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40 chili di lana, papa Francesco, la Chiesa e l’evoluzione

Montone Chris

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Aleteia - pubblicato il 07/09/15

Gli ideologi dello scientismo non colgono il quid della questione quando si parla di corso della creazione

CHRIS, IL MONTONE CHE DIPENDEVA DA NOI

Questa settimana ha richiamato l’attenzione dei notiziari la tosatura di un montone che aveva trascorso anni perso all’interno dell’Australia: dopo essere stato salvato, un’associazione di protezione degli animali gli ha tolto nientemeno che 40 chili di lana, un record mondiale.

Visto che la lana di un montone non tosato rende circa 5 chili all’anno, si suppone che il montone sia sopravvissuto in un ambiente selvaggio per più di otto anni nonostante i parassiti che un tale volume di pelo aveva accumulato – e le conseguenti infezioni e i problemi alla pelle sofferti dall’animale, che è stato chiamato Chris.

Perché il caso ha suscitato tanta attenzione a livello mondiale?

Dal punto di vista scientifico, per via della necessità di aiuto umano per privare il montone della lana. Il caso di Chris sottolinea quanto la sopravvivenza di questa specie sia diventata dipendente dalla specie umana nel corso della storia.

I montoni sono stati addomesticati circa 11.000 anni fa in Mesopotamia, e hanno subito la cosiddetta “selezione artificiale”: sono gli uomini che scelgono le caratteristiche degli animali e delle piante che coltivano, e non più la natura. Questo concetto è stato elaborato dal naturalista britannico Charles Darwin, famoso per la teoria dell’evoluzione biologica, e si applica al processo evolutivo di altri animali addomesticati, come galline, gatti e cani. Si tratta di animali “modellati” dall’umanità al punto che diventano dipendenti dalle cure umane. È per questo che, rimanendo perduto per tanto tempo, la lana di Chris è cresciuta in modo indefinito, senza che la natura “aggiustasse” la situazione.

LA CHIESA E L’EVOLUZIONE

Alcuni mesi fa, ha fatto grande scalpore nei media una dichiarazione di papa Francesco per cui la teoria dell’evoluzione è compatibile con la fede cristiana. Giornali, reti televisive e siti Internet hanno annunciando che “finalmente” il papa “riconosceva l’evoluzione delle specie”: tanto per cambiare, mancava evoluzione ai media, in ritardo di vari secoli.

La Chiesa riconosce l’esistenza di un processo evolutivo da Sant’Agostino, che lo ha suggerito già nel V secolo d.C., più di mille anni prima che Darwin lo proponesse. Quello che segna la grande differenza tra la Chiesa e Darwin non è il fatto che le specie evolvano, ma il senso di questa evoluzione. Il darwinismo afferma che l’evoluzione si verifica mediante la sopravvivenza di variazioni genetiche aleatorie, senza alcun proposito e senza alcun orientamento. La Chiesa sostiene che in tutta la natura esiste una logica di fondo, un disegno intelligente, un proposito. E non solo nell’evoluzione biologica, ma nella struttura stessa dell’universo, che segue leggi fisiche, chimiche e matematiche osservabili e innegabili.

Il mondo laico ritiene che la Chiesa cattolica “non colga il quid della questione” per quanto riguarda la biologia moderna, e conclude che l’evoluzione e la creazione non possono essere compatibili. Atei e fondamentalisti concludono erroneamente che “il cristiano sceglie la fede a scapito della biologia”. Per l’ateo, questo è motivo di ripudio del cristianesimo. Per il fondamentalista, è motivo per ripudiare la biologia moderna.

Chi “non coglie il quid della questione” non è la Chiesa, ma gli atei e i fondamentalisti.

In base alla prospettiva cattolica, il problema non è che Darwin si sia liberato del concetto di progetto nella natura; il problema è che le persone hanno iniziato a credere che il progetto “o la va o la spacca” con la scienza naturale. La supposizione che l’evoluzione biologica non abbia alcun proposito o progetto non entra in conflitto con la teologia, perché è una risposta a una questione scientifica, non teologica. Tommaso d’Aquino ha sottolineato, molto prima della rivoluzione scientifica, che la scienza naturale e la teologia non sono corpi di conoscenza concorrenti, ma forme distinte e complementari di indagine.

I QUATTRO TIPI DI CAUSE

Perché esiste la sedia?. Secondo il filosofo grecoAristotele, vissuto 2.500 anni fa, questa domanda può essere interpretata in quattro modi diversi:
– “Chi ha fatto la sedia?” (causa
efficiente)
– “A quale scopo è stata fatta la sedia?” (causa
finale)
– “Qual è la natura della sedia?” (causa
formale)
– “Di cosa è fatta la sedia?” (causa
materiale)

Ciascuna di queste quattro domande equivale a chiedere “Perché esiste la sedia?“, ma tenendo conto di quattro tipi diversi di “causa” per l’esistenza della sedia. In greco antico, la parola “causa” (aitia) significa “ragione”: la ragione per la quale. Confondere i vari tipi di causa o ragione genera assurdità: quando qualcuno chiede “Chi ha fatto la sedia?”, non ha senso rispondere “Per sedersi”. Ogni domanda richiede il proprio tipo di risposta. Una spiegazione completa sulla causa di qualcosa, pensava Aristotele, coinvolge queste quattro domande e le rispettive quattro risposte.

Al giorno d’oggi si tende a rifiutare la validità di queste quattro cause originali nell’ambito della scienza moderna. Ancora all’inizio del periodo moderno, circa 500 anni fa, i filosofi Locke e Hume mettevano in discussione quella che Aristotele definiva “causa formale”, che corrisponde alla natura metafisica di qualcosa. Pensavano che la scienza moderna potesse spiegare di cosa è fatta una cosa e quali sono le sue leggi di governo senza bisogno di affrontare la sua natura metafisica. Indipendentemente dal fatto che le sue cause formali siano state bandite dalla scienza o meno, il fatto è che la causa che Aristotele definiva “finale” (“Perché?”) è ben più duratura, soprattutto nel campo della biologia.

Galileo, Newton e altri scienziati hanno dispensato il “Perché?” nelle questioni della fisica. Per loro, la scienza moderna è capace di spiegare il mondo fisico in termini puramente “meccanicistici”, senza bisogno di nozioni non scientifiche come “progetto” o “proposito”, ma molti altri scienziati hanno resistito all’intrusione della scienza moderna nel territorio biologico.

Il fatto è che le “cause meccanicistiche” non hanno spiegato i “perché” della natura biologica. Non importa loro. Per Darwin, la complessità che sembrava essere indizio di un Creatore è solo il risultato di variazioni aleatorie nel corso di un lungo periodo di tempo. Così, bandite dalla fisica, le “cause finali” che si erano rifugiate nella biologia sono state espulse anche da questa.

Ma bandire le “cause finali” della scienza non vuol dire bandirle da ogni forma di spiegazione. Possono continuare a prosperare nel dominio metafisico, e di fatto continuano a farlo. Darwin ha solo mostrato che la biologia, come opposta, ad esempio, alla metafisica, alla teologia o all’etica, deve dispensare le “cause finali” come ha fatto la fisica ai tempi di Newton. Questo libera i biologi dalla necessità di rispondere a domande sul finalismo, ma tiene l’umanità libera per far fronte ad esse se vuole.

Il problema, quindi, non è Darwin, ma la nozione moderna per cui la teologia può discutere solo ciò che la scienza non riesce a spiegare. Se la scienza non riesce a spiegare l’ordine biologico in un certo periodo, le persone iniziano a credere che l’ordine biologico sia esente dal progresso scientifico. Se professate la vostra religione a partire dalle lacune della conoscenza scientifica, vi vedrete inevitabilmente frustrati quando queste lacune verranno colmate.

CAUSE PRIMARIE E CAUSE SECONDARIE

Tommaso d’Aquino ha realizzato una distinzione di natura tra le questioni teologiche e quelle natural-scientifiche.

Sia la teologia che la biologia moderna chiedono: “Perché ci sono esseri umani?”, ma intendono la questione in modo diverso. Per la biologia moderna, la domanda significa: “Quali sono le parti costituenti degli esseri umani?” e “Come e quando sono entrati in scena gli esseri umani?”. E le risposte a queste domande (“cellule e geni” e “variazioni genetiche aleatorie nell’arco del tempo”) sono quelle che Tommaso d’Aquino ha definito cause “secondarie”. Sono spiegazioni delle cose nella natura che possono invocare leggi probabilistiche, selezione naturale o le risposte che suggerisce la teoria scientifica più recente.

Ma la teologia chiede quello che Tommaso d’Aquino chiama cause “primarie”: “Qual è la fonte dell’essere?”, “Quali sono il significato e il progetto della creazione?”. E né i registri fossili né la selezione naturale rispondono a queste domande. Non sono gli strumenti adeguati a questo scopo. Confondere questioni teologiche e scientifiche è commettere un errore di categoria.

Il concetto teologico di creazione non è un concetto scientifico. Il Dio della teologia cattolica non è, come ha sottolineato Agostino, l’ignizione dell’esistenza, ma la sua causa in senso non temporale. Dio dà origine e sostiene l’esistenza, inondandola di senso, indipendentemente dal fatto che l’uomo sia derivato o meno dal pesce, dalla scimmia o dalla polvere di stelle, e siano o meno probabilistiche le leggi che reggono quell’evoluzione.

Sono gli ideologi contemporanei dello scientismo che “non colgono il quid della questione” per quanto riguarda l’evoluzione. L’evoluzione non rifiuta Dio, così come l’elettromagnetismo non rifiuta la coscienza morale. E papa Francesco non è stato il primo a riconoscerlo.

A proposito: il caso di Chris e i suoi 40 chili di lana aiutano a rafforzare quello che il papa ci ricorda nella sua enciclica Laudato si’ sulla necessità di prendere più coscienza del nostro ruolo nella cura della casa comune. La natura, per conto delle vie che percorriamo nel corso della nostra storia come umanità, è passata ad avere, in un certo senso, una delicata “dipendenza” dalle nostre scelte e azioni. E non dovremmo aver bisogno di un montone perso in Australia per riconoscerlo…

[Traduzione dal portoghese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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fede e scienzascienza modernateologia
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