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I cavilli bizzarri che dividono cattolici e protestanti

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Charles-Clegg-CC

David Mills - pubblicato il 03/09/15

Grazie al cielo qualcuno ci fa ancora caso

Rinfranca trovare persone che combattono ancora le vecchie battaglie cattolico-protestanti. Un giovane scrittore evangelico di spicco, Tim Challies, ha appena pubblicato il suo rifiuto dei crocifissi, che al Religion News Service è piaciuto così tanto da farlo apparire nella sua e-mail quotidiana. Sono lotte che è raro che qualcuno inizi oggi.

Sono coinvolto in lavori ecumenici da quasi trent’anni, e vorrei che i cristiani divisi si riavvicinassero l’uno all’altro, ma il mio cuore perde un battito quando mi imbatto in uno scrittore protestante che dice “Noi abbiamo ragione e loro torto”. Può sembrare un secchio di acqua gelata gettato su un abbraccio di gruppo, ma risveglia chiunque. È tonificante.

Perché siamo ancora in disaccordo, e i disaccordi contano molto. In una conferenza di qualche anno fa, un presbiteriano formato a livello teologico che si rivolgeva a un gruppo misto di cattolici e presbiteriani ha detto che il governo della Chiesa era solo una questione di quale struttura si preferiva, se quella personale o quella collegiale. Ciascuna aveva i suoi pregi e i suoi difetti, che bisognava soppesare, ma non c’erano risposte giuste o sbagliate. Stava a ciascuno di noi decidere quale modello ci piaceva. I cattolici amavano il modello personale e avevano un papa, i presbiteriani amavano il modello collegiale e avevano presbitèri. Ho pensato: “Dio preferisce il modello personale”. Il sacerdote cattolico che ha parlato quel giorno ha cercato coraggiosamente di correggerlo, ma non ci è riuscito.

Mi sono imbattuto in questo fatto lunedì a The Stream – un’iniziativa ecumenica gestita da un ministro battista del Sud e da un cattolico convertito – in un articolo intitolato Don’t Be Nice to Other Christians (Non essere gentile con gli altri cristiani), che sviluppava un aspetto che avevo affrontato in High Fivin’ the Pope. Siamo in disaccordo su questioni molto importanti, e la via per un’amicizia reale passa attraverso le differenze, e non, com’è tanto comune oggi, per l’agire come se in realtà non fossimo in disaccordo o se i disaccordi non contassero davvero.

Un grande merito degli evangelici seri che hanno continuato a combattere queste battaglie è il fatto che ci ricordano che siamo davvero in disaccordo. Lavorano in una cultura in qualche modo insulare che dà loro la libertà di dire cose che altri non direbbero. Leggete quello che scrivono e a volte pensate: “Dio, sembra così ottocentesco!” È come se camminassero a casa vostra avvolti in un cappotto a lunghe code con quelle enormi basette che alcuni uomini erano soliti sfoggiare. Ma c’è qualcosa da dire.

Tendiamo a pensare che non dobbiamo combattere le vecchie battaglie, che ce le siamo lasciate tutte dietro. Nel XIX secolo i cattolici e i protestanti si opponevano a livello sociale e politico, nonché a livello teologico, e quindi lottavano su ogni minima cosa. Oggi non è così.

Penso che sia piuttosto sbagliato. Le ragioni specifiche per cui gli apologeti e i polemisti del XVI secolo hanno combattuto fino all’inizio del XX secolo restano per la maggior parte questioni che dividono. La gente dice, ad esempio che la Dei Verbum da un lato e il crescente apprezzamento protestante per la tradizione dall’altro abbiano ridotto molto le differenze nella nostra comprensione della Scrittura.

È vero, ma solo in parte. C’è un grande gap tra la dichiarazione della Dei Verbum per cui “tutte le cose rivelate non dalla sola Scrittura e che di conseguenza l’una e l’altra devono essere accettate e venerate con pari sentimento di pietà e riverenza” e la comprensione protestante. Per richiamare la dichiarazione dottrinaria del seminario evangelico anglicano per il quale ho lavorato una volta, i 39 Articoli anglicani: “La Sacra Scrittura contiene tutte le cose necessarie alla salvazione: cosicché tutto ciò che né in essa si legge, né può per essa provami, non debba esigersi che sia da alcuno creduto come articolo di Fede, né deve essere riputato come richiesto di necessità alla salvazione”.

Posso immaginare lo sguardo dei miei ex colleghi se dicessi: “Guardate! Siamo d’accordo!” Tutti cristiani coscienziosi, gentili e seri, direbbero: “Assolutamente no”, e rimuoverebbero qualsiasi bevanda alcolica e ogni oggetto appuntito dalla mia portata.

Alcuni sacerdoti cattolici, anche certi non dissenzienti, mi hanno detto che dopo il Concilio Vaticano II non ci sono differenze fondamentali sulla Scrittura tra i cattolici e i protestanti e che è una questione di enfasi e sfumature. Non è così. Pensate alla festa dell’Assunzione, un giorno di precetto perché sappiamo che Maria è stata assunta con il proprio corpo in Cielo. Lo sappiamo. Per gli amici protestanti come i miei ex colleghi è un nonsenso, o quantomeno una pia invenzione, a cui i cristiani non hanno motivo di credere. Tra “Maria è stata assunta in Cielo” e “Non abbiamo alcuna idea di cosa sia successo a Maria, che ad ogni modo non è così importante” c’è un abisso. Abbiamo due comprensioni molto diverse del ruolo della Scrittura nella vita della Chiesa.

Torniamo a Tim Challies e alle sue obiezioni ai crocifissi. All’inizio pensate: crocifissi? Davvero? Vi preoccupate ancora dei crocifissi al giorno d’oggi? Dove sono il cappotto a lunghe code e le basette?

Sarebbe ingiusto, e stupido. Challies cita il grande patriarca evangelico anglicano J. I. Packer, prendendo un passo che credo sia tratto dall’opera evangelica classica di Packer Knowing God. Nel passo citato, egli condanna tutte le immagini come violazioni grossolane del secondo comandamento. Propone un’argomentazione seria e meditata per la sua affermazione, dicendo che “non c’è spazio per dubitare del fatto che il comandamento ci obblighi a dissociare la nostra adorazione, sia in pubblico che in privato, da tutte le immagini e le statue di Cristo”.

Ho incontrato per la prima volta Jim una trentina di anni fa e lo ritengo un amico, e un uomo per il quale nutro un grande rispetto. È estremamente gentile e ha una cultura spettacolare, e al riguardo non è, non c’è altra parola per definirlo, eretico. È una parola forte, e ne ho cercata un’altra, ma è difficile pensare a un altro termine per qualcuno che dichiara eretico il settimo concilio ecumenico, per non parlare della pratica unanime e continua della Chiesa cattolica e di quella ortodossa. Non pensa che le immagini siano un errore, come (da quanto ho appreso da alcune conversazioni con lui) le liturgie troppo elaborate. Pensa che siano idoli.

La differenza non è una questione di gusto o disgusto nei confronti delle immagini. Non è una questione di volere aiuti visivi o non volerli. È una differenza che va al fondo della nostra comprensione della fede cristiana e di come dev’essere vissuta. Pensate a cosa sarebbero la vostra vita spirituale e il vostro momento a Messa e nell’adorazione senza il crocifisso, le icone e le statue, e anche i santini. Un uomo più saggio o uno psicologo migliore di me potrebbe spiegarlo meglio, ma sappiamo che queste cose ci sono state date come parte essenziale della nostra vita di fede. Non sono opzionali.

I cattolici possono rispondere a Packer e Challies, anche su base biblica. Non credo che la lettura del secondo comandamento da parte di Packer sia convincente.

In questa sede voglio solo ringraziare Dio per gli evangelici. In questo caso, in particolare, il grande J. I. Packer e il suo discepolo Tim Challies. Le questioni che sollevano in modo così chiaro dividono ancora i cattolici dai protestanti. Non sono questioni morte, il tipo di cavilli su cui possono aver argomentato i nostri antenati. Se vogliamo progredire nella nostra crescita insieme come fratelli e sorelle in Cristo, dovremo affrontare queste differenze. Tre urrà per le persone che si preoccupano abbastanza della verità, della fede, e anche dei loro fratelli cattolici, a costo di sembrare antiquati ed eccentrici come un uomo con le folte basette in un cappotto con la coda.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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