Il ricordo del “giudice ragazzino” assassinato dalla mafia
Tutti coloro che lo stanno ricordando in queste ore – a 25 anni dal suo assassinio – citano la frase trovata nei suoi appunti: “Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili“. E’ il testamento spirituale e intellettuale del “giudice ragazzino“, Rosario Livatino, ucciso da quattro sicari della Stidda (una organizzazione mafiosa in contrasto con Cosa Nostra) il 21 settembre 1990.
L’agguato mortale avvenne sulla SS640 tra Agrigento e Caltanissetta. Il giudice sapeva di essere nel mirino: come sostituto procuratore del Tribunale di Agrigento aveva messo a segno numerosi colpi contro la mafia usando lo strumento della confisca dei beni oltre a contribuire a scoperchiare la Tangentopoli sicilina. Non aveva, però, voluto la scorta; come testimonierà più tardi il padre, il suo pensiero era: “Meglio che muoia uno solo, piuttosto che di più“.
Martire della giustizia
Livatino era nato a Canicattì, in provincia di Agrigento, il 3 ottobre 1952 e la sua vita si era spesa tra lo studio – laurea cum laude in giurisprudenza a Palermo nel 1975, a 22 anni – e l’impegno in Azione Cattolica.
La sua giornata era intessuta di preghiera. Iniziava sempre con la sosta in una chiesetta fuori mano in cui poter pregare “in incognito” e sulla scrivania di casa c’era un crocifisso e un Vangelo che troveranno poi pieno di annotazioni, segno del fatto che era molto sfogliato. “La giustizia – scriveva – è necessaria, ma non sufficiente, e può e deve essere superata dalla legge della carità“.
Papa san Giovanni Paolo II lo ha definito “martire della giustizia e indirettamente della fede“. Il 19 luglio 2011, l’attuale cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento, ha firmato il decreto per l’avvio del processo diocesano di beatificazione.
La mafia del silenzio e il diavolo
“La mafia – ha detto il cardinale Montenegro, durante la celebrazione eucaristica a Canicattì per la commemorazione nel venticinquesimo anniversario della morte – non è solo quella delle stragi, ma è anche quella del silenzio, delle ingiustizie, delle raccomandazioni, delle scorciatoie ai danni dei più deboli. Anche questa mafia uccide. L’anniversario della morte di Livatino susciti in noi uno scatto d’orgoglio civile e religioso. Dobbiamo chiederci se davvero abbiamo preso le distanze dalle mentalità mafiose, così diffuse sulla nostra terra, altrettanto pericolose quanto la violenza del diavolo“.
Il giudice ragazzino
L’appellativo di “giudice ragazzino” con il quale Livatino è spesso ricordato deriva dal titolo del libro dedicatogli dal sociologo Nando Dalla Chiesa, in polemica con una espressione dell’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga secondo il quale i magistrati freschi di concorso non sarebbero stati in grado di affrontare indagini e processi complessi riguardanti le mafie.
Alla figura di Livatino è dedicato il film con lo stesso titolo, “Il giudice ragazzino”, del 1994, di Alessandro Di Robilant. Prima dei titoli di coda la voce fuori campo di Giulio Scarpati, il protagonista della pellicola, recita uno stralcio dell’idea di Livatino sul “Giudice nella società”, esposta in una relazione.
« Il Giudice deve offrire di sé stesso l’immagine di una persona seria, equilibrata, responsabile; l’immagine di un uomo capace di condannare ma anche di capire; solo così egli potrà essere accettato dalla società: questo e solo questo è il Giudice di ogni tempo.
Se egli rimarrà sempre libero ed indipendente si mostrerà degno della sua funzione, se si manterrà integro ed imparziale non tradirà mai il suo mandato. »
Per promuovere la causa di beatificazione è stato realizzato il documentario “La luce verticale”.