, che sicuramente non può procurare altro che tensione nervosa, fastidio ed inimicizie” (4/12/63). Comunque è certo il fatto che Paolo VI gli affida sempre più gravi incombenze. Ecco dunque l’uomo in croce.
Un ultimo tratto da rilevare viene dalla considerazione della pastoralità di Mons. Felici, lui che dimostra tenere così tanto alla dottrina. Scrisse: “Soprattutto devo pensare che sono qui sulla terra non per dormire, ma per trafficare con un’ampia e intelligente negoziazione i tesori che il Signore mi ha affidati. Il pensiero dell’inferno è salutare; devo meditarlo spesso e predicarlo” (06/10/60).
E ora che dire? Cinquant’anni dopo possiamo legittimamente domandarci: come ci troveremmo senza la bussola del Concilio nel periglioso mare di questo inizio di III millennio? Da ciò nasce in noi l’amore riconoscente al Concilio Ecumenico Vaticano II, quello vero, dei Padri».