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Perché ogni drag queen ha bisogno di una Chiesa

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Heather Buckley CC

David Mills - pubblicato il 09/09/15

Siamo tutti peccatori, ma non è la fine della storia

I designer di The Atlantic hanno scelto forse lo slogan più d’impatto della storia. “Perché ogni Chiesa ha bisogno di una Drag Queen”, recita il titolo, proprio sotto una grande fotografia di una donna con i capelli molto corti, grandi orecchini, occhiali dalla spessa montatura nera e tatuaggi ben in vista. La prima frase dell’articolo termina con un’empietà.

Se non avete una drag queen nella vostra congregazione, dovreste trovarvene una”, dice il pastore luterano Nadia Bolz-Weber, in un altro passaggio.

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La Bolz-Weber, che ha già fatto scalpore in alcuni circoli protestanti, ha qualcosa da dire sulla vita ecclesiale in America. Fa parte del movimento del protestantesimo americano che sottolinea la grazia con l’esclusione totale o quasi della legge. Il movimento sottolinea l’invito di Cristo e proclama le parole del Signore “Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò”, dichiarando che tutto è grazia.

Ho la sensazione che la gente ritenga Gesù irresistibile e capisca quello che il cristianesimo potrebbe realmente essere, ma quello che invece vede, spesso, è un’istituzione che cerca di proteggersi e promuoversi”; ha detto la Bolz-Weber a The Atlantic. Penso che la gente voglia avere un luogo in cui poter dire la verità su se stessa nel mondo e non dover fingere”.

Più avanti nell’articolo, spiega che “c’è un ‘involucro’ culturale intorno a gran parte del protestantesimo della linea principale in cui la Chiesa ha confuso i doni e l”involucro’ – una sorta di leggera formalità e scarso approfondimento”.

Si riferisce al protestantesimo della linea principale, ma ci sono anche analogie a livello cattolico ed evangelico. Non è un aspetto sul quale i cattolici possano lanciare tranquillamente la prima pietra. La sua risposta alle persone sofferenti che incontra è parlare del peccato e usare una liturgia tradizionale che trasmette un senso di peccato e redenzione. “Abbiamo questa Chiesa socialmente progressista, tutte queste persone ‘bizzarre’, chiunque è il benvenuto. E sapete cosa abbiamo nella nostra liturgia ogni domenica? La confessione e l’assoluzione. Confessiamo che Dio è Dio e noi no”.

Quando parla dei propri peccati afferma: “Non voglio essere schiava del fatto che posso essere una [parola forte per indicare una persona molto difficile]. Per me, quindi, la via migliore per raggiungere una sorta di libertà dall’esservi legata in modo assoluto è ammettere che ho bisogno della grazia”.

La Bolz-Weber ha qualcosa da dire. Gli americani parlano eufemisticamente del peccato. Ci piacerebbe pensare a noi stessi come studenti con la media dell’8 nella vita, o magari anche del 7, ma non veri peccatori. (Mi colpisce, se posso dirlo en passant, che questo aiuti a spiegare la preferenza comune per usare il Kyrie piuttosto che il Confiteor a Messa. La seconda preghiera è un’ammissione esplicita dei nostri peccati, mentre la prima non dice perché stiamo chiedendo la misericordia del Signore).

In una cultura che rifiuta di riconoscere i peccati per quello che sono, qualcuno dice: “Questo è un peccato, e tu sei un peccatore”. Perché le persone si sentono peccatrici, alienate, sentono di non vivere la vita che vorrebbero, di aver provocato agli altri danni a cui non potranno mai riparare, di aver agito male e di essersi sbagliate, anche se non hanno le parole per esprimere ciò che provano. Non c’è una risposta unicamente di questo mondo a questo sentimento. Nessuna terapia rimuoverà il senso di colpa – e se lo fa non vi ha guariti, vi ha solo resi psicopatici.

Mi sento uno schifo tutto il tempo”, mi ha detto una volta qualcuno. Era vicino a un riconoscimento di peccato. Quest’uomo pensava, visto che la sua cultura gli aveva detto così, che il suo problema fosse il modo in cui si sentiva, non quello che aveva fatto per sentirsi così. Sembrava sorpreso quando gli ho spiegato l’approccio cristiano alla natura umana. Non vi ha aderito, ma per lui aveva un senso.

Dire alla gente “Hai peccato” è un messaggio potente in sé. Fornisce la risposta a una domanda che molti si sono posti, anche se non in modo molto chiaro. Saper dire, come cristiano, “Hai peccato ma Dio ti ama comunque, a tal punto che Cristo è morto per te”, è un messaggio ancor più potente. È il Vangelo che i cristiani devono condividere, ma per ogni tipo di ragioni, incluse quelle descritte dalla Bolz-Weber, non lo condividiamo molto bene.

Urrà per Nadia Bolz-Weber, ma solo un urrà o magari due, non tre. Lascia fuori molto di quello che il cristianesimo ha da dire. C’è un limite a quanto possano essere radicali lei e la sua Chiesa. Dio vuole fare di più che perdonarti. Vuole cambiarti.

Nel suo mondo, essere una [parola forte per indicare una persona molto difficile] è un peccato, ma agire in base ai propri desideri omosessuali non lo è. Chiunque concorda sul fatto che se si è una [parola forte per indicare una persona molto difficile] si dovrebbe chiedere scusa a qualcuno – bisognerebbe iniziare chiedendo scusa a Dio – e cercare di cambiare vita, ma pochi al di fuori del cristianesimo ortodosso pensano che se si hanno rapporti intimi a livello sessuale con qualcuno con cui non si è sposati si dovrebbe chiedere perdono a Dio e cercare di cambiare vita. Ma è comunque un peccato, e influenzerà la vostra vita in modo negativo.

Mi piacerebbe sapere da quale fonte la Bolz-Weber trae la sua comprensione della peccaminosità umana. Senza qualche definizione di peccato esterna, oggettiva, “decentrata”, come quella che ci offre l’insegnamento cattolico, il cristianesimo diventa un movimento di autoaiuto con una nuova tecnica: anziché dire alla gente quanto è grande, le dice quando è negativa ma che Dio l’accetta comunque per quello che è. Meglio, sicuramente, ma non è tutto ciò che deve essere detto.

Tutto è grazia, ma la grazia non è tutta invito. È anche direzione, formazione, guida, comando, giudizio. Il Signore che ha detto “Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò” ha detto anche “Va’ e d’ora in poi non peccare più”. Ogni Chiesa non ha bisogno di una drag queen, ma ogni drag queen ha bisogno di una Chiesa.

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David Mills, ex direttore esecutivo di First Things, è senior editor di The Stream, direttore editoriale di Ethika Politikae scrive per numerose pubblicazioni cattoliche. Il suo ultimo libro è Discovering Mary. Si può seguire su @DavidMillsWrtng.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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