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«Niente embrioni per la ricerca». La Corte Europea dà ragione alla Legge 40

Embryonic stem cells from umbilical cord

© DR

Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 28/08/15

Bocciato il ricorso di una delle vedove di Nassiriya. Ora si attende il pronunciamento della Corte Costituzionale

La Corte europea dei diritti dell’uomo (Edu) ha bocciato la richiesta di donazione di embrioni (ottenuti da fecondazione in vitro) ai fini della ricerca scientifica: l’aveva formulata Adele Parrillo, vedova di Nassiriya che aveva rinunciato all’impianto degli embrioni dopo la morte del compagno ma li voleva donare (Tv 2000, 27 agosto).

SI RIAFFERMA LA LEGGE 40
La legge 40 sulla fecondazione assistita passa indenne l’ultimo esame della Corte europea dei diritti dell’uomo: l’Italia può continuare a vietare qualsiasi sperimentazione sugli embrioni, e quindi proibirne anche il dono a fini scientifici, come previsto dall’articolo 13 della norma (Corriere della Sera, 27 agosto).

LE RAGIONI DELLA CORTE
Nel rivolgersi alla Corte di Strasburgo la donna aveva sostenuto che il divieto impostole dallo Stato di donare gli embrioni creati nel 2002 con il suo compagno ledeva il suo diritto al rispetto della vita privata e quello al rispetto della proprietà privata. I togati di Strasburgo le hanno dato torto su entrambi i punti osservando tra l’altro che «gli embrioni umani non possono essere ridotti a una proprietà come definita dall’articolo 1 protocollo 1 della Convenzione europea dei diritti umani» (La Stampa, 27 agosto). 

LA VITA NON E’ UN OGGETTO
«La vita umana non è un oggetto», osserva Francesco Ognibene su Avvenire (28 agosto). «È talmente facile a constatarsi che è capace di osservarlo anche un bambino. Anzi, uno sguardo privo delle complicazioni adulte – filosofiche o giuridiche – riconosce a prima vista quel che un essere umano è, sin da quando inizia a pulsare in lui la vita. E rifiuta d’istinto ogni contraffazione che induca a dire qualcosa di diverso da quanto l’esperienza detta ai sensi e all’intelletto».

IL CASO PARRILLO
L’editorialista sul quotidiano dei vescovi evidenzia che il caso di Adele Parrillo «nasce da un evento traumatico, ma che strada facendo è diventato una delle tante bandiere per affermare un principio controverso come quello dell’insindacabile libertà della ricerca, che usando embrioni umani (pur congelati da oltre dieci anni e dunque praticamente inservibili) vorrebbe sancire la propria superiorità rispetto a qualunque criterio etico».

Un’affermazione non condivisa nella stessa comunità scientifica, «che si sta seriamente interrogando sull’opportunità di rinunciare a ogni (orripilante) forma di manipolazione della vita umana nel suo sorgere». 

UNA SENTENZA INDICATIVA
«La sperimentazione sugli embrioni non può essere fatta perché l’embrione è un soggetto, non un oggetto», taglia corto Paola Ricci Sindoni, presidente dell’associazione Pro-life Scienza e Vita (Radio Vaticana, 28 agosto).

«E’ utile precisare che la sentenza della Corte europea non esprime giudizi di valore, cioè non entra in merito allo statuto della persona, quale è l’embrione. I giudici europei lavorano più su questioni di tipo procedurali, ma certamente questa sentenza è un segnale importante che mi auguro possa segnare anche un punto di svolta nei pronunciamenti sia di Strasburgo, sia della Consulta».

NESSUNA PROPRIETA’ PRIVATA
La donna, prosegue Ricci Sindoni, «ha pensato di consultare la Corte di Strasburgo perché si è sentita lesa nei suoi diritti dal momento che supponeva che quegli embrioni fossero di sua proprietà e che quindi poteva gestirli secondo le sue intenzioni e quindi anche darli alla ricerca…». Ora, ciò che va letto tra le righe della sentenza «è che non si è padroni degli embrioni. Quindi, non viene violato il diritto umano della signora a poter gestire autonomamente gli embrioni».
La sentenza arriva fino a qui, ma si potrebbe andare avanti e dire il perché. «L’embrione non è proprietà della donna perché è un soggetto! Perché non è qualcosa, ma è qualcuno».

Adesso sarà la Corte Costituzionale a pronunciarsi rispetto all’indirizzo fornito da Strasburgo (Il Sussidiario, 28 agosto). Per rovesciarne gli esiti o confermarla?

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