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Imparare a dirsi addio: l’arte di prendere congedo

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padre Gaetano Piccolo - Rigantur Mentes - pubblicato il 01/09/15

La vita è un continuo rinnovarsi di distacchi che permettono nuovi attaccamenti
E disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno». Ascensione di Gesù e missione dei discepoli. Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano (Mc 16,15-20)

Alla fine di un racconto occorre trovare la conclusione giusta. Mi ricordo che quando ho iniziato a predicare, una delle difficoltà più grandi era trovare la conclusione adatta: non sapevo mai come terminare! A volte avevo in mente finali diversi, ma che non mi convincevano del tutto. La conclusione sembra sempre inadeguata a tutto quello che avresti voluto dire. Concludere vuol dire congedarsi, rimettere a posto la parola, vuol dire salutare senza sapere quando potrai parlare di nuovo.

Anche la conclusione del Vangelo di Marco deve essere stata imbarazzante. I versetti che leggiamo oggi (Mc 16,15-20) sono proprio gli ultimi della redazione che è giunta fino a noi, ma mancano in alcuni dei codici più significativi. Probabilmente la prima redazione di questo Vangelo terminava con la paura delle donne, la paura davanti al sepolcro vuoto e all’annuncio della risurrezione di Gesù: le donne corsero via in preda alla paura (Mc 16,8).

Ma a volte… le conclusioni non ci piacciono e allora cerchiamo di correggerle un po’: così, qualche decennio dopo, qualche redattore ha aggiunto una sintesi delle apparizioni di Gesù risorto, compresa la degna conclusione dell’episodio dell’ascensione. A volte facciamo così anche noi nella vita, cerchiamo di dare una forma più adeguata alla chiusura delle nostre esperienze, ci torniamo su e proviamo a dire meglio quello che avevamo in mente.

La conclusione di un’esperienza è una cosa molto complessa, mette insieme emozioni diverse e intense. Per questo motivo, come questo racconto ci insegna, è importante prendersi cura di questa dinamica inevitabilmente ricorrente nella nostra vita: solo trovando e costruendo conclusioni adeguate, possiamo avere le energie per cominciare un capitolo nuovo della vita. Forse per questo gli Atti degli Apostoli ricominceranno proprio dal racconto dell’ascensione, ripartiranno da quella esperienza di distacco affinché ci possa essere un nuovo attaccamento vitale.

Chiudere un capitolo è sempre anche un’esperienza di lutto, di congedo, di compimento. Il Vangelo di Marco, in questa nuova conclusione, si chiude infatti con un momento di saluto, che mancava nella prima redazione: le donne scappavano in preda alla paura, ma senza la possibilità di rileggere la propria esperienza, come una morte improvvisa che ci impedisce di prendere congedo. Dopo un lungo percorso insieme, dopo un cammino intimo e intenso, i discepoli devono salutare il loro maestro, il loro amico. L’ascensione è un’esperienza di lutto e, proprio per questo, ci insegna come vivere i tempi di distacco che fanno parte della nostra vita.

La vita è un continuo rinnovarsi di distacchi che permettono nuovi attaccamenti: l’embrione si attacca per crescere fino a staccarsi dal corpo della madre, prende congedo da quell’organismo per attaccarsi in modo nuovo al seno della madre, pian piano si distacca però anche da quel seno, acquisisce un’autonomia che gli permette attaccarsi affettivamente a una molteplicità di soggetti. L’adolescente sente il bisogno di staccarsi dalla famiglia e attaccarsi al gruppo dei suoi pari. L’adulto si stacca dal gruppo per attaccarsi a qualcuno, magari fino all’ultimo congedo: il distacco dalla vita terrena. Molto della nostra vita dipende da come viviamo questi passaggi.

Alla fine del Vangelo, Gesù aiuta e accompagna i discepoli a vivere questo passaggio importante nella loro relazione. Gesù li invia, cioè non li incolla a sé. Molte volte questi passaggi si bloccano perché qualcuno non riesce a lasciar andare, ma in altri casi c’è anche chi non riesce ad abbandonare il nido, l’utero materno.

Gesù aiuta i discepoli a rileggere quello che sta avvenendo: ci sono dei segni che li renderanno consapevoli dei frutti del distacco. Sono i segni della crescita, i segni della novità, i segni della vita che continua in modo nuovo.

Gesù rimane con i discepoli in una forma nuova: anche dopo il congedo, il testo dice che “il Signore agiva insieme con loro”. Il distacco non è la distruzione, ma la trasformazione della relazione in una forma nuova. Spesso, ciò che impedisce il distacco è la paura di una fine radicale, facciamo fatica a pensare che le cose possano anche cambiare forma. La rigidità dei nostri schemi ci impedisce di vedere la varietà delle forme che una relazione può assumere.

“I discepoli partirono e predicarono”: partire è proprio il verbo del distacco, hanno preso congedo, hanno iniziato a scrivere un capitolo nuovo. Forse il primo contenuto della loro predicazione è proprio il racconto della trasformazione che è avvenuta nella loro vita.

Possiamo fantasticare sui cambiamenti della nostra vita, ma saranno effettivi solo quando avremo il coraggio di “partire e predicare”, cioè di lasciare per dire qualcosa di nuovo. I discepoli hanno veramente cominciato a scrivere una capitolo nuovo nella loro vita.

Leggersi dentro

  • Come vivo i passaggi che accompagnano la mia vita? Li affronto, mi blocco, faccio finta di non vedere…?
  • Aiuto gli altri a scrivere capitoli nuovi o preferisco tenerli incollati a me?
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