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Ti nutri di irrealtà? È il demonio che ti tenta

Berlicche

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Berlicche - pubblicato il 31/08/15

Perché il peccato, in fondo, non è che illusione
(Un testo liberamente ispirato a Le lettere di Berlicche di C. S. Lewis)

Mio caro Malacoda,

devo ammettere che il tuo ultimo resoconto, al netto delle solite balordaggini, delinea un quadro oltremodo soddisfacente. Prendo atto, finalmente, di qualche progresso. La confusione regna sovrana nel campo del Nemico. Me ne compiaccio.
Perché, vedi, Nostro Padre che sta laggiù non trova di Suo gradimento le vittorie risicate. E ancor meno le battaglie epocali, fino all’ultimo respiro. Egli non predilige certo le dispute franche, tra avversari irriducibili ma leali. Oh, non! Bien au contraire! A noi piace piuttosto vincere facile attraverso l’impiego di massicce dosi di slealtà.

A questo proposito, mi chiedo: sei consapevole di contare su un vantaggio inequivocabile? Mi spiego: i figli dell’Avversario, come sai, credono di poter fare assegnamento sulla “forza della verità”. Poveri illusi. Non hanno capito che è esattamente il contrario? Giacché la loro tanto vantata verità è estremamente fragile, Malacoda. « La forza con cui un valore si impone è quasi sempre inversamente proporzionale alla sua elevatezza », ha detto una volta qualcuno dei loro cogitabondi intelletti.

Non arrivi a comprendere? Già, di che stupirsi. Rimani sempre un tirocinante assai poco versato nelle arti della tentazione.

Comincia allora a considerare, mio inetto allievo, alcuni aspetti della questione. Il primo: non c’è forse asimmetria tra verità e menzogna? Il vero, ricordano i figli del Nemico, è uno e semplice. Ma il non vero, e qui viene il brutto, è molteplice. Noi non siamo forse Legione « perché siamo molti »? E il campo prediletto da Nostro Padre, quello della menzogna, non è vasto, vago e polimorfo? Tortuosi e infiniti sono i modi per dire il falso. Avvelenare la verità non incontra che i limiti imposti dalla nostra fantasia. La mendacità, come la distruzione, è creativa. Rifletti: la verità richiede completezza, la menzogna può far leva invece sulla vaghezza, sull’omissione. Possiamo benissimo mentire fornendo versioni elusive, strategiche dei fatti, non trovi?

In secondo luogo, hai mai meditato sulle implicazioni del fatto che il vero sia una proprietà invisibile, inafferrabile, non misurabile? La verità è un rapporto, una relazione, non qualche cosa da toccare, vedere, sentire. « Vedo che il sole è sorto », è stato detto, « non vedo mai che è vero che il sole è sorto ». Mi dirai: ma la menzogna non è ugualmente invisibile? Certo, Malacoda. Tuttavia condividere un tale requisito non rappresenta per noi un evidente vantaggio? Chi può sapere se tu stia mentendo, a meno che non sia in possesso di evidenze di prima mano o sia tu a confessare?

E anche così qualche spudorato potrebbe pur sempre tentare di calpestare l’evidenza, come quello scrittore che consigliava al marito, sorpreso dalla moglie a letto con l’amante, di negare perfino di conoscere quella graziosa signorina in déshabillé casualmente lì al suo fianco…

C’è un altro aspetto per noi vantaggioso. In fondo cos’è il vero? Dire la verità non è altro che dire le cose “come stanno”. In definitiva “vero” significa “conforme ai fatti”. Non si dà verità senza realtà. Ma non di rado avere accesso ai fatti può presentare una gravosa complicazione, può richiedere un complesso quanto faticoso lavoro di ricostruzione.

Capisci ora? Comprendi perché la verità abbia bisogno di amore, attenzione, cura? Perché la sua fragilità esiga sforzo, autodisciplina, rigore? Al punto che talora occorre presidiarla con lealtà eroica, a prezzo del sangue… Viceversa, nulla è più agevole che mentire connonchalance. La verità corre ad handicap, la propaganda parte in pole position. Il vero ha bisogno di protezione, mentre il mendace postula l’oppressione. Slealtà e prepotenza sono ricomprese nella cifra della menzogna. È questo, da sempre, il diktat di Nostro Padre, il Grande Manipolatore: sfruttare la fragilità, approfittare della debolezza altrui. Opprimerai la vedova e l’orfano. Uno dei Suoi Comandamenti supremi, rammenti?

Caritas in veritate. È per soddisfare questo sciocco, infrangibile vincolo, te ne sarai accorto, che mistici e santi, tutti i veri figli dell’Avversario, puntano al reale, anzi al Reale. Per distoglierli allora non c’è niente di meglio che far inseguire loro le più inverosimili chimere. Prodigati quindi per imbastire messinscene, fai il più ampio ricorso a immagini vane. Non c’è illusionista più grande di Nostro Padre Laggiù. Hai mai incontrato un più eccelso cultore del fumus, della parvenza? Ci hai mai pensato? Il peccato, in fondo, non è che illusione.

Perciò, Malacoda, la nostra dimensione è l’altrove, il remoto. Sempre ci siamo adoperati per allestire fantasmagorie, marchingegni da baraccone, per istillare la malinconia, il desiderio di luoghi assurdi, lontani e irraggiungibili, dove non si vivrebbe che sani e felici.

Ricorda: al vertice del Suo mascheramento Nostro Padre Laggiù è stato capace anche di presentarsi come integralista. Tentare con le parole del Nemico, sobillare sotto pretesto di virtù è anzi il suo maggior diletto. Ah, che fine umorista! Amalek, il purista! Amalek, il rigorista! Ricordi quando stuzzicava i Padri del deserto in veste monacale, arrivando a recitare i salmi, citando le Scritture? E di come li distogliesse dal sonno, buttandoli dal letto, per farli pregare? Che Tentatore sublime! Non dormire, diceva loro. Prega! Non dare soddisfazione alle esigenze del corpo! Mangiare? Ma caro mio, perché invece non imitare gli angeli? Non nutrirti affatto. Digiuna! Solo lo spirito conta, per il tuo Dio… Perché perdere tempo? Accorcia la tua permanenza terrena. Sfianca la carne, opprimila, annientala! Così sarai uomo di fede…

Tienilo a mente, Malacoda: poche cose sono altrettanto efficaci della sottile seduzione di una purezza che dà la morte anziché donare la vita.

Per tornare a noi: mi sovviene or ora di comunicarti che il Sottosegretario della Corte di Dannazione ha esaminato la mia relazione sulla tua opera di contro-apostolato. Mi è sfuggita qualche buona parola su di te, e ciò ha destato notevole preoccupazione. Hai decisamente bisogno di ulteriore abiezione. Occorrerà pertanto sottoporti a un downgrade radicale. È giunto dunque il tempo, anche per un tentatore di basso livello come te, caro Malacoda, di apprendere tecniche a più alta intensità di tentazione.

Certo avrai presente una nauseabonda mistica di nome Teresa… Sì, quella femmina spagnola del XVI secolo (noi odiamo la Donna, non mi stancherò mai di ripetertelo). Benedizione! Quante anime perse a causa sua… Eppure bisogna riconoscerle un notevole talento nell’individuare le nostre strategie di avviluppamento delle anime. Non prendere sottogamba gli umani, quando sono uniti al Nemico.

Lascia che ti spieghi, caro – si fa per dire – Malacoda. Devi sapere – Teresa lo aveva visto bene – che una delle disposizioni più nocive per la vita religiosa sta nel serbare una ostinata memoria di tutte le ingiustizie patite. « Mi hanno fatto un torto », « non aveva motivo di farmi questo… », « avevo ragione io », e via mormorando.

Ciò significa che una delle pratiche migliori per allontanare il tuo paziente dal Nemico è di tramutarlo gradualmente in uncollezionista di ingiustizie. Non capisci, vero? Di che stupirsi? E come potrebbe chi, come te, non si è impratichito che in dabbenaggine?

Prendi nota. Si tratta, in buona sostanza, di precipitare il tuo paziente nello stato d’animo di chi vive censendo tutte le ingiustizie che gli sono state arrecate (a lui personalmente o alla sua fazione). È così che si perfeziona la trasmutazione del collezionista di ingiustizie in scaricatore di torto. Deve installarsi nel suo intimo questo pensiero fisso, martellante: « la colpa è sempre degli altri ». A questo punto i giochi sono pressoché fatti. Il tuo paziente si convincerà della sua personale rettitudine, fino a credere alla propria assoluta estraneità al male che circola nel mondo. Il peccato è affare altrui, penserà. Non mi riguarda. La colpa non è sempre degli altri? Eccolo ormai pronto a indossare le vesti del Grande Accusatore.

Prendi in mano il Manuale del Giovane Tentatore, ripassa a fondo il capitolo sull’accidia. Non devi far altro che incamminare il paziente lungo la via gelida dello sconforto e della disperazione. Attecchiranno poi in lui la sensazione di essere vittima di un complotto, il rancido rancore, l’amarezza del cuore, l’agitazione fantastica, il vaniloquio loquace (oggi si dice gossip, se non erro), il disprezzo per gli altri figli del Nemico…

Che ci fa in monastero, diceva Teresa, una religiosa che non fosse disposta a portare una croce che non sia quella assegnatale a buon diritto? Il Figlio del Nemico non è forse l’emblema stesso della vittima di un’ingiusta condanna? E quale sposa non condivide, assieme agli onori, anche gli oltraggi inflitti al proprio Sposo? Chi vuol vincere facile, Malacoda, si prepara a varcare la frontiera che separa Nostro Padre dal Nemico…

Abbi cura, pertanto, di orientare il tuo paziente in modo che, inavvertitamente ma in maniera costante, egli sia portato a distaccarsi dalla Croce del Nemico. Al limite deve arrivare a vagheggiare una Chiesa senza Croce, esentata per decreto divino dell’amaro calice della sconfitta. Conducilo fino a idealizzare una Chiesa senza scacco, che faccia furore, che spopoli nel tempo. Si prostri dinanzi a una Ecclesia triumphans capace di imporsi con facilità irrisoria sui propri avversari, vittoriosa solo in ragione della giustizia della causa. Immagine grandiosa, scintillante di splendore e gloria. Fascinazione estrema. Con un unico, sottovalutato dettaglio (e Nostro Padre, lo sai bene, ama celarsi nei dettagli): la sua inesistenza. L’irrealtà, Malacoda, l’irrealtà… Illudere per dannare. Questa è la chiave del nostro successo.
Tuo affezionatissimo zio
Berlicche

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