Una riflessione linguistica sulle parole di Laura BoldriniLe parole sono importanti, diceva quel tale. E come dargli torto?
Sarà capitato anche a voi di imbattervi in una citazione o in una frase il cui senso vi congela per un attimo. Mumble. Mumble, qualche secondo per riflettere con la faccia a forma di punto interrogativo, per poi dire tra voi e voi… “Ma proprio no!” XD
Ecco, è esattamente quello che mi è capitato di recente, leggendo e poi ascoltando le parole della Presidente della Camera, Laura Boldrini (trovate il video qui).
La terza carica dello stato, criticando gli stereotipi di genere, ha detto precisamente:
Non può essere concepito normale uno spot in cui i bambini e il papà sono tutti seduti e la mamma serve a tavola.
Bene, cercherò di riassumere brevemente il flusso dei pensieri vomitati dalla mia contorta mente da nerd-cattolica-laureata-in-linguistica-e-appassionata-di-glottologia.
Deve essere stato senz’altro quel servire a tavola la scintilla che ha fatto esplodere le reminiscenze dei miei studi universitari. Uno dei miei ultimi esami, infatti, fu proprio quello di Glottologia, che verteva in particolare sull’influsso che la cultura e l’immaginario cristiano ebbero sullo svilupparsi dell’italiano a partire dal latino.
Molti non lo sanno, ma la gran parte delle parole e persino delle forme verbali che utilizziamo tutti i giorni sono figlie dei primi secoli di vita della Chiesa, dei nuovi valori introdotti dal Cristianesimo e dalle nuove pratiche di vita dei primi cristiani.
Servire a tavola, dicevamo…
Beh, sicuramente alla Presidente (che pure sta tutto il giorno gomito a gomito con i Ministri) sfugge l’origine della parola ministro o, se è per questo, anche del verbo ammnistrare.
La Presidente, cioè, non sa che la parola “ministro” viene da “MINĬSTRU (M)”, cioè “servitore” e “MINISTRARE”, cioè “servire il pasto“ (non a caso la “minestra” XD), parola nata dalla cultura cattolica delle origini proprio a significare che… il servizio è la massima espressione dell’amore e, permettetemi, dell’A-more (con la A maiuscola).
Come mai una parola che indicava in origine una mansione così “umile” come quella di servire a tavola ha fatto tanta carriera da arrivare a designare il “Ministro”, che sostanzialmente governa il nostro Paese? Beh, perché il potere del Ministro andrebbeinteso (qui purtroppo ci vuole il condizionale) proprio come servizio. Infatti, il Ministro dovrebbe essere il “servitore”, (MINĬSTRUM, appunto) del popolo… In questo senso, anche Laura Boldrini è una nostra “ministra”…
Ma cosa c’entra con questo l’A-more, cioè Dio (Deus charitas est, diceva un altro tale)? Beh, chiunque abbia una minima conoscenza della Bibbia sa che la parola “servo/servitore” ha una connotazione di grande nobiltà nelle Sacre Scritture. Pensiamo al “servo di Jahvè“, Gesù, che ha salvato l’Umanità con il sua sacrificio (Isaia 53, 11-12).
Non dimentichiamo poi la prima cristiana della storia, Maria. Fu Lei la prima a credere in Gesù, a permettere che il Figlio di Dio si formasse nel suo grembo. Una ragazza che ha corso il rischio di venire ripudiata per mettere tutta se stessa, tutto il suo corpo, a servizio di Dio. E con quali parole lo fece?
Ecco, sono la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola ~ Luca 1, 38
“Sono la serva del Signore”. Sì, amo questa parola. Maria si è messa a servizio, si è svuotata, per riempirsi di Gesù.
Servire è amare. Amare è servire. Punto. Ovviamente, qui non si vuole approvare lo stereotipo maschilista della donna che deve stare per forza a casa a cucinare e ramazzare, anche perché è la società stessa ad averlo reso sorpassato. Ci sono milioni di donne che lavorano e di padri presenti e solerti nella vita familiare.
Questa, piuttosto, vuole essere una riflessione sul significato di “servizio”, che ormai ha quasi acquisito un’accezione negativa. Insomma, è un discorso che va oltre gli stereotipi e le logiche di potere. Anche perchè io stessa sono donna, proprio come la Boldrini, e come tale detesto la strumentalizzazione del corpo femminile per fare pubblicità a qualsiasi cosa, dai detersivi alla vernice anti-ruggine. Di sicuro in famiglia la reciprocità fra i sessi e la collaborazione tra i membri sono fattori fondamentali, ma non penso che una mamma che serve a tavola sia un insulto alla donna (forse la Boldrini dovrebbe preoccuparsi di più delle donne che permettono che il proprio corpo venga utilizzato come tavolino per servire sushi in ristoranti di dubbio gusto).
Se penso al calore della famiglia, le prime immagini che mi vengono in mente sono la mia nonna in cucina e le domeniche mattina passate con la mamma a preparare il pranzo domenicale. Eppure provengo da una famiglia ben lontana da quella del Mulino Bianco.
Il bello del “sacrificio”
So che la parola “sacrificio” al giorno d’oggi incute timore, eppure, incredibilmente, può diventare una parola bellissima. In fondo la donna non sacrifica il proprio corpo per mettere al mondo un bambino? Non mette il suo corpo a servizio della nuova vita? E non è questa una delle cose più sublimi che una donna può fare? O anche la maternità è uno stereotipo di genere? (Di questi tempi non si sa mai!)
Certo la mia mamma ha sempre lavorato e per lei è stato un grande sacrificio preparare la cena di ritorno da una giornata di lavoro massacrante, quando avrebbe potuto decidere, invece, di stravaccarsi sul divano. Lo ha fatto perché ci amava. Ed è stato un sacrificio, il suo, che sarà sempre nei miei ricordi più belli (Sir 35, 6).
Chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire ~ Marco 10, 44-45