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Avventurieri dell’Eterno: i desideranti alla ricerca di Cristo (col Cielo negli occhi)

Martin

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Miguel Cuartero Samperi - Aleteia - pubblicato il 01/09/15

Una indagine sul paradosso dell'essere umano, "malato di infinito"
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“Alla fine qual è la ragione di tanta irrequietezza e di tanta ricerca del bello e del vero? E quale l’approdo di un così grande desiderio di felicità? Dov’è la patria perduta?” (p. 82)

“Com’è grande e struggente l’uomo che cerca la verità e che desidera l’eterno, l’uomo agitato da quel grande Amore sconosciuto ‘che move il sole e l’altre stelle” (p. 71)

“L’uomo è un errante, in entrambi i sensi, un viandante sempre in cammino e una creatura che sbaglia strada. Lo si è sempre saputo. Per questo ci si chiede: errante verso dove? O alla ricerca di chi? Di quale avventura?” (p. 99)

Il nuovo libro di Antonio Socci “Avventurieri dell’Eterno” (Rizzoli 2015, pp. 350) si presenta come un’indagine sull’Eternità o meglio su quella sete di eternità che caratterizza la condizione umana: il desiderio di infinito e di felicità piena e duratura. Questo “Desiderio con la D maiuscola”, che “punge gli uomini tanto da farli essere sempre inquieti, inappagati e insoddisfatti”, lungi dall’essere una ferita, un difetto costitutivo dell’anima, rappresenta il segreto motore che ravviva il fuoco della vita umana, che tiene “svegli” i sogni e rafforza la speranza.

Il paradosso dell’essere umano, infatti, è quello di riconoscersi fragile e perituro, “malato di infinito”, ma di avere allo stesso tempo la certezza di essere stato creato per l’Eternità, e “più precisamente per incontrare qui, in questa vita, l’Eternità fatta carne, l’Uomo-Dio. Essere stati creati per Lui e in vista di Lui e mendicanti di Lui” (p. 156).

Nell’intimo dell’uomo giace – spesso taciuta o ignorata, ma sempre latente – una forza dirompente che muove verso qualcos’Altro, verso l’Alto, e fa di lui un essere “desiderante”, un inquieto cercatore, un homo quaerens. Dare ascolto a questa voce interiore per mettersi in cammino alla ricerca della pienezza che plachi questa sete esistenziale dell’anima, ha condotto alcuni uomini e donne a diventare eroi audaci, avventurieri temerari dell’Eterno.

Ma l’uomo – questo insaziabile essere nostalgico e sognatore sempre alla ricerca – sbaglia spesso strada e cerca consolazione in mete surrogate, “paradisi artificiali” che recano sollievo ma non dissetano, appagano momentaneamente ma non saziano, rivelandosi spesso, dei veri inferni. Così, l’uomo che si accontenta del quotidiano, delle creature, del mondo, di questo universo, finisce per rimanere deluso da quelle “vie di fuga” e rassegnarsi all’infelicità o alla ricerca infinita, perchè “Chi non desidera l’infinito, desidera infinitamente”.

Ecco le consequenze di chi – per ignoranza o per scelta metodologica – cerca l’eterno prescindendo dall’Eterno, aspira ad altro ignorando l’Altro. Navigare senza conoscere la meta, diventa dunque una ricerca frustrante destinata al naufragio, una vana illusione.

I regimi totalitari che infuocarono l’Europa nel ventesimo secolo hanno voluto chiudere il Cielo sopra l’uomo,  cercando di soffocarne la speranza, privandolo del desiderio dell’Eterno e offrendo falsi paradisi sulla terra. Molti furono i martiri che firmarono col sangue il loro tentativo di non accontentarsi di questa vita: uomini e donne che avevano il fuoco nel cuore e il cielo negli occhi (come recita la canzone Ojos de Cielo, tanto cara all’autore).

Fu l’esperienza del beato Martín Martínez Pascual, sacerdote spagnolo la cui foto, scattata un secondo prima della sua fucilazione, ha meritato la copertina e l’unica immagine inserita nel libro (p. 215). Ucciso a 25 anni dai repubblicani assieme ad altri cinque sacerdoti e nove laici, colpevoli di essere cattolici, Martínez fu uno dei numerosissimi martiri della persecuzione che la Chiesa spagnola subì negli anni Trenta ad opera dei repubblicani e dei socialisti; una persecuzione paragonabile a quella subita dai primi cristiani per la ferocia e la furia devastante con cui si abbatté sui cristiani. [Su quella persecuzione consiglio il film “Un Dios prohibido” disponibile nelle librerie San Paolo con sottotitoli in lingua italiana, e il recentissimo libro di M. A. Iannaccone, “Persecuzione”].

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Il libro di Socci è un continuo susseguirsi ed intrecciarsi di citazioni letterarie e poetiche che rivelano questa sete di Eterno: Omero, Dante, Petrarca, Van Gogh, Kafka, Camus, Flaubert, Bobbio, Borjes, Montale, Pavese, Kerouac, Giussani, Sicari, D’Avenia, Benedetto XVI… desideranti che hanno saputo trasmettere l’esperienza della mancanza e della ricerca di pienezza.

Un percorso che passa necessariamente per la Recanati di Giacomo Leopardi, quel “giovane sul balcone dell’infinito” (pp. 141-156), per giungere alla Praga di Kafka, il genio profetico che previde il nazismo (pp. 157-176), nella ex-Cecoslovacchia dei sacerdoti martiri Josef Toufar (in processo di beatificazione) e il teologo tomista, il domenicano Tomáš Týn, che offrì la sua vita come sacrificio per la liberazione della sua patria dai comunisti.

Non poteva mancare nel percorso dell’autore l’emblematica vicenda di quell’uomo dal cuore inquieto che fu Agostino d’Ippona che, da Tagaste a Milano, camminò verso l’incontro con la Sapienza, inciampando più volte in libri, dottrine e amanti (pp. 113-130) .

Quella di Socci è una narrazione appassionata e nostalgica. Ci parla della vicenda e dell’opera di Jack Kerouac giovane statunitense, vero padre della beat generation che trovava nel suo profondo cattolicesimo l’ispirazione per la sua struggente ricerca di senso e di beatitudine (la vera etimologia della parola beat, affermava lo stesso Kerouac, si riferisce al termine “beato”).

Infine c’è l’esperienza di Jean Derobert seminarista francese, figlio spirituale di Padre Pio, che fu chiamato alle armi in Algeria e sopravvisse miracolosamente alla fucilazione grazie al misterioso intervento del santo cappuccino. Caduto a terra morto, compì con l’anima un veloce viaggio di andata e ritorno in quel paradiso che è sogno e meta felice di ogni uomo in esilio dalla Patria beata.

Il testo si apre con un’intervista a Benedicta, al secolo Katja Giammona che, dopo una straordinaria esperienza di conversione, ha abbandonato la carriera di attrice per dedicarsi alla preghiera al modo degli antichi anacoreti, in solitudine e penitenza. Questa storia, però, merita un discorso a parte, per essere raccontata nel dettaglio.

Avventurieri dell’eterno è un libro destinato a – con le parole di Kafka – destarci “come un pugno che ci martella il cranio” al fine di “spezzare il mare gelato dentro di noi”.

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