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Katja Giammona dal grande schermo al piccolo eremo (passando per l’inferno)

Katja Giammona © katja-giammona.de

© katja-giammona.de

Miguel Cuartero Samperi - Aleteia - pubblicato il 08/09/15

L'esperienza sconvolgente dell'attrice tedesca di origini italiane alla base della sua scelta di vita radicale

Il nuovo libro del giornalista Antonio Socci “Avventurieri dell’eterno” presenta ai lettori l’incredibile storia di Katja Giammona, una storia che – assicura l’autore – “vi toccherà nel profondo dell’anima”.

Il racconto avviene attraverso una speciale intervista (pp. 9-66) concessa all’autore dall’ex attrice tedesca di origine italiana con lo specifico permesso del suo padre spirituale. Per lei infatti, “ritirata dal mondo con tutte le sue vanità”, i contatti col mondo esterno sono estremamente ridotti, quasi inesistenti, e ha dato la disponibilità per farsi intervistare tramite email e telefono perché una testimonianza “se a Dio piace, se viene richiesta e può edificare anime, allora sì”.

Nata a Wolfsburg (Germania) l’11 luglio del 1975 in una famiglia di Testimoni di Geova, Katja venne educata fin dall’infanzia a leggere la Bibbia e ad accompagnare i genitori nel loro cammino di Testimoni di Geova. Ma all’inizio dell’adolescenza – grazie all’amicizia con una ragazza cattolica e alla guida di un pastore protestante – sentì il desiderio di perfezionare il suo battesimo entrando pienamente nella Chiesa Cattolica (il battesimo dei TDG, ricorda Katja, non è valido per la Chiesa Cattolica perché non è conferito nel nome della Trinità, ma solo nel nome di Gesù).

Negli anni Novanta lavorò in televisione e nel cinema realizzando il suo sogno di diventare un’attrice conosciuta sia in Germania che in Italia. Ma la sua carriera fu definitivamente interrotta perché, come spiega lei stessa “Cristo mi voleva sua, e che vivessi e lavorassi solo per Lui e non per fare carriera per la tv e per l’Inferno”.

Nel febbraio del 2002 mentre si trovava a Berlino per il Festival Internazionale del Cinema, avvenne qualcosa che le cambiò radicalmente la vita. Rientrata in casa di alcuni amici, cadde nel letto in un sonno profondo, forse per uno svenimento o per la stanchezza, e si ritrovò in una piccola stanza buia. In quello stato vide attorno a sé molte fiamme che si alzavano da terra mentre lei correva affannosamente senza trovare una via d’uscita.

Fu una vera e propria esperienza dell’inferno dove incontrò un misterioso personaggio, un giovane che le rideva in faccia mentre lei disperava: “Corri, corri, che da qui non uscirai”. Katja sentiva il dolore delle bruciature mentre il suo corpo rimaneva intatto, una “sofferenza atroce”; credette di morire. Davanti ai suoi occhi passarono i “suoi uomini” (“usati da lui per tirarmi nelle fiamme”) e scoprì che i suoi peccati contro la castità le avevano meritato quella pena.

A un certo punto, attraverso uno spiraglio “apertosi” nella stanza, vide sua madre che di notte si alzava per pregare, come al suo solito, la coroncina di Santa Brigida. Erano le tre del mattino (Katja lo lesse sull’orologio del salotto della casa dei suoi genitori) e chiese inutilmente aiuto alla madre che non poteva sentirla. Disperata, Katja implorò ardentemente la madre di pregare per lei (perché “Io non potevo pregare Dio per me”): “Mamma, prega per me! Ti scongiuro!”.

La madre di Katja non la sentì, ma pregò comunque per la figlia come faceva sempre con devozione e amore materno. Una preghiera che spesso la figlia aveva rifiutato perché “per me erano preghiere da bigotti che invece di far bene portavano sfortuna”. Katja comprese che “questa è una vera punizione: non avere nessuno che prega per te”.

Improvvisamente tornò in sé e si ritrovò sul letto, immobile, pallida, fredda, con le labbra “leggermente azzurre”. I suoi amici erano lì, spaventati mentre lei cercava invano di parlare. Un’esperienza, commenta Socci, tipica di chi si risveglia dal coma. Tutto sembrò un brutto incubo, ma da quella notte la vita di Katja cambiò direzione.

L’esperienza dell’inferno mostrò a Katia la contraddizione della sua vita: mentre si diceva cattolica, viveva nel peccato. Aveva creduto che il peccato non fosse grave e viveva senza averne piena coscienza: “Io ero una peccatrice che neanche si rendeva conto di esserlo. Perché il mondo ti ripete che non esistono peccati”. Katja, pur dichiarandosi ufficialmente cattolica “sulla carta”, conviveva col fidanzato ignorando la gravità del suo peccato e considerando i suoi sensi di colpa un “fanatismo” da Testimoni di Geova. Scoprì che “l’adulterio è nemico dell’anima” e il “motivo per cui tanti bruciano nel fuoco”. Da quel momento sentì l’esigenza di una svolta radicale nella propria vita: lasciò il fidanzato e si recò in pellegrinaggio a Medjugorje, assieme alla mamma, con la sincera risoluzione di offrire la sua vita consacrandosi al servizio del Signore.

Tra le varie forme di vita consacrata, Katia sentì che la sua vocazione particolare era il deserto, e dopo un’esperienza in Africa, nel deserto geografico, capì che il vero deserto che Dio aveva preparato per lei era quello dell’anima. A quel punto decise di ritirarsi, “come Maria Maddalena ai piedi di Gesù”, abbracciando la vita eremitica-anacoreta prendendo il nome di Benedicta.

Fu così che Katia abbandonò definitivamente la sua vecchia vita per mettersi ai piedi di Gesù, come fecero san Benedetto, sant’Arsenio, san Francesco, san Antonio che “hanno una cosa in comune: confidano in Cristo e si affidano completamente a Lui”, senza pretese, senza cercare titoli, guadagni o fama, senza fare troppi progetti e ragionamenti ma vivendo “giorno per giorno il divin volere”.

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Sulla vocazione Katia ci spiega ciò che ha imparato dalla sua esperienza personale: la prima vocazione è “il battesimo, è la conversione ed è ascoltare e obbedire a Dio”. Ma poi “si deve essere pronti a lasciare tutti e tutto se Cristo chiama come chiamò al giovane ricco”. Mettersi in moto, partire fiduciosi, disposti a “lasciarsi dietro il vecchio e affrontare il nuovo”. “Dio ci conosce e conosce la nostra vocazione”, per cui non è una “cosa di testa e di proprio gusto, ma è una cosa soprannaturale”. E’ lo Spirito Santo che guida, non la ragione, non il calcolo, infatti “non pretendiamo mai di dover comprendere tutto da Dio. Non dobbiamo capire, ma dobbiamo amare”.

Infine un appello: “Avventurarsi con Cristo, credetemi, vale la pena. Apri le porte del tuo cuore a Cristo e Lui si rivelerà a te in tutto il suo splendore”. Un’avventuriera dell’Eterno che, nascosta nella solitudine e nella preghiera, offre la sua esperienza dell’aldilà per l’edificazione di chi combatte nella quotidianità alla ricerca dell’Eterno.

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