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L’incredibile avventura del genere umano

Lucandrea Massaro - Aleteia - pubblicato il 11/09/15

La scoperta dell'Homo Naledi cambia di nuovo le carte sulle tavole degli antropologi

Una nuova scoperta che “terrà i paleoantropologi occupati per un bel po’ di tempo”, così si può definire il ritrovamento delle ossa di 15 esemplari (un neonato, 7 bambini, 5 adulti, 2 adolescenti) di Homo nei pressi di Johannesburg, in Sudafrica. Era alto un metro e mezzo, aveva un cervello minuscolo ma forse seppelliva già i morti queste le caratteristiche di Homo naledi, hanno convinto gli studiosi a ricomprenderlo nel genere di cui noi stessi facciamo parte (National Geographic, 9 settembre).

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© JOHN HAWKS / WITS UNIVERSITY / AFP

Homo Naledi

Naledi vuol dire “stella” nella lingua Sotho, ed è così che i ricercatori guidati dal sudafricano Lee Berger hanno voluto battezzare quello che essi ritengono un nuovo esemplare di ominide risalente – ma è da verificare – a 2 o 3 milioni di anni fa. L’importanza di questa scoperta è duplice. Innanzi tutto questo “giacimento” è particolarmente ricco, normalmente i paleoantropologi si devono accontentare di pochi frammenti: qui ne hanno trovati 1550. Il secondo motivo è che le caratteristiche di questo ipotetico Homo Naledi sono tali da dover riscrivere alcuni capitoli come conferma l’antropologa dell’università romana di Tor Vergata, Olga Rickards: “l’evoluzione dell’uomo non ha seguito un percorso evolutivo lineare, per cui da una specie ne è nata una nuova. In realtà l’immagine più adatta a rappresentarla è quella del cespuglio, in cui ogni ramo rappresenta una diversa specie che, a sua volta ne ha generate altre, e che tante tra queste hanno tra loro in comune molto poco” (Avvenire, 11 settembre).

Un po’ di Italia nella scoperta

Nel team sudafricano anche un italiano, un ricercatore pisano, Damiano Marchi che ha analizzato in laboratorio le ossa e ha stabilito che “Naledi” camminava eretto e che – a differenza di quanto si pensava – non aveva perso completamente le sue abitudini arboricole:

Professore, quale è l’importanza di questa scoperta? “L’Homo Naledi possedeva elementi anatomici unici, differenti sia dagli altri ominini fossili rinvenuti finora, sia dall’uomo moderno, pur dimostrando caratteristiche scheletriche che potrebbero indicare un adattamento locomotorio terricolo simile all’uomo moderno e forse anche un adattamento alla corsa”. E questo cosa cambia dal punto di vista scientifico? “La paleontologia riteneva fin qui che quando l’uomo ha cominciato a camminare su due piedi ha smesso di arrampicarsi invece nei reperti che abbiamo a disposizione scopriamo che le due funzioni motorie coesistevano”. Da cosa lo deducete? “Dal fatto che aveva le falangi delle mani ricurve” (Repubblica Firenze, 10 settembre).

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