L’eutanasia è sempre la decisione di una solitudine miserevoleDa poco più di due anni è stato lanciato in Italia da parte di un’associazione Luca Coscioni nota per le sue attività radicali un video che aveva l’obiettivo di scioccare. Era la storia di Piera, una signora di 76 anni alla quale era stato diagnosticato un cancro al fegato in stato avanzato e incurabile.
Piera racconta il momento in cui ha ricevuto la diagnosi di incurabilità della sua malattia dicendo “Sono morta”, e in tre minuti, mentre fa le valigie, spiega che in assenza di possibilità di cure e non volendo soffrire ha deciso di andare in Svizzera per farla finita. Nel video Piera dice chiaramente di non voler più soffrire, che non serve a niente. Per questo lei, e solo lei, ha il diritto di decidere sulla sua vita e sulla sua morte.
“La scelta di Piera”, titolo del breve video, è stata proprio questa. Si è recata in una cittadina vicino Zurigo e lì ha scelto il momento esatto per mettere il punto finale alla sua vita. Ha lasciato in eredità quel film-testimonianza per la campagna che sostiene la legalizzazione dell’eutanasia in Italia.
Piera dice amareggiata nel video: “Io non voglio più soffrire. Diventa una sofferenza fine a se stessa, una sofferenza che non giova a nessuno. A chi giova la sofferenza mia, o di tanti altri? A chi serve? Per quale motivo io devo soffrire fino a morire? Si soffre fino a che si muore. Chi può arrogarsi il diritto di dire di fare questo, chi? Sono io, io, io, la mia vita, la mia morte, io a decidere di me”.
Sono parole forti. Più di qualsiasi altra cosa, è forte la solitudine di Piera. Ha deciso una cosa molto grave, in modo solitario. È vero che tutti muoiono da soli. È inevitabile. La morte, come la vita, solo ogni persona può assaporarla e percorrerla. Ma la solitudine del suicida, soprattutto del suicida assistito, sembra essere più acuta e dolorosa. Non perché Piera non abbia potuto contare sulla vicinanza dei suoi familiari e amici perché si è vista “costretta” ad andare in Svizzera per morire, ma perché chi cerca aiuto per morire non smette di chiedere aiuto per vivere, anche se inconsapevolmente. Tutti gli esseri umani hanno bisogno di condividere la vita. E tutti hanno bisogno di vivere e morire accompagnati.
Sembra che Piera, nonostante l’aiuto ricevuto per recarsi in Svizzera, non abbia potuto contare su nessuno che le dicesse: “Resta qui quanto tempo vuoi, starò con te, mi prenderò cura di te”. L’eutanasia è sempre una decisione di una solitudine miserevole: di chi non vuole dar fastidio agli altri, di chi ha paura di soffrire fisicamente senza avere il sollievo di una presenza realmente gratuita e volontaria, di qualcuno che l’ama.
È per questo che l’eutanasia è sempre una sconfitta, dell’individuo e della società. Sconfitta dell’individuo che si vede impotente di fronte al presunto mostro della morte dolorosa. Sconfitta della società che non può o non vuole offrire aiuto a chi si sente debole ed emarginato per la sofferenza derivante da una malattia.
Le stesse amiche che hanno aiutato Piera ad andare in Svizzera o che l’hanno filmata per l’ultima volta non erano abbastanza amiche per accoglierla in quei suoi giorni peggiori. Piera era sola nonostante la presenza di alcune persone che condividevano la sua convinzione di cercare una “buona morte”.
Nel momento in cui una persona si sente sola e disperata, spaventata dall’avvenire, trova nell’industria dell’eutanasia l’impulso che le mancava: “Sì, la sua sofferenza è inutile. Ponga fine alla sua vita, è meglio sia per lei che per quelli che restano”.
Ma esistono alternative! Forse tutto può essere diverso se chi è in quella situazione trova l’accoglienza di chi pratica le cure palliative e può allora sentire e toccare quello che diceva Cicely Saunders, una delle fondatrici del movimento Hospice:
“Tu sei importante perché tu sei tu. E tu sei importante fino alla fine della tua vita. Faremo tutto il possibile per aiutarti a morire in pace, ma anche per farti vivere fino al momento della morte”
[Traduzione dal portoghese a cura di Roberta Sciamplicotti]