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“Non era solo l’enciclica del no alla pillola”

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Gian Franco Svidercoschi - Aleteia - pubblicato il 16/09/15
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Teologi e moralisti rileggono con occhi nuovi l’”Humanae vitae”Da tempo era calata come una coltre di silenzio sull’”Humanae vitae”. Vescovi, sacerdoti e soprattutto confessori evitavano generalmente di ricordarla, di riproporla ai fedeli. Molte coppie cristiane ne ignoravano ormai l’insegnamento, o, se lo conoscevano, non lo mettevano in pratica. In sostanza, l’enciclica di Paolo VI sulla regolazione delle nascite, se non dimenticata, era diventata comunque un argomento-tabù. O, nella migliore delle ipotesi, veniva liquidata come il documento con il quale papa Montini aveva detto no alla cosiddetta “pillola cattolica”.

E invece, da qualche mese, è successo l’incredibile. Grazie anche – potrebbe essere – alla beatificazione di questo grande Papa, e alla riscoperta della preziosa eredità lasciata dal suo pontificato, specialmente nella difesa della vita.

Il primo Sinodo sulla famiglia, trattando della trasmissione della vita, ha dichiarato nella relazione conclusiva che va ripreso il messaggio dell’”Humanae vitae”, soprattutto là dove si sottolinea il bisogno di rispettare la dignità della persona nella valutazione morale dei metodi di regolazione della natalità. Papa Francesco ha parlato spesso dell’enciclica, precisando significativamente: “Tutto dipende da come viene interpretata”; e ha ricordato come Paolo VI avesse raccomandato ai confessori “molta misericordia”, e attenzione alle “situazioni concrete”. Ma la vera novità è che teologi e moralisti stiano rileggendo il documento con occhi nuovi, e abbiano individuato la possibilità di uno sviluppo della dottrina morale – nel senso di un riconoscimento del primato della coscienza – senza per questo intaccare il senso profondo dell’enciclica montiniana.

Così, in un tempo straordinariamente breve, è stata resa giustizia sia al “coraggio” e alla “genialità profetica” (parole di Francesco) di Paolo VI; sia al valore di una enciclica che, più che fare casistica su un precetto negativo, era una ferma difesa della dignità dell’amore coniugale e, quindi, del matrimonio, che su questo amore si fonda, cresce e matura. Insomma, verrebbe da dire, una sorta di “risarcimento” storico ed ecclesiale all’”Humanae vitae”, in rapporto a quanto essa aveva dovuto patire al momento della pubblicazione, nell’estate del 1968.

Infatti, mai forse prima di allora, perlomeno nella storia recente della Chiesa, un documento pontificio aveva incontrato reazioni così sfavorevoli. L’enciclica venne subissata di critiche, e definita addirittura un secondo caso-Galileo. A quel tempo, dominava ancora la convinzione che i problemi dello sviluppo fossero prevalentemente demografici, e perciò si potessero risolvere in termini di semplice pianificazione delle nascite. In più, come conseguenza di una società sempre più permissiva, si era diffusa una concezione materialistica del destino dell’uomo, quindi dell’amore stesso, della sessualità. Elementi, tutti questi, che influirono sul giudizio negativo di larga parte dell’opinione pubblica sull’”Humanae vitae”.

Ma ci fu anche un altro motivo che condizionò pesantemente l’accoglienza dell’enciclica. Cioè, l’errore dei vertici ecclesiastici nel non aver tenuto conto dell’aspettativa a senso unico che si era creata perfino in vastissimi settori del mondo cattolico. E, questo, dopo che per una fuga di documenti, chiaramente pilotata, si era venuti a conoscere le conclusioni della commissione incaricata di approfondire i problemi della natalità: mentre la minoranza aveva ribadito la illiceità di tutti i mezzi contraccettivi, la maggioranza si era detta favorevole a un cambiamento della dottrina morale sui metodi di controllo della fertilità.

Paolo VI non ne era rimasto soddisfatto; e con molta lealtà, pubblicamente, aveva ammesso che c’era bisogno di un “supplemento di studi”. Trascorsero così due anni, e molti tra gli stessi credenti si persuasero che lo “stato di dubbio”, in cui si trovava il magistero della Chiesa, preludesse a una apertura verso un certo tipo di contraccezione: e, in particolare, verso la cosiddetta pillola-Pincus. In quelle condizioni, perciò, sarebbe stato opportuno preparare il terreno all’enciclica, attraverso un’opera preventiva di educazione, di informazione. Invece, non si fece nulla.

Così, nell’”Humanae vitae”, si vide soltanto il no alla pillola. Soltanto la definizione di una norma a favore dei metodi naturali e contro la contraccezione artificiale: o più precisamente – ed era questo il timore di papa Montini – contro una dissociazione tra fecondità e sessualità nel singolo atto coniugale. Al contrario, nell’enciclica, non si vide nulla della rinnovata concezione del matrimonio. Nulla della visione personalistica dell’amore coniugale. Nulla della comprensione pastorale per le “difficoltà” che gli sposi incontrano. Nulla dell’invito agli uomini di scienza, a dare una “base sufficientemente sicura” ai metodi naturali di regolazione delle nascite.

E, quel che fu più negativo, nell’”Humanae vitae” non si percepì la novità rappresentata dalla profonda riflessione di Paolo VI sulla missione di “paternità responsabile”, della quale gli sposi devono prendere coscienza. E che, scriveva il Papa, si esercita “sia con la deliberazione ponderata e generosa di far crescere una famiglia numerosa, sia con la decisione, presa per gravi motivi e nel rispetto della legge morale, di evitare temporaneamente, od anche a tempo indeterminato, una nuova nascita”. Parole, queste ultime, passate allora inosservate; ma che oggi, messi da parte gli antichi pregiudizi, acquistano un altro significato, aprono a nuove prospettive.

Ecco perché è importante la rilettura dell’”Humanae vitae”, una rilettura più serena e oggettiva, che si è recentemente avviata. Del resto, la storia della Chiesa ha spesso mostrato che nell’ambito morale – laddove non esista un pronunciamento di infallibilità – una indicazione normativa é passibile di una nuova interpretazione o perfino di un cambiamento. E, come qualcuno ricorderà, Paolo VI chiese espressamente a mons. Ferdinando Lambruschini che, nel presentare l’enciclica alla stampa, precisasse bene che non era un atto di magistero definitivo e infallibile.

E questo, che cosa potrebbe significare? Non certo uno stravolgimento della legge morale. Questo no! Ma è anche vero che il Vangelo è vivo, è vita, e perciò la verità del Vangelo è una verità in cammino. E dunque, si potrebbe pensare a una riconsiderazione della morale coniugale, non più esclusivamente in rapporto ai metodi di regolamentazione delle nascite; ma anzitutto in riferimento alla coscienza dei coniugi, al loro senso di responsabilità, e, nello stesso tempo, al loro vissuto, alla quotidianità della loro esperienza sponsale. Poi, le scelte, se fatte alla luce del disegno di Dio Creatore, verranno di conseguenza.

Il discrimine morale non passa tra metodi “buoni” e metodi “cattivi”. Passa invece tra un amore vero, generoso, aperto alla vita, e un amore egoistico, chiuso, ripiegato su se stesso, dominato dall’arbitrio, insomma, una falsificazione dell’amore.