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Aumenta il numero di piccoli rifugiati battezzati in Italia

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© Jeffrey Bruno

Aiuto alla Chiesa che Soffre - pubblicato il 06/09/15

«Sono sempre più i battesimi dei piccoli rifugiati cristiani».  A raccontarlo ad Aiuto alla Chiesa che Soffre è Klodiana Cuka, presidente di Integra Onlus associazione che si occupa dell’assistenza e l’inserimento degli immigrati in più regioni d’Italia.

Negli ultimi mesi l’associazione ha accolto diverse famiglie di rifugiati cristiani nel Salento e tanti dei loro bambini sono stati battezzati nel nostro paese. «Nel comune di Neviano tutti nostri operatori hanno fatto da padrini e madrine ai bimbi, molti dei quali portano il anche il loro nome. Il più piccolo è nato su un barcone appena una settimana fa». E la famiglia si allargherà ben presto perché una donna cristiana nigeriana metterà al mondo due gemellini proprio in questi giorni.

battesimo bimbo rifugiato
Aiuto alla Chiesa che soffre

Aiuto alla Chiesa che Soffre ha più volte denunciato l’aumento dei cristiani – in fuga soprattutto dalla persecuzione religiosa – tra gli immigrati che giungono in Europa. Klodiana Cuka, conferma questa tendenza tra le persone prese in cura da Integra. «Prima i cristiani erano molto pochi, mentre ora abbiamo diversi nuclei familiari. Tanti sono fuggiti perché perseguitati in ragione della loro fede». Tra questi alcune famiglie cristiane provenienti da Camerun e Nigeria che raccontano di aver abbandonato il proprio paese per paura di Boko Haram. «Mi hanno riferito di aver visto i fondamentalisti dar fuoco alle chiese. Così sono scappati prima di rimanere vittime della violenza».

Una volta giunti in Italia, i cristiani cercano immediatamente un contatto con la Chiesa locale. La maggior parte di loro partecipa alle attività parrocchiali ed i bambini frequentano il catechismo. Ciò facilita indiscutibilmente il processo di integrazione. «Anche i tanti piccoli battezzati qui sono importanti in tal senso: la vita che nasce è la scintilla più efficace per innescare l’integrazione».

Anche l’inserimento lavorativo è fondamentale, specie per i più giovani. «Insistiamo molto su questo punto che rappresenta la nostra principale sfida. I tempi di attesa per l’esame della richiesta di asilo variano da 10 a 18 mesi. Alcuni dei ragazzi che abbiamo accolto sono arrivati qui nell’agosto 2014 e saranno ricevuti dalle Commissioni territoriali soltanto nel febbraio 2016. In questo lasso di tempo è essenziale che trovino un’occupazione». Le lunghe attese aumentano infatti il rischio che i profughi siano reclutati da organizzazioni criminali o da gruppi jihadisti. «Negli ultimi anni la situazione è molto cambiata ed ora noi operatori dobbiamo essere attenti anche al fenomeno del terrorismo – nota Klodiana Cuka – Qui in Salento è più semplice vigilare perché vi sono meno profughi, ma a Milano abbiamo segnalato più volte incontri sospetti in moschea».

Non mancano tuttavia ottimi esempi di ottimi rapporti interreligiosi tra i profughi. «Come quando quest’estate abbiamo festeggiato tutti insieme la fine del Ramadan. Un’esperienza che ripeteremo il prossimo Natale»

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