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Quella domanda su Dio che inquieta

Meeting God in prayer – it

© P.M WYSOCKI / LUMIÈRE DU MONDE

Credere - pubblicato il 20/08/15

Lo scrittore Davide Rondoni racconta la sua amicizia con Mario Luzi e spiega perché un verso del poeta è stato scelto per il Meeting di Rimini 2015

di Paolo Pegoraro

Quasi in omaggio al poeta Mario Luzi, scomparso dieci anni fa, il Meeting per l’amicizia dei popoli 2015 ha scelto come titolo un suo verso. «Mario era un uomo acuto, a volte bruciante, come sanno essere i toscani. Non incline a compromessi e moine, eppure gentile e generoso», confida Davide Rondoni, legato a Luzi da un’amicizia ventennale. «Un uomo umile, che ha attraversato il Novecento, gli anni della tragedia e del nichilismo, portando un segno di domanda e di letizia. Penso sia questa la “rivoluzione mite” che ha vissuto come poeta».

Il verso tratto da Sotto specie umana ripreso dal Meeting recita: Di che è mancanza questa mancanza, / cuore, / che a un tratto ne / sei pieno?…
«È un verso scritto avanti negli anni, l’avevo fatto leggere a don Luigi Giussani perché mi sembrava indicativo di una posizione veramente ragionevole e religiosa. Che le sue ultime poesie, come le prime, indagassero ancora l’inquietudine del cuore significa che l’epoca che abbiamo vissuto e stiamo vivendo può essere letta alla luce dell’idea che il cuore umano ha un’impronta, cioè un vuoto che rimanda a un pieno. L’orma può essere di un lupo o di una gazzella, ma è comunque la traccia di una presenza. L’impronta è anche il titolo della serata di poesia che proporrò al Meeting».

Per Luzi, lei ha scritto, «la domanda è la struttura dell’essere umano». In che senso?
«La domanda, intesa come curiosità e apertura, ma anche come forma del discorso, era diventata continua e battente nella sua opera. L’uomo è sempre un bambino di fronte al mistero del mondo e chiede. Se chiede, corrisponde alla propria natura umana. Del resto, la domanda è il vertice dell’uso della ragione e il segno dell’apertura della ragione. L’uomo ragionevole, e quindi religioso, domanda. Se di fronte al tremendo e meraviglioso mistero dell’esistenza uno non domanda più, significa che è morto e non lo hanno avvisato».

Torniamo al titolo del Meeting. È ammissibile fare esperienza della mancanza in una società che ha scelto come proprie bandiere soddisfazione e sazietà?
«Eppure l’ansiolitico è il farmaco più venduto in Occidente! Questo significa che è una soddisfazione che non soddisfa. C’è una grande ambiguità che attraversa tutta la modernità, cioè la promessa di creare il paradiso in terra. Ma il paradiso in terra non c’è. E questa grande illusione getta continuamente le persone in un risentimento misto a sconforto, che diventa il sentimento generale della vita. Ma che qui non ci sia il paradiso non significa che non sia possibile la letizia, cioè un atteggiamento positivo nell’affrontare il dramma della vita».

La mancanza è come un segnale stradale…
«Il fatto che il cuore sia un’impronta significa che non si soddisfa da solo. E questa grande insoddisfazione può essere l’inizio della ragionevolezza, perché non ti fa scambiare per paradiso quello che non lo è…  che sia la connessione rapida, il pezzo di politica o la donna più bella del mondo. La natura umana chiede di essere riempita con qualcosa più grande di sé. Ed è quando vieni investito da questa sete, che la figura di Cristo divampa in tutta la sua misteriosa potenza. Senza questa fame – lo si vede molto spesso – anche il discorso religioso diventa sociologia, morale o politica. Anche Gesù si riduce a un orpello, a una bandiera di valori o a un discorso filosofico».

Ricevere prima di desiderare, avere risposte prima di aver formulato domande… Non si rischia di sopprimere la dimensione umana per eccellenza, quella dello stupore?
«Si vede bene nell’educazione dei giovani: se un ragazzo non lo abitui a fare domande, si spegne, si chiude, non si stupisce più di nulla e diventa nevrotico sui propri atti. Questo è uno dei motivi per cui la teoria del gender è sbagliata, perché fa coincidere l’identità della persona con la tendenza che ha o con gli atti che compie. Mentre l’uomo non coincide con nessuno dei suoi atti, né sessuali, né monetari, né politici o persino omicidi, perché l’io è fatto di domanda, di apertura all’infinito, di stupore, di capacità di aprirsi. Tu non sei l’atto che compi. Non sei più nobile e neppure peggiore. Tu sei qualcos’altro».

Mancanza e stupore sono al centro del tuo ultimo romanzo, Se tu fossi qui. C’è troppa gente, dici, che al posto degli occhi ha dei “topi morti”…
«La vita è fatta per essere guardata e contemplata. L’aver perso l’esperienza dello stare nel mondo come in una grande scena – come ci hanno detto san Paolo e tutti i grandi artisti – è uno dei motivi della grande noia. La noia è un vizio, diceva Baudelaire, perché se uno non coltiva lo stupore del guardare coltiva un’altra cosa, che si chiama noia, e questa mette i topi morti negli occhi e la malinconia nel cuore. Il contrario della noia non è il divertimento, anzi, spesso il divertimento è il prolungamento della noia. Il contrario della noia è lo stupore, perché ti rendi conto che sei sulla grande scena… che gli occhi della ragazza che passa o la linea del palazzo dell’Ottocento che hai di fronte… stanno succedendo, sono uno spettacolo da guardare».

Tu hai quattro figli, a loro hai dedicato questo romanzo. Senti di essere cambiato, lungo gli anni, come padre?
«La paternità è un’esperienza talmente misteriosa, sfuggente, fine, incredibile, dolorosa e meravigliosa che solo un Dio può giudicarla. Ne dico solo due caratteristiche. La prima: quando ti nasce un figlio, esprimi gratitudine. E mentre il volto di quel bambino si precisa e diventa il volto di un ragazzo e poi di un uomo, con tutte le difficoltà che ci sono in questi passaggi, quel piccolo “grazie” iniziale si approfondisce, viene levigato dalla pietra pomice dei dolori e delle difficoltà, diventando sempre più grande. La seconda cosa è che nell’esperienza dei figli si capisce che l’amore non è giusto. Nessuno ama i propri figli e nessuno è amato dai propri figli secondo una misura “giusta”. Anche nei momenti di difficoltà, quando bisogna esseri duri, c’è un’eccedenza, uno strabordare continuo. E questo dimostra che non si potrà mai parlare dell’amore “giustamente”, ma solo poeticamente».


DAVIDE RONDONI
Scrittore e poeta (Forlì, 1964), molto legato a don Giussani, ha fondato il Centro di poesia contemporanea dell’Università di Bologna e dirige la rivista clanDestino. Ha curato traduzioni da Baudelaire, Rimbaud, Péguy. È autore delle raccolte di poesie Avrebbe amato chiunque, Il bar del tempo (Guanda), Apocalisse amore (Mondadori). Oltre ai saggi La parola accesa (Edizioni di Pagina) e L’amore non è giusto (CartaCanta), ha firmato i romanzi Hermann (BUR), Gesù (Piemme) e il recente Se tu fossi qui (San Paolo), Premio Andersen 2015 per la categoria “miglior romanzo sopra i 15 anni”

QUI L’ORIGINALE

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