Aleteia logoAleteia logoAleteia
giovedì 28 Marzo |
Aleteia logo
Chiesa
separateurCreated with Sketch.

Pérez Esquivel: «Ero con Francesco il giorno dopo la sua riunione con Castro…»

Adolfo-Pérez-Esquivel-wsf-2003

Marcello Casal Jr. / Agência Brasil/ Wikimedia Commons

Alver Metalli - Aleteia - pubblicato il 18/09/15

Il premio Nobel sul Papa a Cuba e negli Usa

La folta capigliatura ha già virato verso l’argenteo ma il passo è veloce e sa dove andare. Non c’è causa che veda calpestati i diritti dei più deboli che non lo trovi attivamente schierato dalla loro parte. Tutti i giorni Adolfo Pérez Esquivel passa per l’obelisco, dove un pugno di aborigeni Qom ha installato una tenda e reclama l’attenzione del governo della signora Kirchner. Uno dei motivi più forti di allegria degli ultimi tempi è stata la beatificazione di monsignor Romero in maggio. L’aveva perorata la causa del Vescovo salvadoregno nel primo incontro con Francesco, pochi giorni dopo l’elezione a papa. «Feci una battuta» ricorda Pérez Esquivel: «A Romero lo devi far uscire dal sarcofago». La seconda volta che lo vide Bergoglio-Papa se ne ricordò, e gli disse subito di averlo tirato fuori dalla bara. Ricorda anche l’ultima telefonata con monsignor Romero, il 22 di marzo, due giorni prima che un proiettile esplosivo lo fulminasse sull’altare. «Gli telefonai da Barcellona per scusarmi per il ritardo con cui sarei andato a visitarlo, perché non riuscivo a terminare con gli impegni che avevo». Un altro sacerdote che vedrebbe bene sugli altari è il vescovo argentino Enrique Angelelli, assassinato sotto la dittatura il 4 agosto 1976. «Ho viaggiato con lui sullo stesso furgone che usava quando l’hanno ucciso; mi portò fino a Chilecito, nella sua provincia, La Rioja…».

Pérez Esquivel è molto dispiaciuto di non poter viaggiare a Cuba, dov’è stato invitato. Si augura che l’incontro personale del Papa con Fidel Castro – appena confermato dal portavoce papale – possa davvero avvenire. Accompagnerà con la preghiera dall’Argentina i due amici, Bergoglio e Fidel. «In famiglia preghiamo per lui tutti i giorni» assicura. Poi l’attenzione si sposta all’America Latina…

Se facciamo un giro d’orizzonti vediamo che la Chiesa di papa Francesco si è molto implicata nei conflitti regionali. Il caso più emblematico è Cuba, ma ci sono tante situazioni bollenti, tra Bolivia e Cile, tra Venezuela e Colombia, tra Nicaragua e Costa Rica, tra Haiti e Repubblica Dominicana, gli stessi negoziati governo-guerriglia a Cuba. In tutte queste situazioni la Chiesa ha offerto mediazioni, buoni uffici, ha aperto canali, ha avvicinato le parti e propiziato accordi. Cosa è cambiato nella Chiesa di Francesco?

«Due cose soprattutto: la prima, che alla testa oggi la Chiesa ha un uomo che appartiene all’America Latina, la seconda che quest’uomo e un Pastore che ha a cuore il destino di popoli che conosce alla perfezione. Credo che il ruolo attivo della Chiesa in America Latina nei conflitti che lei ha elencato, ma anche altri, pensiamo alla questione indigena che è fonte di scontri all’interno di uno stesso paese, sia strettamente legato alla pastoralità del Papa. La misericordia, che è un pilastro della sua concezione di Chiesa, in Francesco è anche categoria politica, o, perlomeno, ha anche una flessione di questo tipo. Gli indigeni colombiani del Cauca hanno una espressione che si addice bene al ragionamento che stiamo facendo: “La parola senza azione è il vuoto e l’azione al di fuori dell’appartenenza alla comunità è la morte”. In Francesco la parola è una energia che muove e un insegnamento che resuscita e ricrea la speranza nella gente».

È cattolico Papa Francesco? Sembra che la rivista Newsweek abbia dei dubbi…

«È universale, cioè cattolico, ancor più dei predecessori. Per i motivi appena detti. Papa Francesco è arrivato a periferie geografiche ed esistenziali dove nessun altro è arrivato prima di lui. Anche sul piano ecumenico. Sono stato a una riunione in Vaticano e quando sono uscito mi sono trovato in mezzo a un gran numero di rabbini. Il suo ecumenismo rompe contenitori rigidi, strutture anchilosate».

Fermiamoci su Cuba, alla vigilia del viaggio forse più impegnativo di papa Francesco. Una apertura come quella a cui stiamo assistendo era quasi impensabile sino a qualche mese fa…

«Io me l’aspettavo…».

Come se l’aspettava?

(Sorride, nda) «Ero a Santa Marta con Francesco l’11 maggio, un giorno dopo la sua riunione con Raúl Castro…».

E le ha anticipato qualcosa?

(Esita, nda) «Le posso dire che era rimasto molto impressionato da Raúl Castro; me l’ha descritto come un uomo molto pragmatico, e molto chiaro nelle sue decisioni, nella sua visione delle cose, nella sua linea di azione riformatrice».

Lo conosce personalmente?

«Sono amico di quella persona lì… (Pérez Esquivel punta l’indice verso una fotografia incorniciata sulla parete in cui lo si vede con un Fidel Castro aitante e in buona forma, nda). Non bisogna dimenticare che lui – Fidel – e il fratello si sono formati con i Gesuiti e nel tempo ha mantenuto rapporti con vescovi. Posso dire, per esperienza personale, che ha un grande rispetto per i credenti».

Il disgelo c’è stato con la scia di contraccolpi e di sviluppi piccoli e grandi che stiamo osservando quasi tutti i giorni. Come vede lei la situazione?

«Ti confido una primizia. Quatto mesi fa ho ricevuto una lettera di Obama, una lunga missiva di tre pagine e mezzo in risposta a quello che gli avevamo scritto alcuni premi Nobel, ricordandogli che durante la campagna elettorale si era impegnato a mettere fine alle guerre, chiudere il carcere di Guantanámo e quello di Abu Ghraib. Nella lettera mi dice di essere d’accordo con me, che è giusto superare l’impiego delle torture, che occorre procedere lungo la strada della pacificazione regionale, ecc., però ammette le difficoltà politiche, di arrivare a un punto oltre il quale la resistenza si fa insormontabile perché la maggioranza repubblicana del Congresso non accompagna i cambiamenti. Speriamo che non demorda e pieghi le resistenze che gli si stanno coagulando attorno, cosa che del resto avviene anche per il Papa».

Evo Morales ha detto che la vita del Papa corre pericoli, un commentatore di una importante catena televisiva degli Stati Uniti ha definito Francesco «l’uomo più pericoloso del mondo». Secondo lei il Papa corre veramente dei rischi sul piano dell’incolumità personale?

«Non mi sorprende. Comunque lui non ha paura. Sente di avere una missione da compiere. Ed è determinato. Noi in America Latina percepiamo questa sua fermezza».

L’Argentina è vicina a un cambio di governo…

«La situazione politica in Argentina è complessa. La dirigenza politica odierna sta arrecando un grande danno a una ripresa. Noi abbiamo lottato contro la dittatura per recuperare le libertà pubbliche e la democrazia, una democrazia che non ci è stata regalata, una democrazia che si costruisce giorno dopo giorno. E invece vediamo più violenza, più discriminazione».

Anche il Papa è preoccupato?

«Non smette mai di pensare all’Argentina. È molto attento a quello che succede, lo so da lui e lo so da altri. È preoccupato…».

Tags:
fidel castropapa francesco
Top 10
See More